LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24184/2017 proposto da:
STRADA DEI PARCHI SPA in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVUOR 19, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE L. NEWTON 112, presso lo studio dell’avvocato SIMONE ARIANO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4861/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/03/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che, con sentenza resa in data 18/7/2017, la Corte d’appello di Roma, per quel che ancora rileva in questa sede, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato la Strada dei Parchi s.p.a. al risarcimento, in favore di S.B., dei danni da quest’ultimo sofferti a seguito di un sinistro stradale verificatosi sull’autostrada *****, affidata in concessione alla società convenuta, provocato da una lastra di ghiaccio non segnalata formatasi sul tratto autostradale percorso dall’attore;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come del tutto correttamente il giudice di primo grado avesse sottolineato la mancata adeguata sorveglianza, da parte della società convenuta, del tratto autostradale sottoposto al suo controllo, sì da consentire la formazione della pericolosa lastra di ghiaccio dedotta in giudizio, individuata quale causa esclusiva del sinistro stradale denunciato dall’attore;
che, avverso la sentenza d’appello, la Strada dei Parchi s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
che S.B. resiste con controricorso;
che la Strada dei Parchi s.p.a. ha depositato memoria;
considerato che, con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 113 e 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale erroneamente deciso la controversia sulla base del solo riferimento all’art. 2051 c.c., trascurando l’applicazione della presunzione di colpevolezza dei protagonisti del sinistro stradale, in difetto di prova contraria, in conformità al disposto normativo di cui all’art. 2054 c.c.;
che il motivo è infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale, a seguito della complessiva ricostruzione del fatto (in conformità a quanto disposto nella sentenza del primo giudice), abbia positivamente attribuito, ai fini dell’individuazione delle premesse dell’evento dannoso, un rilievo causale esclusivo all’insidia costituita dalla lastra di ghiaccio non tempestivamente rimossa dalla società autostradale, in tal modo (sia pure implicitamente) destituendo di alcuna rilevanza ogni possibile richiamo alla presunzione di colpevolezza che l’art. 2054 c.c., attribuisce all’eventuale ruolo causale (o concausale) di tutti i protagonisti del sinistro, in difetto di prova contraria;
che, in tal senso, proprio il positivo accertamento in concreto del rilievo causale esclusivo della pericolosità della cosa in custodia, la cui immediata dannosità è stata dai giudici di merito direttamente imputata alla responsabilità della società custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., ha giustificato il corretto mancato riferimento al (sostanzialmente irrilevante) ruolo normativo dell’art. 2054 c.c., essendosi concentrata, l’integrale responsabilità del sinistro, sul solo fatto illecito della società ricorrente;
che, sul punto – fermo il carattere assorbente del concreto accertamento del ruolo causale esclusivo della pericolosità della strada nella causazione del sinistro de quo – varrà in ogni caso richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di responsabilità civile per i sinistri occorsi nella circolazione stradale, la presunzione di colpa prevista in egual misura a carico dei conducenti dall’art. 2054 c.c., comma 2, ha funzione meramente sussidiaria, operando solo quando è impossibile determinare la concreta misura delle rispettive responsabilità, sicchè, ove risulti accertata l’esclusiva colpa di uno di essi, l’altro conducente è esonerato dalla presunzione, nè è tenuto a provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (Sez. 3, Sentenza n. 18631 del 22/09/2015, Rv. 636981 – 01; conf. Sez. 6-3, Ordinanza n. 19098 del 18/07/2018; Sez. 6-3, Ordinanza n. 12610 del 22/05/2018);
che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 102,331 e 332 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente trascurato di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri automobilisti coinvolti nel sinistro dedotto in giudizio, ai quali, secondo la prospettazione della società ricorrente, avrebbe dovuto ricondursi la responsabilità dell’incidente, con la conseguente erroneità della qualificazione delle domande proposte dall’originario attore nei confronti di detti automobilisti alla stregua di cause scindibili, e della ritenuta superfluità della notificazione dell’appello nei confronti degli stessi, ai sensi dell’art. 331 c.p.c.;
che il motivo è infondato;
che, sul punto, varrà rilevare come secondo la più recente giurisprudenza della Corte di legittimità, l’obbligazione solidale passiva, di regola, non dà luogo a litisconsorzio necessario, nemmeno in sede di impugnazione, in quanto non fa sorgere un rapporto unico e inscindibile, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, bensì rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi, in virtù dei quali è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, potendo il creditore rivendicare o esigere da ciascuno dei condebitori l’intero suo credito (Sez. 3 -, Ordinanza n. 20860 del 21/08/2018, Rv. 650428 – 01);
che tale regola, peraltro, trova deroga – venendo a configurarsi una situazione di inscindibilità di cause e, quindi, di litisconsorzio processuale necessario – quando le cause siano tra loro dipendenti, ovvero quando le distinte posizione dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicchè la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro (Sez. 3 -, Ordinanza n. 20860 del 21/08/2018, cit.);
che, in coerenza a tali premesse, questa Corte ha avuto modo di precisare, con particolare riguardo alla materia della responsabilità civile da circolazione stradale, che il principio secondo cui la domanda di risarcimento dei danni cumulativamente proposta nei confronti di più soggetti corresponsabili di un fatto illecito dà luogo, in sede di impugnazione, a cause scindibili, per effetto del vincolo di solidarietà passiva configurabile tra gli autori dell’illecito, soffre una parziale eccezione nell’ipotesi in cui l’accertamento della responsabilità di uno di essi presupponga necessariamente quello della responsabilità degli altri (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 16391 del 14/07/2009, Rv. 609383 – 01);
che in tal caso, infatti, dovendosi valutare il rapporto di subordinazione logica o di pregiudizialità tra le cause in relazione al contenuto delle censure proposte e all’esito della lite, l’impugnazione della sentenza di condanna proposta dal responsabile originario per negare la propria responsabilità dà luogo ad una causa inscindibile rispetto a quella promossa nei confronti del responsabile “di riflesso”, che in caso di accoglimento del gravame si troverebbe altrimenti a rispondere da solo del fatto commesso da un altro soggetto, mandato invece assolto, mentre la decadenza del danneggiato dall’impugnazione nei confronti del responsabile “di riflesso” non preclude l’impugnazione della sentenza nei confronti del responsabile originario (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 16391 del 14/07/2009, cit.);
che, nel caso di specie, varrà considerare come la Strada dei Parchi s.p.a., a seguito dell’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado (in forza del quale è stata attestata l’esclusiva responsabilità di detta società per il fatto dannoso dedotto in giudizio, ai sensi dell’art. 2051 c.c.), si è limitata, in sede d’appello, a rivendicare, in riforma della decisione del primo giudice, la verifica dell’insussistenza di alcuna responsabilità propria secondo il paradigma di cui all’art. 2051 c.c., senza coinvolgere in alcun modo l’eventuale ruolo di terzi conducenti (anche solo in termini meramente concausali) nella produzione del fatto;
che, in forza di tali premesse, proprio in considerazione dell’esito del giudizio di primo grado (attestante l’esclusiva responsabilità della società Strada dei Parchi s.p.a. ai sensi dell’art. 2051 c.c.) e del contenuto delle censure proposte in appello dalla società odierna ricorrente (dirette a rivendicare l’insussistenza di alcuna responsabilità della stessa ex art. 2051 c.c., senza alcun coinvolgimento di eventuali terzi, anche solo in termini meramente concausali, nella produzione del fatto), correttamente la corte territoriale ha escluso la sussistenza di rapporto di subordinazione logica o di concreta pregiudizialità tra le cause originariamente instaurate dalla parte danneggiata, in tal senso coerentemente negando che la proposizione degli appelli avesse di fatto dato luogo a una causa inscindibile in sede di gravame;
che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 c.c., e dell’art. 132 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale erroneamente escluso il ricorso, nel caso di specie, di un caso fortuito suscettibile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., di elidere il nesso di causalità tra il fatto della società autostradale e i danni sofferti dall’originario attore, e per aver dettato, sul punto, una motivazione totalmente carente e sostanzialmente apparente in relazione all’accertamento della responsabilità della società ricorrente;
che il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, con la denunciata violazione dell’art. 2051 c.c., la società ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam della censura sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
che, peraltro, sotto il profilo della prospettata violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, osserva il Collegio come, ai sensi di detta norma, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;
che, infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poichè intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
che, in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
che, ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico;
che, infatti, la corte d’appello, sulla base degli elementi di prova specificamente richiamati e analizzati in sentenza, ha sottolineato i termini concreti della colpevole riconducibilità, al fatto della società appellante, della formazione della pericolosa lastra di ghiaccio sul tratto autostradale in esame, sottolineando il mancato ricorso di alcun caso fortuito suscettibile di interrompere il nesso di causalità tra l’uso della strada, da parte dei danneggiati, e l’evento dannoso dedotto in giudizio;
che l’iter argomentativo così compendiato dal giudice a quo vale a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
che, sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019
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