LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20753/2018 proposto da:
L.C., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 13/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/03/2019 dal Cons. Dott. AMATORE ROBERTO.
RILEVATO
che:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Napoli – decidendo sulla opposizione al provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Caserta (con il quale era stata negata a L.C., cittadino nigeriano, la richiesta protezione internazionale per il reclamato status di rifugiato e, in via subordinata, per la invocata protezione sussidiaria e umanitaria) – ha rigettato le domande di protezione avanzate dal ricorrente. Il tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente in ordine alle ragioni che lo avevano indotto a fuggire dal paese di origine, avendo il ricorrente narrato di essere stato costretto a fuggire dalla Nigeria in seguito agli esiti di una vicenda familiare ereditaria e ad una manifestazione politica contro una compagnia petrolifera, a causa delle quali era stato ucciso il fratello dalla zio paterno, che lavorava per quella compagnia e con il quale era insorta una faida familiare per la sopra riferita vicenda ereditaria. Il tribunale ha, poi, ritenuto non provata la ricostruzione della vicenda offerta dal ricorrente, stante la mancata dimostrazione della sua partecipazione alla menzionata manifestazione e ai pericoli conseguenti ad eventuali carcerazioni per tale ragione. Il giudice del merito ha, dunque, ritenuto non fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, non ricorrendo un’ipotesi di persecuzione statale in danno del richiedente e ha, del pari, valutato come infondata la richiesta di protezione sussidiaria, non configurandosi le ipotesi previste dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 e cioè il pericolo di un danno grave per la presenza di un conflitto armato generalizzato; ha evidenziato, in ordine a quest’ultimo profilo di tutela, che il pericolo da ultimo menzionato sussiste negli Stati del Nord-est della Nigeria e non già nell’Edo State ove non vi è il pericolo di incursioni del gruppo armato di “*****”. Il tribunale impugnato ha altresì osservato che non ricorrevano, nel caso di specie, neanche le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, non potendosi rintracciare, nel caso di specie, una condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente.
2. Il decreto, pubblicato il 13.5.2018, è stata impugnata da L.C. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria, fuori termine.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis – si duole dell’erroneità della decisione impugnata perchè fondata sulla sola valutazione di non credibilità soggettiva del richiedente, senza che il tribunale avesse, come era suo onere, attivato i suoi poteri officiosi istruttori per verificare le condizioni socio-politiche del paese di provenienza del richiedente. Si evidenzia ancora l’erroneità della decisione impugnata laddove aveva respinto la domanda di protezione per la mancata prova da parte del richiedente delle circostanze allegate a sostegno della esistenza della situazione di pericolo determinante la ragione di fuga dal paese di provenienza. Si evidenzia altresì che, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, il ricorrente aveva fornito la prova, tramite la documentazione allegata (articoli di stampa), della sua partecipazione alla manifestazione sopra descritta e dell’uccisione del fratello.
2. Con un secondo motivo si articola, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 7, 8 e 11 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 2. Osserva il ricorrente che il diniego del reclamato riconoscimento dello status di rifugiato era stato argomentato dal giudice del merito sulla base della ritenuta non credibilità del narrato del richiedente, sulla valutata assenza di una persecuzione statale in danno dell’odierno ricorrente e sulla base della mancata prova dei fatti sopra riferiti. Si evidenzia che quanto narrato dal ricorrente – per giustificare le ragioni della fuga dal paese di origine – non era stato smentito da alcuna acquisizione istruttoria di segno contrario e che, peraltro, il tribunale non aveva adeguatamente argomentato in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.
3. Con un terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione di legge in riferimento al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3 e art. 14, lett. c e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Si denunzia come inapplicato, anche in relazione alla negata protezione sussidiaria, il potere istruttorio officioso del tribunale per la concreta verifica delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza del richiedente. Osserva ancora che le valutazioni espresse dal tribunale in ordine alle predette condizioni erano inattuali e poco approfondite, posto che il più recente rapporto informativo di Amnesty International 2017-2018 ed il rapporto “viaggiare sicuri” della Farnesina sulla Nigeria pubblicato il 18.12.2017 avevano invece evidenziato una situazione di forte insicurezza socio-politica e di violenza indiscriminata nel predetto paese, violenza collegata all’azione terroristica del gruppo armato di “*****” ed al comportamento delle istituzioni nei confronti dei cittadini.
4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Richiede la parte ricorrente un diverso apprezzamento giuridico rispetto a quello espletato dal tribunale in ordine alla valutazione dei presupposti per la concessione della richiesta protezione umanitaria. Osserva il ricorrente che l’attuale condizione socio-politica della Nigeria giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.
5. Il ricorso è infondato.
5.1 Il primo motivo di doglianza è inammissibile.
La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, invero, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. Per contro, poichè il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, il giudizio di fatto circa la credibilità del ricorrente non può essere censurato sub specie della violazione di legge (Cass., 05/02/2019, n. 3340).
Nella specie, il ricorrente ha in realtà denunciato la violazione di norme di legge relative alla valutazione sulla credibilità del richiedente protezione internazionale, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e fornendo inammissibilmente in questa sede – una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal tribunale, che ha accertato in fatto la genericità e la contraddittorietà della narrazione del ricorrente, peraltro limitandosi ad affermazioni di principio e ad allegazioni del tutto generiche. Peraltro, la parte ricorrente ha allegato di avere prodotto una pagina di un giornale che attesterebbe la veridicità della circostanza secondo cu il ricorrente era stato fermato da uomini della sicurezza.
Tale documentazione, che il Tribunale esclude sia stata prodotta, non è stata nè riprodotta nel ricorso, nè allegata allo stesso (in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4), al fine di consentire alla Corte di stabilirne la rilevanza. Nè è stato indicata quando ed in quale atto sarebbe stata sottoposta al Tribunale, al di là della sua produzione nella fase amministrativa. Senza contare che la doglianza da ultimo indicata non è stata correttamente dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo e controverso della causa, nè tanto meno come vizio processuale di violazione del diritto alla prova, ma al contrario ed impropriamente come vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Tali rilievi escludono anche la necessità per il Tribunale di operare accertamenti officiosi, peraltro comunque svolti, come si dirà, in ordine alla situazione socio-politica della Nigeria. Ed infatti, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine, salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass., 12/11/2018, n. 28862).
5.2 Il secondo motivo è inammissibile in conseguenza dell’inammissibilità della prima censura.
Invero, requisito essenziale per il riconoscimento dello “status” di rifugiato è il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate. Il relativo onere probatorio – che riceve un’attenuazione in funzione dell’intensità della persecuzione – incombe sull’istante, per il quale è tuttavia sufficiente dimostrare, anche in via indiziaria, la “credibilità” dei fatti allegati, i quali, peraltro, devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza (Cass. 14157/2016). Nel caso concreto, come detto, la credibilità è stata, per contro, esclusa con valutazione di fatto mai censurata dal ricorrente.
5.3 Il terzo motivo è, in parte, infondato e, in altra parte, inammissibile.
E’ evidente che i presupposti di cui all’art. 14, lett. a) e b) (condanna a morte e tortura) sono esclusi per effetto della non credibilità del richiedente. Quanto al riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass., 12/12/2018, n. 32064).
Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate – la insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella zona della Nigeria di provenienza del ricorrente, ed il mezzo ripropone questioni di merito, mediante richiesta di esame in questa sede di legittimità di elementi di prova diretti ad una rivisitazione del giudizio di fatto operato dal Tribunale.
5.4 Il quarto motivo è anch’esso infondato.
Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria – secondo la disciplina previgente, applicabile ratione temporis (Cass. 4890/2019) – è evidente che l’attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. Il che è stato escluso, nel caso di specie, per i motivi suesposti.
6. Non possono essere esaminate le ulteriore doglianze sollevate nella memoria depositata in data 7.3.2019, stante la loro evidente tardività.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, complessivamente liquidate in Euro 2.100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13 comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019