LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8730/2015 proposto da:
V.A., Ve.Al., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Ferro Massimiliano, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via del Consolato n. 6, presso lo studio dell’avvocato Galante Andrea, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Serra Massimo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
B.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 444/2014 del TRIBUNALE di VARESE, depositata il 06/05/2014 e l’ordinanza n. 480/2015 della CORTE di APPELLO di MILANO, depositata il 30/1/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2019 dal cons. Dott. MARULLI MARCO.
FATTI DI CAUSA
1. V.A. e Ve.Al. ricorrono per cassazione – di seguito all’ordinanza di inammissibilità dell’appello pronunciata ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 1, – avverso la sentenza in epigrafe con la quale il Tribunale di Varese, in relazione alla controversia dai medesimi promossa nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e del promotore finanziario di questa, B.A., onde vedersi risarcito il pregiudizio sofferto per aver affidato a quest’ultimo la complessiva somma di Euro 250.000.000,00 ai fini di investimento, ha accolto la domanda nei confronti del B. e l’ha invece respinta nei confronti della banca accollando altresì agli attori le spese dell’anticipata CTU.
A conforto del pronunciato rigetto il Tribunale, ponendo a confronto la documentazione afferente alle operazioni effettivamente registrate nella contabilità della banca e quella afferente alle operazioni concluse dagli attori per il tramite del B., ha fatto rilevare riguardo a quest’ultima che, diversamente dalla prima, “non risulta alcuna indicazione del nominativo dell’istituto bancario, non vi è l’individuazione del B. quale promotore finanziario della banca, non vi sono i dati identificativi della banca, non vi è alcuna spiegazione sulla tipologia dell’investimento, nessuna modulistica relativa all’adeguatezza dell’investimento medesima, non sono indicati i dati degli investitori e neppure le modalità di corresponsione della somma oggetto di investimento”. E su questi rilievi, comprovanti come non vi fosse in atti alcun elemento in grado di far ritenere secondo l’ordinaria diligenza che l’attività del promotore fosse riferibile alla banca, si è indotto ad affermare che gli attori non avessero “in modo incolpevole fatto affidamento sul collegamento fra l’attività posta in essere dal convenuto e l’incarico del medesimo quale promotore dell’istituto bancario”, in ragione di ciò escludendo la responsabilità dell’istituto bancario.
Il mezzo proposto dai V. ai fini dell’impugnazione si vale di quattro motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, a cui resiste la banca con controricorso, mentre non ha svolto attività difensiva il B..
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1 Con il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso i V. che nell’illustrazione del primo motivo di ricorso censurano anche il pronunciamento d’appello nella parte in cui il giudice ivi adito aveva omesso di valutare le prove documentali esibite dagli appellanti e la loro mancata contestazione da parte avversa – si dolgono, declinando la medesima doglianza, dell’errore in cui, pronunciandosi nei riferiti termini, sarebbe incorso il giudice di primo grado nell’applicare l’art. 2049 c.c., posto che, contrariamente a quanto da questi ravvisato, vi era agli atti “più di una prova documentale che dimostr(ava) l’effettivo collegamento fra il promotore B. e la Banca MPS, nonchè l’inserimento del primo nell’organizzazione commerciale della seconda” (primo motivo); che non era per contro “dimostrato nè il dolo dei ricorrenti nè tanto meno la loro fattiva e consapevole cooperazione alla condotta illecita e truffaldina del B.” (secondo motivo); che, essendo perciò provato documentalmente il nesso di occasionalità necessaria tra l’attività del promotore e la banca, “ne derivava la sussistenza della responsabilità solidale a carico di MPS”.
2.2. Previamente osservato che l’ordinanza ex art. 348-ter c.p.c. non è suscettibile di impugnazione per cassazione se non per vizi processuali propri, restando per contro escluso che essa sia impugnabile con censure riguardanti il “merito” della controversia, giusta la previsione di ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado e quindi la sua non definitività rilevante ai fini dell’art. 111 Cost., comma 7, (Cass., Sez. U, 02-02-2016, n. 1914), tutti i sopradetti motivi, esaminabili congiuntamente in quanto illustranti la medesima censura, non evidenziano sotto i profili denunciati alcuna criticità rilevante in capo all’impugnata decisione ed intendono unicamente sollecitare, in violazione della preclusione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, una rinnovata valutazione delle risultanze fattuali di causa già apprezzate sfavorevolmente dal primo giudice.
In termini di stretto diritto questa Corte non può perciò che confermare l’assunto enunciato dal primo giudice essendo da tempo suo convincimento che “in tema di contratti di intermediazione finanziaria, la responsabilità dell’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3, per i danni arrecati ai terzi dai propri promotori finanziari, deve essere esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, verificandosi in tal caso l’interruzione del nesso di occasionalità necessaria tra il fatto produttivo di danno e l’esercizio delle mansioni cui il promotore finanziario sia adibito, costituente condizione necessaria e sufficiente della responsabilità oggettiva del preponente” (Cass., Sez. III, 12/10/2018, n. 25374). In questa prospettiva costituiscono indici presuntivi di una condotta anomala rappresentativa se non del dolo del cliente, quantomeno di una consapevole acquiescenza circa la natura illecita delle condotte poste in essere dal promotore, secondo quanto si è precisato, “il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso “iter” funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche” (Cass., Sez. I, 13/12/2013, n. 27925). Non diversamente, del resto, da quanto mostra di credere il decidente di merito, allorchè, per corroborare argomentativamente il proprio assunto, si è dato cura di repertare in modo minuzioso le differenze tra la documentazione attestante gli investimenti realmente intercorsi fra i clienti e la banca e quella relativa agli investimenti inesistenti, in tal modo procedendo ad un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di questa Corte (Cass., Sez. I, 10/11/2015, n. 22956).
2.3. L’incensurabilità in questa sede dell’apprezzamento così operato dal primo giudice porta peraltro pure a mettere in chiaro che l’iniziativa ricorrente trascolora apertamente – in particolare laddove insiste nell’argomentare che i documenti versati in causa comprovino una diversa realtà sostanziale rispetto a quella eletta dal decidente in un’inammissibile richiesta di procedere ad una revisione del ragionamento decisorio per via di una nuova, ed auspicabilmente più favorevole, valutazione dei fatti di causa chiamando questa Corte ad esperire un ufficio estraneo ai propri compiti.
3. Inaccoglibile si rivela pure il quarto motivo di ricorso, inteso a contestare la determinazione assunta dal decidente in ordine alle spese di CTU, riposando esso sul postulato, privo di autosufficienza, giacchè sul punto il motivo glissa, che la CTU sia stata esperita solo in rapporto alla posizione processuale del soccombente B., ancorchè nella specie fosse stata convenuta nella medesima posizione, onde far valere la solidale responsabilità della stessa in relazione all’operato del promotore infedele, anche la banca, risultata all’esito dell’incardinato giudizio parte vincitrice, cui non può essere per il principio dell’art. 91 c.p.c. ed in difetto di una determinazione del giudice a mente dell’art. 92 c.p.c., accollato alcun costo processuale.
4. Il ricorso va dunque respinto.
5. Spese alla soccombenza.
6. Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 27 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019