LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15674/2018 proposto da:
E.O., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Gianluca Aldo Corvelli giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, Procura Generale Corte di Cassazione e Procura della Repubblica Tribunale Bari;
– intimati –
avverso la sentenza n. 656/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, del 6/4/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/04/2019 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Bari rigettava il ricorso presentato da E.O. perchè gli venisse riconosciuta la protezione internazionale o umanitaria negategli dalla competente commissione territoriale.
2. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 6 aprile 2018, osservava che l’appellante aveva genericamente ribadito la sua versione, senza contestare in modo specifico il giudizio di inattendibilità espresso dal Tribunale, aveva altrettanto genericamente invocato la situazione di instabilità esistente in Nigeria, senza confutare gli argomenti del Tribunale in merito all’insussistenza di un conflitto armato nella sua zona di provenienza, e aveva del pari dedotto una situazione di vulnerabilità derivante dall’assenza di contatti con i familiari.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso E.O. prospettando tre motivi di doglianza.
L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 342,348,348-bis e 348-ter c.p.c.: la corte territoriale, avendo dichiarato l’inammissibilità e, in subordine, l’infondatezza dell’appello senza nemmeno enunciare le ragioni giuridiche di una simile statuizione, sarebbe giunta a una conclusione inammissibile nel caso in cui avesse inteso fare riferimento agli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., dato che queste norme non trovano applicazione a fattispecie, come quella in esame, di intervento obbligatorio del P.M. o di appello avverso ordinanze emesse all’esito del rito sommario di cognizione; nè era possibile ravvisare una violazione dell’art. 342 c.p.c., dato che questa norma non richiede la redazione da parte dell’appellante di un provvedimento alternativo a quello pronunciato dal giudice di primo grado.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14: il ricorso presentato al Tribunale, lungi dall’essere manifestamente infondato, meritava quanto meno il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione della situazione di instabilità socio-politica esistente nello Stato di provenienza.
4.3 Il terzo motivo prospetta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, comma 3 e la violazione del divieto di espulsione e respingimento previsto dall’art. 19, comma 1, T.U.I.: il Tribunale di Bari, negando la protezione umanitaria, avrebbe omesso di apprezzare le effettive condizioni, sanitarie e di conflittualità, della zona di provenienza del ricorrente.
5. I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione del coincidente vizio che li accomuna, sono inammissibili.
5.1 La sentenza impugnata non ha fatto applicazione del disposto degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., ma, ben diversamente, ha registrato la genericità degli argomenti addotti dall’appellante ed ha constatato nel contempo come non fossero state in alcun modo confutate le motivazioni offerte dal primo giudice.
Siffatta statuizione è coerente con il consolidato principio secondo cui la cognizione del giudice di appello resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, tramite l’illustrazione di argomentazioni che si contrappongano a quelle svolte nella sentenza impugnata e siano idonee ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, sicchè non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità e possano essere correlate con la motivazione della pronuncia gravata (Cass. 21566/2017).
La prima censura nella sua parte iniziale, non cogliendo nè criticando le ragioni processuali poste dalla corte territoriale a fondamento della propria statuizione di inammissibilità, è priva dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve avere (Cass. 6587/2017, Cass. 13066/2007); la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), con la conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ ufficio (Cass. 20910/2017).
5.2 Nè è possibile apprezzare se l’atto di appello, in coerenza con il disposto dell’art. 342 c.p.c., avesse ritualmente indicato tramite argomenti che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, mirassero ad incrinarne il fondamento logico-giuridico con espressa e motivata censura (Cass., Sez. U., 23299/2011) – i profili di illegittimità della decisione impugnata, come assume l’odierno ricorrente.
Quest’ultimo infatti non ha riportato alcuna indicazione di elementi e riferimenti idonei ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale denunciato, onde consentire a questa Corte di apprezzare l’effettiva specificità del contenuto dell’atto di appello senza compiere generali verifiche degli atti.
Ora la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è sì anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purchè però lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; è perciò necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 2771/2017, Cass. 19410/2015).
Occorreva pertanto che l’odierno ricorrente accompagnasse la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto di appello che sorreggeva la censura, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a un’autonoma ricerca degli atti denunciati come viziati ma solo a una verifica del contenuto degli stessi.
In mancanza di una simile indicazione la doglianza in esame risulta giocoforza inammissibile per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
5.3 L’inosservanza dell’onere di specificazione dei motivi previsto dall’art. 342 c.p.c., ha poi integrato una nullità determinante l’inammissibilità dell’impugnazione, con il conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza appellata (Cass., Sez. U., 16/2000); ne deriva l’inammissibilità degli ulteriori due motivi di ricorso per cassazione, i quali tornano a porre in discussione in questa sede le questioni di merito non congruamente sollevate in sede di appello.
In questa prospettiva è irrilevante la constatazione dell’infondatezza dell’appello aggiunta ad abundantiam alla precedente constatazione dell’inammissibilità del gravame.
Un simile assunto, non costituendo una ratio decidendi della decisione impugnata, non ha spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, essendo improduttivo di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso in questa sede di legittimità per difetto di interesse (Cass. 8755/2018).
6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019