Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.14614 del 29/05/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8730/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12.

– ricorrente –

contro

Azienda Agricola C. s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, n. 47/15/13, depositata il 27 settembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 aprile 2019da1 Consigliere Paolo Catallozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. Cinzia Melillo, per la ricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 27 settembre 2013, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dall’Azienda Agricola C. s.s. per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui era stata recuperata l’i.v.a. asseritamente non versata per l’anno 2005, relativamente alla cessione di impianti meccanizzati, considerato indetraibile, con riferimento al medesimo periodo di imposta, l’i.v.a. assolta in relazione all’acquisto dei medesimi beni, e irrogate le relative sanzioni.

2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo impugnato l’Ufficio ha contestato l’inesistenza, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, delle menzionate operazioni.

2.1. In essa si dà atto che il giudice di primo grado ha ritenuto che le operazioni rappresentate nelle fatture in oggetto fossero inesistenti, ma ha escluso la riferibilità del comportamento elusivo alla contribuente, la quale avrebbe operato in buona fede, nella convinzione che per ottenere il finanziamento pubblico previsto dalla L. 28 novembre 1965, n. 1329, fosse necessario procedere alla vendita ed al successivo acquisto di beni strumentali.

2.2. Il giudice di appello ha confermato la decisione di primo grado evidenziando che la contribuente era, al tempo stesso, cedente e cessionario del medesimo bene, per cui l’importo dell’i.v.a. dovuto in relazione alle due operazioni era neutralizzato per effetto dell’operatività del sistema delle rivalse e delle detrazioni; con la conseguenza che l’accoglimento della tesi dell’Amministrazione finanziaria avrebbe comportato la duplicazione del versamento dell’i.v.a., in violazione del principio di neutralità dell’imposta.

Ha aggiunto che non ricorreva una condotta fraudolenta della contribuente, non emergendo la finalità di evadere o di realizzare un credito d’imposta inesistente, quanto quello di conseguire agevolazioni creditizie e contributive.

3. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.

4. L’azienda Agricola C. s.s. non spiega alcuna attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso proposto l’Agenzia deduce la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 21, art. 2700 c.c., e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, nonchè l’omessa conservazione di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Evidenzia, da un lato, l’apparenza della motivazione nella parte in cui ha ritenuto insussistente l’obbligo del versamento dell’Iva da parte di colui che appare cedente di un’operazione oggettivamente inesistente e la contraddittorietà della stessa nella parte in cui ha escluso la frode della società contribuente Dall’altro lato, censura la sentenza per aver ritenuto insussistente la pretesa erariale pur in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti.

1.1. Il motivo è fondato.

Ai sensi della sesta Dir. 77/388/CEE, art. 10, par. 2, e art. 17, paragrafo 1, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, applicabile alle operazioni in esame ratione temporis, il diritto alla detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile, ossia all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi.

Da ciò consegue che il diritto a detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi, per cui in difetto della cessione effettiva dei beni o della prestazione dei servizi un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente la sua indicazione della relativa fattura.

Ne consegue che il diritto alla detrazione è subordinato alla condizione che le operazioni corrispondenti siano state effettivamente realizzate, non ostandovi il principio della neutralità fiscale, il quale, costituendo la traduzione del principio generale della parità di trattamento, consente un trattamento differenziato degli operatori economici per l’assenza di operazioni imponibili rispetto a quelli che hanno posto in essere un’operazione imponibile effettivamente realizzata (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI).

Può aggiungersi, inoltre, che il principio della neutralità fiscale non osta al diniego di detrarre l’IVA a monte opposto al destinatario di una fattura, a causa dell’assenza di un’operazione imponibile, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente della fattura, l’IVA dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata (Corte UE, 31 gennaio 2013, LVK).

Il diritto alla detrazione dell’i.v.a. richiede, dunque, quale sua condizione sostanziale, che l’operazione imponibile sia effettivamente realizzata, indipendentemente dagli scopi e dai risultati della stessa, per cui l’amministrazione tributaria non è obbligata a procedere ad indagini per accertare la volontà del soggetto passivo, o a tener conto dell’intenzione di un operatore, diverso da tale soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni (cfr. Corte UE, 27 giugno 2018, SGI; Corte UE, 21 novembre 2013, (Mons Retail).

La buona o la malafede del soggetto passivo che chiede la detrazione dell’IVA non incide, infatti, sulla questione se la cessione sia effettuata, ai sensi della sesta Dir., art. 10, par. 2.

Sotto altro aspetto può osservarsi che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede dell’operatore, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (così, Cass., ord., 14 settembre 2016, n. 18118).

1.2. Con riferimento alla pretesa erariale concernente il versamento dell’i.v.a. esposta nella fattura di vendita, si rileva che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, stabilisce che “Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti… l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura “.

Infatti, la semplice emissione del documento contabile, completo in tutti i suoi elementi formali, in quanto suscettibile di essere utilizzato a fini fiscali – o ad altri fini giuridicamente rilevanti – ove non sia stato tempestivamente eliminato e sottratto al commercio giuridico determina l’insorgenza del rapporto impositivo (cfr. Cass., ord., 14 febbraio 2019, n. 4344; Cass. 27 maggio 2015, n. 10939).

Ciò non si pone in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA in quanto la sesta Dir., art. 21, n. 1, lett. c), laddove prevede che l’IVA esposta nella fattura sia dovuta indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad IVA, mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione previsto dalla sesta Dir., art. 17, prevalendo, dunque, la funzione ripristinatoria conseguente all’eliminazione dell’anomalia creata in difetto di rettifica od annullamento della fattura concernente dati difformi dalla realtà dell’operazione economica (cfr. Corte UE, 31 gennaio 2013, Stroy Trans; Corte UE, 18 giugno 2009, Stadeco).

Pertanto, l’emittente della fattura è tenuto, quale soggetto passivo, a versare l’IVA ivi liquidata nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura, a meno che risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, derivante dall’esercizio del diritto alla detrazione (o al rimborso).

2. La sentenza impugnata va, dunque, cassata e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472