LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7684-2017 proposto da:
L.L., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO SCARPANTONI;
– ricorrente –
contro
BT FLEX S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MALIGNANO STUART;
– controricorrente –
e contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 784/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 29/09/2016 R.G.N. 528/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO che ha concluso per accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato ESTER ADA VITA SCIPLINO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 29 settembre 2016 la Corte d’Appello di L’Aquila, in riforma della decisione del Tribunale di Teramo, rigettava la domanda proposta da L.L. nei confronti della società BT FLEX s.r.l. – quale datore di lavoro nel periodo da gennaio 2001 a giugno 2006 – in contraddittOrio con l’INPS ed intesa alla costituzione di una rendita vitalizia corrispondente alla copertura del periodo di omissione contributiva.
2. La Corte territoriale osservava essere carente la prova scritta del rapporto di lavoro, come richiesta dalla L. 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 non potendo essere qualificata tale la sentenza n. 925/2011 del Tribunale di Teramo, già pronunciata tra le stesse parti private e passata in giudicato, che aveva accertato l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, giacchè tale sentenza era fondata su prove testimoniali.
3. Per la cassazione di tale decisione proponeva ricorso la L. affidato ad un unico motivo, cui resistevano l’INPS e la BT FLEX S.r.l. con separati controricorsi.
4. La causa era assegnata ai sensi dell’art. 376 c.p.c. alla sesta sezione civile di questa Corte. Indi, comunicata alle parti la proposta del relatore unitamente al decreto di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., all’esito del deposito di memoria ex art. 380 bis c.p.c. da parte della ricorrente, la detta sezione, con ordinanza interlocutoria n. 25271/2018 dell’11 ottobre 2018, ha rimesso la causa alla sezione semplice (quarta) per la trattazione in pubblica udienza non sussistendo i presupposti per la decisione in camera di consiglio. La ricorrente ha depositato tardivamente memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con l’unico motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13, comma 4, nonchè omesso esame di un fatto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) evidenziandosi come la precedente sentenza di accertamento del rapporto di lavoro dipendente (la n. 925/2011), posta a fondamento della domanda, dava atto della stipulazione tra le parti di cinque contratti di lavoro, che rappresentavano i documenti di data certa richiesti ai fini della prova del rapporto dalla L. n. 1338 del 1962, art. 13, comma 4. In particolare, dalla sentenza risultava che il rapporto di lavoro si era svolto nel periodo da gennaio 2001 ad ottobre 2004 in forza di tre contratti di collaborazione coordinata e continuativa ed a copertura del periodo da ottobre 2004 a giugno 2006 in esecuzione di due contratti di consulenza. Non rivestiva, dunque, rilievo giuridico la circostanza che il modello contrattuale utilizzato non fosse quello del lavoro subordinato in quanto il Tribunale, analizzando la natura del rapporto, era pervenuto a qualificarlo in maniera difforme da come indicato dalle parti. In sostanza, la prova scritta era sussistente in forza dei contratti stipulati tra le parti e richiamati dal giudicato (sentenza n. 925/2001 cit.).
6. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
7. E’ infondato laddove denuncia la violazione della L. n. 1338 del 1962, art. 13.
8. La L. n. 1338 del 1962, art. 13 per quanto di interesse in questa sede, così dispone: “Ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e i superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 55può chiedere all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo comma 4, una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”. I successivi commi 4 e 5, prevedono che: “Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli dal presente articolo su esibizione all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale di documenti di data certa, dai quali possono evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonchè la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato”; “Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente”.
9. Con sentenza del 22 dicembre 1989, n. 568, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 4 e 5, nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sulla esistenza del rapporto di lavoro da fornirsi dal lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto e l’ammontare della retribuzione. La Corte costituzionale ha affermato che, con la norma in esame, il legislatore ha voluto attribuire un trattamento di favore ai lavoratori i quali, per effetto del mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro e della impossibilità del loro tardivo pagamento per intervenuta prescrizione, siano stati privati della pensione, prevedendo la possibilità di costituzione, in luogo della stessa, di una rendita vitalizia reversibile. Al tempo stesso, il legislatore ha voluto impedire che si creassero posizioni assicurative fittizie: di qui la diffidenza per l’ammissibilità di qualunque mezzo di prova. Il necessario bilanciamento degli interessi in gioco, e cioè quello del lavoratore al riconoscimento del diritto e quello dell’I.N.P.S. di limitarlo ai casi di esistenza certa e non fittizia del rapporto di lavoro, onde evitare le possibili frodi in danno dello. Stato, impone di ritenere che almeno l’esistenza del rapporto di lavoro non debba apparire solo verosimile ma risultare certa, onde la necessità dell’ammissione della sola prova documentale.
10. Il Giudice delle leggi ha tuttavia precisato che, secondo logica e ragionevolezza, deve escludersi che il legislatore abbia voluto rendere la relativa prova talmente difficoltosa da vanificare detto riconoscimento o quanto meno da farlo diventare inattuabile, sì da porsi in contrasto con l’art. 24 Cost., oltre che con l’art. 38, risolvendosi la difficoltà di prova nell’impossibilità del soggetto di godere della tutela previdenziale.
11. Tali principi sono stati fatti propri dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 18/1/2005, n. 840), le quali, in una fattispecie in cui erano state prospettate due fasi distinte di attività (la prima formalmente qualificata come occasionale e autonoma, e la seconda “regolarizzata” come lavoro subordinato) ha ritenuto che la dimostrazione dell’effettiva esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato fin da prima della formale costituzione del rapporto di lavoro dovesse essere necessariamente fornita con la prova documentale richiesta dalla L. n. 1332 del 1968, art. 13 non essendo sufficiente, per il periodo antecedente, la prova scritta di un qualsiasi rapporto negoziale tra le parti (cfr. Cass. 2/3/2001 n. 3085; Cass. 5/11/2003 n. 3085). Tale orientamento ha trovato conferma in successive pronunce delle sezioni semplici (Cass. 19/05/2005, n. 10577; Cass. 3/02/2009, n. 2600, richiamata in sentenza; Cass. 20/01/2016, n. 983; Cass., ord. 22/12/2016, n. 26666), in cui si è puntualizzata la regola secondo la quale la durata del rapporto di lavoro può essere provata con ogni mezzo ma deve essere circoscritta al caso in cui il documento comprovi l’avvenuta costituzione di un rapporto a partire dalla medesima epoca, a decorrere dalla quale è consentita la prova, con ogni mezzo, della relativa durata e della retribuzione; nel contempo si è precisato che deve escludersi che la prova testimoniale “alternativa” di cui è onerato il datore di lavoro (o il lavoratore, nell’ipotesi di cui alla citata L. n. 1338, art. 1, comma 5), possa investire anche i fatti da cui desumere la qualificazione del rapporto e l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, in contrasto con la regola della prova scritta dell’esistenza del rapporto di lavoro (Cass., n. 2600/2009, Cass. n. 983/2016, cit.).
12. E’ stato, dunque, circoscritto chiaramente il perimetro entro il quale opera il rigore formale della prova scritta, la quale deve involgere non solo l’esistenza di un rapporto di lavoro (contestuale o successivo al documento) ma anche la sua qualificazione in termini di subordinazione, lasciando invece aperto il campo alla prova testimoniale, e quindi anche a quella presuntiva, in ordine alla sua durata (successiva al documento) e alla retribuzione. Deve, dunque, continuare ad escludersi che la prova della subordinazione possa essere desunta anche in forza di un ragionamento presuntivo stante l’estrema difficoltà di provare in modo diretto tutti gli elementi tipici della subordinazione. E ciò perchè, quando per legge o per volontà delle parti sia prevista, per un certo atto o contratto, la forma scritta, sia essa ad substantiam o ad probationem, tanto la prova testimoniale quanto quella per presunzioni che abbiano ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l’esistenza dell’atto o del contratto sono inammissibili, salvo che la detta prova non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento (Cass. 16/3/2015, n. 5165; Cass. 14/8/2014, n. 17986) ed escludendo dell’art. 2729 c.c., il comma 2 l’ammissibilità delle presunzioni “nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni”. Con la conseguenza che diventa difficilmente sostenibile che, pur in assenza di una prova scritta da cui desumere la subordinazione, la stessa possa essere provata attraverso presunzioni (Cass. 14/7/2017 n. 17533).
13. Orbene, alla luce di tali precedenti va risolta la questione della idoneità dell’accertamento contenuto nel giudicato intervenuto tra le parti private (quanto alla esistenza tra esse di un rapporto di lavoro subordinato) a costituire prova scritta ai sensi del medesimo art. 13.
14. Sul punto consta un risalente precedente di questa Corte (Cass. n. 5239 del 26 settembre 1989, secondo cui anche il giudicato intervenuto in un giudizio di cui l’INPS sia stato parte non integra la prova scritta richiesta dalla L. n. 568 del 1989, art. 13 in quanto “è irrilevante che l’accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro sia avvenuto nel corso di giudizio se ciò è avvenuto mediante prove testimoniali, ancorchè su ciò si sia formato il giudicato, a meno che quest’ultimo non abbia come oggetto la natura di documentazione di data certa di una determinata prova”. Si afferma, tra l’altro, in sentenza che in caso diverso il divieto posto dalla legge risulterebbe sin troppo facilmente eludibile pervenendosi alla prova, ma non documentale e rigorosa come richiesto dalla legge, con un previo excursus giudiziario.
15. Tale orientamento va confermato. Ed infatti, perchè un giudicato avente ad oggetto l’accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro tra le parti private (all’esito di un giudizio in cui l’INPS sia stato parte, e, a fortiori, di uno in cui non lo sia stato) possa essere ritenuto idoneo a costituire prova scritta ai sensi del medesimo art. 13 occorre che in quel giudizio l’accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sia avvenuto sulla scorta di una prova scritta di data certa non solo quanto all’esistenza di un rapporto di lavoro ma anche la sua qualificazione in termini di subordinazione rimanendo aperto il campo alla prova testimoniale, e quindi anche a quella presuntiva, in ordine alla sua durata e alla retribuzione – non essendo sufficiente, per il periodo antecedente, la prova scritta di un qualsiasi rapporto negoziale tra le parti anche se qualificato, poi, diversamente all’esito dell’istruttoria quale lavoro subordinato.
16. Ne consegue che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principio nel ritenere che la sentenza n. 925/2011 del Tribunale di Teramo, già pronunciata tra le stesse parti private e passata in giudicato, che aveva accertato l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, non integrasse la prova scritta del rapporto di lavoro, come richiesta dalla L. 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 essendo tale sentenza fondata su prove testimoniali sulla cui scorta erano stati diversamente qualificati dei rapporti lavorativi non subordinati intercorsi tra le parti e risultanti documentalmente.
17. Alla luce di quanto esposto il ricorso va rigettato.
18. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
19. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
PQM
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate per ciascuno dei controricorrenti in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019