LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27284/2014 proposto da:
A.D.C. DI AN. E P.D.C. s.n.c., (già ditta individuale D.C.A.T.), con sede in ***** (C.F. e P.
IVA: *****), in persona del legale rappresentante De.Ca.An. (C.F.: *****), rappresentata e difesa dall’Avv. Michele LAI del Foro di Firenze (C.F.: LAIMHL64C24D612S) del Foro di Firenze ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Firenze, al Viale Giovanni Amendola n. 20, come da mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
ASCIT – Servizi Ambientali S.p.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, Dott. G.G.M., con sede in ***** (C.F. e P. IVA *****), rappresentata e difesa nel giudizio dall’Avv. Gianluca Baldacci (C.F.: BLDGLC61P10D815) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso, in Roma alla Piazza dell’Emporio n. 16/A, come da procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 709/31/2014 emessa dalla CTR di Firenze in data 03/04/2014 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta all’udienza camerale dell’8/2/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;
udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale Dott. Pedicini Ettore nel senso del rigetto;
udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Michele Lai, per la ricorrente, nel senso dell’accoglimento, e dall’Avv. Giuseppe Guizzi, per delega dell’Avv. Gianluca Baldacci, per la resistente, nel senso del rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La s.n.c. A.D.C. di An. e D.C.P. (già ditta individuale D.C.A.T.) impugnava la sentenza emessa in data 27.10/9.11.2011. con cui la CTP di Lucca aveva parzialmente respinto i suoi ricorsi avverso cartelle di pagamento Tia per gli anni 2008,2009 e 2010 sul rilievo che l’impugnata tassazione dei rifiuti era avvenuta sulla base delle superfici dichiarate, riconoscendoli fondati solo per la parte con cui si contestava la debenza dell’Iva.
A fondamento del gravame deduceva: 1) la violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3, perchè, sul presupposto che i rifiuti prodotti erano speciali e non assimilabili agli urbani, e venivano smaltiti in proprio, la CTP avrebbe dovuto ritenere totalmente esente dal pagamento della Tia la superficie dei suoi capannoni industriali e commerciali in considerazione della netta prevalenza delle aree destinate alla produzione ed annesse al ciclo produttivo; 2) l’erronea affermazione che la Tia era stata calcolata sulle superfici indicate dal contribuente, senza considerare che nel 1999 aveva presentato due denunce di variazione; 3) l’aver omesso di valutare la tipologia dei rifiuti prodotti ed i formulari prodotti in giudizio, i quali attestavano lo smaltimento in proprio.
L’Ascit si costituiva in giudizio, contestando l’appello e chiedendone la reiezione. Il Comune di Porcari ed Equitalia non si costituivano.
Con sentenza del 3.4.2014, la C.T.R. di Firenze ha rigettato l’appello sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:
1) nelle denunce di variazione del 18.1.1999 il contribuente (dante causa dell’appellante) aveva dichiarato come tassabile una superficie di mq. 2204,25 + 452, ed aveva chiesto l’esenzione per complessivi mq. 1509,87, di cui mq. 1386.49 per laboratorio e segheria e mq. 123.38 per stoccaggio macchinari inutilizzati;
2) l’esenzione era stata riconosciuta come richiesto;
3) in particolare, i primi giudici, dandone atto, avevano riconosciuto la legittimità dell’operato dell’Ascit, perchè si era limitata a tassare le superfici indicate dal contribuente nelle denunce mai oggetto di variazione, ed aveva applicato la tassa prevista dalla tariffa in atto del Comune di Porcari e la categoria tariffaria corrispondente al codice di attività del contribuente, ritenendo, per l’effetto, ininfluente la definizione della tipologia dei rifiuti;
4) il materiale ferroso residuato sulle superfici di lavorazione era qualificabile come rifiuto speciale, assimilabile, secondo la previsione del D.M. 27 luglio 1984, ed assimilato a quelli urbani con delibera del Comune di Porcari 18 maggio 1988, n. 22;
5) premesso che, in caso di promiscuità di rifiuti (urbani e speciali assimilati), come nella specie, i rifiuti assimilati smaltiti in proprio il contribuente aveva diritto soltanto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto a consuntivo in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità di rifiuti avviata al recupero, le riduzioni tariffarie chieste nelle denunce di variazione non potevano ritenersi illegittimamente negate dal Comune, non essendo provato l’avvio dei rifiuti al recupero (invero, nessun formulario rifiuti risultava prodotto per il 2008, per il 2009 risultava prodotto un solo formulario rifiuti e per il 2010 ne risultavano prodotti tre;
6) in definitiva, l’appello andava respinto, perchè non poteva essere riconosciuto alcun ampliamento della superficie esente determinata in sede amministrativa su denuncia del contribuente e nessuna riduzione di tariffa.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la A.D.C. di An. e P.D.C. s.n.c., sulla base di sette motivi. La Ascit – Servizi Ambientali s.p.a. ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza, la controricorrente ha depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 6 e 49 e della Deliberazione Comitato Interministeriale 27.7.1984 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto non esentabile dalla TIA alcuna ulteriore (rispetto a quella chiesta nelle denunce di variazione e già riconosciuta) superficie del suo immobile sulla base dell’erroneo rilievo secondo cui la contribuente avrebbe prodotto (altresì) “materiale ferroso residuato sulle superfici di lavorazione”, qualificabile come rifiuto speciale assimilabile a quelli urbani, laddove gli unici rifiuti da essa prodotti andavano qualificati rifiuto speciale non assimilabile, come tali da esentare dalla TIA.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha già affermato in passato, sia pure in tema di TARSU, che le operazioni di avviamento al recupero dei rifiuti speciali (assimilati) non comporta la riduzione della superficie tassabile, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, ma il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, la cui dimostrazione è onere che incombe sul contribuente e che può essere fornita attraverso valida documentazione, quale il prescritto formulario di identificazione o altra idonea attestazione rilasciata da operatori autorizzati (Sez. 5, Sentenza n. 627 del 18/01/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 5377 del 04/04/2012).
La ricorrente, tuttavia, ha omesso, in violazione del principio di autosufficienza, di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente significativi, la documentazione asseritamente allegata ai fascicoli dei ricorsi riuniti dinanzi alla CTP di Lucca, dalla quale si sarebbe, a suo dire, evinta l’inesistenza nella sua attività produttiva della categoria di rifiuto individuata come “materiale ferroso residuato sulle superfici di lavorazione” (cfr. pagg. 19 ss. del ricorso), escludendosi, per l’effetto, la natura promiscua dei rifiuti complessivamente prodotti.
L’impossibilità di scrutinare se sia stata esatta o meno la qualificazione, operata dalla CTR, della tipologia di rifiuti prodotti dalla D.C. porta con sè l’impossibilità di verificare se il detto materiale sia ricompreso tra quelli che la Delibera del Comune di Porcari 18 maggio 1988, n. 22, nel richiamare la Deliberazione del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984, assimila ai rifiuti urbani. Senza tralasciare che la menzionata Deliberazione, art. 1, comma 1, nell’individuare i rifiuti speciali che possono essere ammessi allo smaltimento in impianti di discarica, prescrive, quanto alle condizioni all’uopo prescritte, che gli stessi abbiano una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani o, comunque, siano costituiti da manufatti e materiali simili a quelli elencati successivamente “a titolo (meramente) esemplificativo”, sicchè l’elencazione invocata dalla ricorrente non può considerarsi tassativa.
Inoltre, con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo. Infatti, è appena il caso di rilevare come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).
In definitiva, a ben vedere, la ricorrente sollecita una rivalutazione del materiale probatorio, non consentita nella presente sede.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 e art. 5 del Comune di Porcari (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR erroneamente, a suo dire, ritenuto che l’Ascit avesse sottoposto a tassazione TIA le superfici da lei dichiarate e mai variate, laddove essa, sin dal 1999, aveva contestato l’applicazione della allora TARSU da parte del Comune ad alcune superfici e la sua istanza di rettifica delle stesse era stata rigettata con provvedimento del 6.10.2004. L’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che la società contribuente non aveva assolto l’onere di provare di aver prodotto rifiuti speciali non assimilabili e di aver nel periodo in esame smaltito gli stessi.
2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia qui impugnata.
Invero, la CTR non ha escluso che la D.C. avesse formulato istanza per la rettifica delle dichiarazioni originariamente presentate, ma ha affermato che siffatte denunce non erano state medio tempore ulteriormente variate. Invero, al fine di individuare le aree oggetto di esenzione, ha fatto riferimento alle superfici indicate dalla contribuente nelle due denunce di variazione del 18.1.1999, a loro volta non successivamente variate (cfr. pag. 2 della sentenza).
D’altra parte, se un’ulteriore istanza di rettifica fosse stata rigettata e tale rigetto non fosse stato impugnato, la CTR in ogni caso non ne avrebbe potuto tener conto.
2.2. Del resto, anche nel merito il motivo si sarebbe rivelato infondato. Rappresenta, infatti, un principio consolidato quello per cui, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sulla base del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62 e 64, i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti. Tale tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purchè il servizio sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione (cfr., in tal senso, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18022 del 24/07/2013; conf. Sez. 5, Sentenza n. 1963 del 26/01/2018).
Inoltre, il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, secondo il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, è l’occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti. L’esclusione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate, perchè ivi si producono rifiuti speciali, è subordinata alla prova, il cui onere è a carico del contribuente, della relativa condizione di esenzione, ed in particolare della superficie nella quale, per specifiche caratteristiche strutturali o per destinazione, si formano, di regola, i suddetti rifiuti speciali, tanto più che la produzione di questi ultimi non esclude quella dei rifiuti solidi urbani e non può, pertanto, escludersi la coesistenza degli uni e degli altri (Sez. 5, Sentenza n. 16858 del 24/07/2014).
In definitiva, l’esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate perchè ivi si producono rifiuti speciali, come pure l’esclusione di parti di aree perchè inidonee alla produzione di rifiuti, sono subordinate all’adeguata delimitazione di tali spazi ed alla presentazione di documentazione idonea a dimostrare le condizioni dell’esclusione o dell’esenzione; la contribuente, sulla quale gravava il relativo onere della prova, non lo ha assolto.
3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la CTR escluso che la contribuente avesse fornito la prova dello smaltimento attraverso ditte private dei rifiuti speciali prodotti dalle lavorazioni, laddove avrebbe dovuto evincere l’avvenuto avvio al recupero dei rifiuti ferrosi prodotti dai formulari vidimati in atti, non essendo a tal fine obbligatoria la compilazione dei modelli MUD.
3.1. Fermo restando che le reiterate doglianze concernenti l’asserita erronea qualificazione dei rifiuti prodotti e l’istanza di rettifica delle superfici del proprio immobile sono già state analizzate con i procedenti due motivi, cui pertanto si rimanda, la principale censura formulata con il motivo in esame è inammissibile.
In primo luogo, in violazione del principio di specificità, la ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno dei passaggi maggiormente significativi, i formulari vidimati la cui valutazione la CTR avrebbe omesso.
In secondo luogo, la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la provi sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ne consegue l’inammissibilità della doglianze che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Sez. L, Sentenza n. 13960 del 19/06/2014; n. 26965 del 2007).
In terzo luogo, la censura non coglie la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, la quale non ha ritenuto necessari, sul piano probatorio, i MUD in luogo dei formulari rifiuti, ma ha rilevato che nessun formulario risultava prodotto per il 2008, che per il 2009 ne risultava prodotto uno solo e che per il 2010 vi erano solo tre formulari e, dunque, in numero insufficiente per ritenere fornita la prova dei quantitativi di rifiuti avviati al recupero.
3.2. Avuto riguardo al profilo motivazionale, nella specie deve escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, figure – queste – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
4. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019