LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 10992017 proposto da:
R.I., elettivamente domiciliato in Firenze, presso lo studio dell’avvocato Rosa Vignali che lo rappresenta e difende con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore, elett.te domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 977/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, pubblicata il 26/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/04/2019 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza dell’8.11.16, la Corte d’appello di Torino rigettò l’appello proposto da R.I.- cittadino pakistano- avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino che respinse l’impugnazione del provvedimento della Commissione territoriale che aveva negato la protezione internazionale (e in subordine, la protezione umanitaria), osservando che: le dichiarazioni rese dal ricorrente non erano veritiere, sicchè erano da escludere i presupposti della protezione internazionale e di quella umanitaria, non essendo state allegate specifiche circostanze, e considerando altresì che il ricorrente non aveva legami con l’Italia, mentre la sua famiglia risiedeva in Pakistan. La Corte d’appello rilevò che: il racconto reso dal ricorrente era da confermare non credibile e contraddittorio per i fatti esposti, relativi alla sparatoria che sarebbe avvenuta in Pakistan e alla vicenda della moglie lasciata nel Paese per il timore di subire aggressioni dai familiari (mentre il R. aveva dichiarato innanzi alla Commissione di vivere in Italia con la stessa moglie); in Pakistan non sussisteva una situazione di conflitto armato generalizzato di gravità tale da ritenere sussistere una fonte di pericolo di grave danno per le persone, come desumibile dal rapporto EASO del 2016; non erano state prospettate situazioni di particolare vulnerabilità legittimanti il permesso umanitario.
Il R. ricorre in cassazione formulando tre motivi.
Non si è costituito il Ministero cui il ricorso è stato notificato con pec.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per aver la Corte d’appello apoditticamente affermato che la vicenda personale narrata dal ricorrente non era credibile a causa della discordanza tra le dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e quelle poi riferite in udienza presso il Tribunale, omettendo di compiere accertamenti istruttori; al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia esaminato il solo rapporto dell’EASO non indicando il sito web da cui era stato tratto.
Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, in ordine alla protezione sussidiaria, non avendo il giudice di secondo grado considerato che il ricorrente era stato vittima di atti violenti da parte di appartenenti ad altro gruppo sociale che godeva della connivenza delle autorità locali.
Con il terzo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 288 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omesso esame di un fatto decisivo, in ordine alla protezione umanitaria, in quanto la Corte d’appello non aveva considerato la situazione di vulnerabilità del ricorrente una volta fatto rientro in Pakistan. Il primo motivo è inammissibile in quanto tende al riesame dei fatti, atteso che la Corte d’appello ha escluso la protezione internazionale per la non credibilità del ricorrente come avvalorata dalle contraddizioni emerse dalla discordanza tra le dichiarazioni rese innanzi alla Commissione territoriale e quelle rese al Tribunale. La decisione impugnata è stata, peraltro, fondata, sulle informazioni attinte dal rapporto dell’EASO sicchè la doglianza relativa all’omesso espletamento dei poteri ufficiosi è comunque infondata.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo con il quale il ricorrente censura il merito della decisione con riferimento alle violenze perpetrate da altri gruppi sociali, lamentando un’inadeguata attività istruttoria. Il motivo è privo di autosufficienza poichè alquanto generico, non essendo specificati i gruppi armati di cui il ricorrente sarebbe vittima e la connivenza di cui gli stessi sarebbero beneficiati. Al riguardo, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte – cui il collegio intende dare continuità – secondo cui il potere-dovere del giudice di accertare, anche d’ufficio, se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine del richiedente protezione internazionale si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano costui a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ovvero se il grado di violenza indiscriminata abbia raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che lo straniero, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia, sorge solo dopo che il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi della sua personale esposizione al rischio. Ne deriva che il giudicante non può supplire attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi alle deficienze probatorie del ricorrente su cui grava, invece, l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza (Cass., n. 3016/19).
Nel caso concreto, il ricorrente non ha allegato fatti specifici legittimanti ulteriori accertamenti ufficiosi, nè ha chiarito le fonti informative di cui si sarebbe potuto giovare.
Il terzo motivo è del pari inammissibile non avendo il ricorrente allegato fatti concreti legittimanti il permesso umanitario, lamentando genericamente l’omesso accertamento della propria situazione di vulnerabilità.
Al riguardo, è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass., n. 3340/19; n. 27503/18).
Nella fattispecie, la Corte d’appello ha motivato l’esclusione della protezione umanitaria in maniera chiara, con argomenti non specificamente contestati dal ricorrente.
Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione del Ministero.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’assistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2019