LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20729/2014 proposto da:
Riscossione Sicilia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare n. 21/23, presso lo studio dell’avvocato Scelfo Valerio, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Curatela Fallimento Z.F., Comune Di Niscemi, Provincia Regionale di Caltanissetta, Camera di Commercio – Ufficio Di Caltanissetta;
– intimati –
e contro
Agenzia delle Entrate e del Territorio, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
e contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps), in proprio e quale procuratore speciale della società SCCI S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria n. 29, presso lo studio dell’avvocato Matano Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati D’aloisio Carla, De Rose Emanuele, Maritato Lelio, Sgroi Antonino, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTAGIRONE, depositato il 17/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/04/2019 dal Cons. Dott. AMATORE ROBERTO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DE RENZIS Luisa, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RILEVATO
che:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Caltagirone – decidendo sull’opposizione allo stato passivo avanzata dalla Serit Sicilia s.p.a., agente della riscossione, nei confronti della curatela del fallimento di Z.F. in riferimento al provvedimento di diniego della richiesta di ammissione del credito erariale emesso dal g.d. (ma in accoglimento della predetta opposizione) – ha ammesso il concessionario al passivo fallimentare in via chirografaria ed in via privilegiata, come richiesto in relazione a diversi crediti erariali anche di natura contributiva.
Il tribunale ha ritenuto che il credito tributario e contributivo azionato dal concessionario alla riscossione dovesse essere ammesso sulla base del solo estratto di ruolo, come previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 87, non essendo necessaria la previa notificazione della cartella di pagamento alla società debitrice; ha riconosciuto il richiesto privilegio anche in relazione all’i.r.a.p.; ha, infine, ritenuto di accogliere l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’I.N.P.S. e dall’Agenzia delle Entrate in relazione alla chiamata in causa effettuata dalla Serit Sicilia s.p.a., in quanto il rigetto delle domande di ammissione al passivo formulate dal concessionario erano state determinate dalla mancata notificazione delle cartelle (ritenute dal g.d. adempimento propedeutico necessario per avanzare la richiesta di ammissione al passivo), e dunque del mancato adempimento di un obbligo gravante sull’ente concessionario, obbligo dal quale è estraneo l’ente impositore.
2. Il decreto, pubblicato il 17.2.2014, è stato impugnato da Serit Sicilia s.p.a., con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui hanno resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate e l’I.N.P.S..
2.1 L’I.N.P.S. ha depositato memoria.
2.2 La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Luisa De Renzis, ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 – si duole della mancata applicazione del disposto normativo da ultimo citato da parte del giudice dell’opposizione allo stato passivo, il quale aveva giustificato tale esclusione sulla base della considerazione che la mancata ammissione al passivo era intervenuta non già per questioni riguardanti il merito delle pretesa erariale quanto piuttosto per l’attività di notificazione degli atti impositivi, che rappresenta attività di esclusiva competenza del concessionario alla riscossione. Osserva, invece, la ricorrente che la curatela, costituendosi nel giudizio di opposizione, avrebbe potuto ampliare il thema decidendum anche in ordine ad ulteriori questioni riguardanti il merito della pretesa creditoria sul quale sono legittimati ad interloquire solo gli enti impositori ai quali, dunque, doveva essere allargato il contraddittorio processuale tramite la chiamata in causa.
2. Con il secondo motivo si articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla condanna alle spese in favore dei soggetti di cui si era dichiarata la carenza di legittimazione passiva.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Già il primo motivo è infondato.
Sul punto oggetto di discussione tra le parti, risulta utile ricordare che, secondo la giurisprudenza maggioritaria espressa da questa Sezione (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa), in tema di riscossione dei contributi previdenziali mediante iscrizione a ruolo, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore ed il concessionario del servizio di riscossione qualora il giudizio sia promosso da quest’ultimo o nei confronti dello stesso, non assumendo a tal fine alcun rilievo che la domanda (proposta, come nel caso di specie, con l’opposizione allo stato passivo fallimentare) abbia ad oggetto, non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito, posto che l’eventuale difetto del potere di agire o di resistere in ordine a tale accertamento comporta l’insorgenza solo di una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell’ente creditore. La chiamata in causa di quest’ultimo, prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, dev’essere, pertanto, ricondotta all’art. 106 c.p.c., ed è, come tale, rimessa alla esclusiva valutazione discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio non è censurabile nè sindacabile in sede d’impugnazione (Sez. 1, Sentenza n. 9016 del 05/05/2016; cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 4 dicembre 2014, n. 25676; Cass., Sez. I, 28 marzo 2014, n. 7406; Cass., Sez. Il, 19 gennaio 2006, n. 984).
Più in particolare, in tema di riscossione dei contributi previdenziali mediante iscrizione a ruolo, questa Corte ha infatti escluso costantemente che, nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento del credito, sia configurabile un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, attribuendo alla chiamata in causa di quest’ultimo (già prescritta dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 24 settembre 2002, n. 209, convertito con modificazioni dalla L. 22 novembre 2002, n. 265) il valore di una mera litis denuntiatio, volta esclusivamente a portare la pendenza della controversia a conoscenza del soggetto incaricato della riscossione, al fine di estendere anche allo stesso gli effetti del giudicato (cfr. Cass., Sez. lav., 11 novembre 2014, n. 23984; 12 maggio 2008, n. 11687; 16 maggio 2007, n. 11274).
Non diversamente, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario qualora, come nella specie, il giudizio sia promosso dal concessionario o nei confronti dello stesso.
Se così è, deve allora ritenersi che la questione della chiamata in causa da parte del concessionario alla riscossione degli enti impositori, lungi dal richiamare un’ipotesi di litisconsorzio necessario, comporta esclusivamente l’insorgenza di una questione di legittimazione, riconducibile all’art. 106 c.p.c., con la conseguenza che l’autorizzazione della stessa costituisce oggetto di una valutazione discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede d’impugnazione.
Ne consegue la infondatezza della censura.
3.2 La seconda doglianza è inammissibile.
Sul punto non può essere dimenticato che – in tema di regolamento delle spese processuali – la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5828 del 16/03/2006).
Ne consegue che, avendo correttamente applicato il tribunale ricorso il principio della soccombenza, in ordine al profilo della carenza della legittimazione passiva degli enti impositori, la conseguente statuizione sulle spese di lite non è censurabile in questa sede.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore dell’Agenzia delle entrate, in Euro 2.000, oltre spese prenotate a debito, e in favore dell’I.N.P.S., in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi, alle spese generali forfettarie nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019