LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27205-2015 proposto da:
C.C.F.F., C.C.F.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA P0, 25 B, presso lo studio dell’avvocato IOLANDA GENTILE, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUIGI MARIA PRISCO, GIOVANNI GIUSEPPE GENTILE;
– ricorrenti –
contro
R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PAVAROTTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO GIUSEPPE PREDIERI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3497/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. E. e F.F. impugnavano con querela di falso due schede testamentarie di F.C. datate, la prima, 12 ottobre 1998, con cui si legava in usufrutto al signor R., la quota di comproprietà su un immobile sito in *****, e la seconda, 7 luglio 1999, con cui si lasciava in legato allo stesso signor R. e alla figlia adottiva Ca. la somma di 40 milioni di Lire.
2. Il Tribunale di Como, disposta la CTU, concludeva sulla base della perizia grafologica per il carattere apocrifo delle due schede testamentarie impugnate e ne dichiarava la nullità.
3. R. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
4. La Corte d’Appello accoglieva il gravame e rigettava la domanda di querela di falso, dichiarando la validità delle schede testamentarie impugnate.
In particolare la Corte d’Appello, dopo aver disposto la rinnovazione della consulenza tecnica, riteneva che i risultati raggiunti da quest’ultima fossero preferibili rispetto a quelli della consulenza svolta in primo grado, in quanto il cospicuo lasso di tempo che separava l’epoca della firma sul passaporto (1974) usata a fini comprativi, rispetto alla redazione delle schede testamentarie rendeva verosimile che le divergenze tra gli scritti fossero dovute proprio al lungo lasso di tempo trascorso. Infatti, considerato che all’epoca della redazione della scrittura di comparazione la signora C. aveva 67 anni e, al momento della redazione dei testamenti aveva superato i 90, doveva ragionevolmente presumersi che, al di là di specifiche patologie escluse dalle cartelle cliniche, già la semplice età della donna avesse contribuito, attraverso un fisiologico tremore della mano, a rendere il tratto di scrittura diverso da quello del passato. Lo stesso vizio di valutazione poteva estendersi anche all’esame delle differenze tra il primo testamento (del 1997) e quelli seguenti (1998-1999), perchè essendo trascorso solo un anno le divergenze non erano macroscopiche quanto quelle con la firma apposta sul passaporto nel 1974. Peraltro, in età così avanzata anche a distanza di pochi anni, o persino pochi mesi, le condizioni di salute possono subire una flessione anche piuttosto evidente, eventualità resa ancora più probabile dalla circostanza che, nel *****, era sopravvenuto il decesso della testatrice, a soli nove mesi dall’ultimo atto di disposizione.
Sulla base di tali considerazioni la Corte d’Appello riteneva che la seconda CTU avesse dato una risposta tecnicamente più adeguata al quesito circa la riconducibilità delle schede di testamentaria alla signora F.C..
5. C.C.F.E. e C.C.F.F. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.
6. D.G. ha resistito con controricorso e ha depositato memoria in prossimità dell’udienza con la quale ha eccepito la tardività del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di tardività del ricorso.
L’eccezione è infondata in quanto il primo ricorso, senza la procura, risulta spedito nel rispetto del termine ex art. 325 c.p.c. e il ricorrente ha riattivato il processo notificatorio con immediatezza, svolgendo gli atti necessari al suo completamento.
1.1 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Nullità della sentenza per omessa indicazione delle ragioni di consenso alla CTU e di dissenso alle critiche dei ricorrenti in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., n. 4.
I ricorrenti lamentano che la corte territoriale abbia totalmente ignorato le critiche fatte alla relazione peritale svolta nel giudizio di appello mentre avrebbe dovuto prenderle in considerazione analiticamente, non foss’altro che per confutarle. Tali critiche erano molteplici e corredate anche da immagini ingrandite al microscopio e avevano occupato oltre 10 pagine della comparsa conclusionale in appello.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per motivazione apparente sull’adesione alle conclusioni della seconda CTU (art. 360 c.p.c., n. 4).
Secondo i ricorrenti la motivazione della Corte d’Appello, nella parte in cui aderisce alla seconda consulenza tecnica, è apparente, limitandosi a citare frasi estrapolate dalla consulenza tecnica.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame e cattivo governo di atti processuali su fatti di rilevanza decisiva oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5), violazione dell’art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).
I ricorrenti ritengono che la Corte d’Appello abbia travisato la consulenza tecnica d’ufficio soprattutto in relazione alla circostanza relativa ai tremori della mano che erano presenti anche nella scrittura del 1997 usata a fini comparativi, e abbia posto a fondamento della decisione tale circostanza in violazione dell’art. 115 c.p.c.
3.1 I primi tre motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono inammissibili.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: “Qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione” (Sez. 1, Ord. n. 15147 del 2018).
Nel caso in esame la Corte d’Appello, dopo aver ritenuto necessario procedere ad una nuova consulenza tecnica, ha ampiamente motivato circa le ragioni per le quali le conclusioni cui era pervenuto il secondo consulente circa l’attribuibilità alla de cuius delle schede testamentarie fossero da preferire rispetto a quelle di cui alla prima consulenza.
In particolare, si è evidenziato il cospicuo lasso di tempo che separava l’epoca della firma sul passaporto (1974) usata a fini comprativi, rispetto alla redazione delle schede testamentarie (1998 e 1999) che rendeva verosimile l’insorgere di un fisiologico tremore della mano. tra il primo testamento (del 1997) e quelli seguenti (1998-1999). Inoltre, le divergenze con il primo testamento del 1997 non erano macroscopiche, essendo trascorso solo un anno, e in ogni caso si giustificavano con il repentino peggioramento delle condizioni fisiche di una persona, tenuto conto della sua età molto avanzata (90 anni).
Risultano, pertanto, inammissibili le doglianze dei ricorrenti circa il mancato esame delle proprie critiche alla consulenza, così come quelle relative alla motivazione solo apparente delle ragioni di adesione alla seconda consulenza espletata o di travisamento della stessa in relazione alla circostanza relativa ai tremori della mano, risolvendosi le stesse in una richiesta di riesame nel merito delle risultanze istruttorie.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto storico rilevante ai fini della decisione risultante dagli atti processuali (art. 360 c.p.c., n. 5) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. anche in relazione all’art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).
I ricorrenti sostengono che quanto dedotto nei capitoli di prova, circa il fatto che la testatrice non avesse alcuna intenzione di rilasciare al pronipote R. l’usufrutto sulla sua quota di comproprietà dell’immobile, non fosse stato contestato dalla controparte che si era limitata a chiedere l’inammissibilità dei capitoli giudicandoli irrilevanti. La mancata contestazione renderebbe le circostanze dedotte come pacifiche, ed essendo le stesse incompatibili con l’autenticità delle schede testamentarie oggetto della querela di falso, avrebbero dovuto essere valutate.
In ogni caso qualora le si volesse ritenere come mero elemento di presunzione, unite agli altri elementi, comunque avrebbero consentito alla Corte d’Appello di Milano di giungere a diversa conclusione, mentre la sentenza impugnata non le ha considerate affatto.
4.1 Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, lo stesso ricorrente evidenzia che la controparte aveva eccepito l’inammissibilità dei capitoli di prova mediante i quali pretenderebbe di ritenere provata la falsità delle schede testamentarie, dunque, i suddetti capitoli di prova erano stati radicalmente contestati.
In ogni caso deve darsi continuità al seguente principio di diritto: “L’onere di contestazione concerne le sole allegazioni assertive della controparte e non anche il contenuto dei capitoli della prova testimoniale, posto che da questi ultimi è possibile trarre elementi di prova solo in quanto siano stati ammessi e confermati dal teste” (Sez. 3, Ord. n. 16908 del 2018).
Ne consegue che, per gli stessi motivi, i suddetti capitoli di prova non potevano costituire neanche un mero elemento presuntivo utilizzabile dal giudice, e sotto l’ombrello del vizio di omesso esame i ricorrenti tendono ad una rivalutazione nel merito della vicenda.
5. In conclusione il ricorso deve dichiararsi inammissibile.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 4000 più 200 per esborsi;
ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019
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