LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 20938/2018 proposto da:
I.J., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Luigi Laviano giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA depositato il 31/5/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/3/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto in data 31 maggio 2018 il Tribunale di Potenza respingeva il ricorso proposto da I.J. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Salerno al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, 5, comma 6.
In particolare il Tribunale, dopo aver rilevato che i fatti narrati, di scarsa verosimiglianza, rappresentavano una situazione di carattere personale non avente ad oggetto persecuzioni che legittimassero il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2 constatava come non si evincessero situazioni tali da comportare per il ricorrente un danno grave ed effettivo in caso di rimpatrio in *****, poichè non era emerso alcun rischio che egli potesse essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani e degradanti nel paese d’origine e tenuto conto che l’attività dell’organizzazione terroristica ***** era localizzata in zone lontane da quella di provenienza del richiedente asilo.
Nel contempo il collegio di merito considerava insussistente una condizione di vulnerabilità tale da giustificare il riconoscimento di una protezione umanitaria, in quanto il ricorrente aveva abbandonato il proprio paese di origine esclusivamente per il desiderio di trovare migliori condizioni di vita e possibilità di lavoro.
2. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia I.J., al fine di far valere due motivi di impugnazione.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis: il Tribunale, pur in mancanza della videoregistrazione del colloquio svolto avanti alla commissione territoriale, avrebbe provveduto a decidere subito la controversia senza procedere preventivamente all’audizione del richiedente asilo, la quale avrebbe potuto portare elementi nuovi, anche solo di natura indiziaria, sufficienti a lasciar presumere la veridicità del suo racconto.
3.2 La doglianza è infondata.
Invero, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio il giudice deve necessariamente fissare, pena la violazione del contraddittorio, l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, senza che sorga tuttavia l’automatica necessità di dare corso all’audizione il cui obbligo, conformemente alla direttiva 2013/32/CE, grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente; ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. 2817/2019).
Nel caso di specie il Tribunale aveva fissato udienza non solo per la comparizione (unico incombente da effettuarsi a pena di nullità), ma anche per l’audizione personale del migrante, onde consentirgli di fugare le incongruenze del suo racconto e le perplessità sorte in seno alla commissione territoriale.
L’audizione dell’interessato t ttavia non si è svolta per la mancata comparizione dell’interessato, comportamento che ha costretto il collegio di merito a prendere in esame la domanda presentata sulla base delle sole dichiarazioni rese avanti alla commissione territoriale. La censura sollevata non corrisponde pertanto allo sviluppo della vicenda processuale, dato che l’audizione del migrante non è stata svolta a causa della condotta dallo stesso tenuta.
4.1 Il secondo mezzo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato o del procedimento in quanto il Tribunale, dopo aver richiamato stereotipati principi di diritto, si sarebbe limitato a elencare una serie di fatti, ma avrebbe omesso un effettivo riscontro degli elementi probatori e ogni sforzo motivazionale volto a giustificare il rigetto delle domande proposte, finendo così per disapplicare gli assunti in diritto che aveva poco prima enunciato; in questo modo il Tribunale, con una motivazione apparente, non avrebbe tenuto in debito conto la situazione politico-sociale dello Stato di provenienza nè avrebbe considerato il percorso di integrazione sociale intrapreso in Italia dal richiedente asilo.
4.2 Il motivo è nella sua prima parte infondato, non trovando alcun conforto nel tenore della motivazione presente all’interno del decreto impugnato, per il resto inammissibile.
4.2.1 La motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell’art. 132 c.p.c., n. 4 costituisce la rappresentazione dell’iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell’apparenza ove sia intrinsecamente inidonea ad assolvere una simile funzione.
La motivazione assume perciò carattere solo apparente, e la decisione è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).
Nel caso di specie il Tribunale ha fornito un’apprezzabile giustificazione delle ragioni poste a base della propria decisione, laddove ha spiegato che i fatti narrati dal richiedente asilo, oltre a risultare di dubbia credibilità, erano estranei al ragionevole timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica che giustifica, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7 e 8 il riconoscimento dello status di rifugiato.
Il collegio di merito ha poi escluso, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 che il racconto del migrante e la situazione dello stato di provenienza del ricorrente consentissero di ravvisare il rischio effettivo che questi potesse subire un danno grave in caso di rimpatrio in *****.
Infine il Tribunale ha negato il ricorrere di una situazione di vulnerabilità, tenuto conto delle ragioni (di miglioramento delle proprie condizioni di vita) che avevano spinto il migrante ad allontanarsi al proprio paese di origine.
Il ricorrente, nell’assumere che la mancanza di validi argomenti rende la motivazione di natura solo apparente, oltre a ritenere in maniera non corretta che il carattere dell’apparenza della motivazione discenda dall’asserita erroneità della valutazione della congerie istruttoria piuttosto che dalla perscrutabilità delle ragioni offerte dal giudice, prescinde dal reale contenuto del decreto impugnato e dagli argomenti chiaramente illustrati al suo interno e finisce per sollecitare una diversa valutazione delle risultanze di causa che, invece, sfugge al sindacato di questa corte.
La doglianza non può quindi che essere rigettata sotto questo profilo, dato che nel decreto impugnato una motivazione esiste ed è ben comprensibile.
4.2.1 Il ricorrente assume poi che il Tribunale avrebbe omesso di valutare il fattivo percorso di integrazione da lui intrapreso in Italia.
Il decreto impugnato tuttavia non fa il minimo cenno a una simile questione, che dalla lettura decisione non risulta fosse stata posta dal ricorrente; nè dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, risulta che il medesimo, nel corso del giudizio di merito, avesse allegato la sua avvenuta integrazione sul territorio nazionale.
Sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).
5. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100, oltre spese generali prenotate a debito, accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019