Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.14664 del 29/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6542/2012 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 47, presso lo studio dell’avvocato Izzo Carlo Guglielmo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mainardi Alessandro, Cerbo Pasquale, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – Consob, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via G.B. Martini n. 3, presso gli Uffici della Consob, rappresentata e difesa dagli avvocati Palmisano Paolo, Biagianti Fabio, Valente Antonella, giusta procura in calce alla memoria di nomina di nuovi difensori;

– controricorrente –

contro

Gu.Er., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Carso n. 43, presso l’avvocato Izzo Adriano, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Dott. Z.C. di Brescia

– Rep.n. *****;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1942/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/04/2019 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi terzo, quarto ed undicesimo e rigetto degli altri motivi del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Cerbo che ha chiesto l’accoglimento;

uditi, per la controricorrente Consob gli avvocati Palmisano e Biagianti e, per la resistente Gu. l’Avvocato Izzo, che hanno chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

1.- G.G. fu condannato in sede penale per il reato di abuso di informazioni privilegiate, ma la sentenza fu annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione (con sentenza della sez. V penale, n. 9391 del 2006) perchè il fatto non era più previsto dalla legge come reato, avendo la L. 18 aprile 2005, n. 62, depenalizzato la condotta da lui posta in essere (quale insider trading secondario), prevista quale illecito amministrativo nel D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, nuovo art. 187 bis.

2.- A seguito di comunicazione della sentenza, la Consob contestò a G. l’illecito amministrativo per avere acquistato, in data 11 marzo 1999, n. 250000 azioni ordinarie dell’emittente società Zucchini per un controvalore di Euro 1.917.500, prima che fosse annunciato il lancio dell’OPA da parte della società Sparta, deliberato il 12 marzo 1999, per poi rivenderle tra il 18 marzo e l’8 aprile 1999 al prezzo superiore di Euro 2.080.000, avvalendosi dell’informazione privilegiata relativa all’imminente lancio dell’OPA sulla titolarità delle azioni di Sparta, della quale era amministratore delegato; con delibere Consob n. 15973, 16272 e 16333 del 2007, gli fu applicata la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 325.000, quella interdittiva accessoria e la confisca per equivalente dell’importo sequestrato (Euro 2.080.000), corrispondente al prodotto dell’illecito.

3.- G. ha impugnato le suddette delibere dinanzi alla Corte d’appello di Milano, deducendo: 1) la nullità dell’atto di contestazione degli addebiti, in quanto consegnato a mezzo posta a persona a lui estranea e senza l’attestazione dell’assenza del destinatario da parte dell’agente postale; 2) la tardività della notifica del verbale di contestazione rispetto alla data di trasmissione alla Consob della sentenza della Corte di cassazione n. 273 del 2006; 3) la violazione del principio di necessaria distinzione tra le funzioni istruttorie e decisorie della Consob e, in concreto, l’illegittima interferenza del presidente della Consob nell’attività di indagine e nelle valutazioni di merito rimesse agli uffici amministrativi; 4) l’insussistenza dell’illecito amministrativo e la inapplicabilità dell’art. 187 bis t.u.f., non avendo egli realizzato un profitto dalla vendita delle azioni, nè avendo sfruttato informazioni privilegiate; l’eventuale abuso di informazioni privilegiate, quale amministratore di Sparta, costituirebbe ancora condotta penalmente rilevante, quindi non potrebbe applicarsi la sanzione amministrativa, prevista per le sole condotte depenalizzate (cd. insider secondario); 5) la erronea trasmissione degli atti alla Consob, avendo la Corte di cassazione pronunciato una sentenza di assoluzione o di proscioglimento; 6) la non applicabilità retroattiva della più gravosa normativa sopravvenuta che ha previsto la confisca per equivalente, mentre quella precedente prevedeva solo la confisca dei mezzi anche finanziari per commettere il reato e dei beni costituenti il profitto; 7) la eccessiva gravosità delle sanzioni applicate; 8) la illegittimità costituzionale del sistema sanzionatorio delineato dagli artt. 187 bis, quater e sexies del t.u.f. e L. n. 62 del 2005, art. 9,comma 6.

4.- L’adita Corte d’appello ha rigettato l’opposizione con sentenza 24 agosto 2011, avverso la quale G. ricorre per cassazione con dodici motivi, cui si oppone la Consob.

5.- Il ricorso giunge all’esame di questo Collegio a seguito di rinvio nell’attesa della decisione della Corte costituzionale – poi intervenuta con sentenza n. 223 del 2018 – investita da altra sezione di questa Corte della questione di legittimità costituzionale del sistema sanzionatorio innovato dalla L. n. 62 del 2005. Le parti hanno presentato memorie difensive.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della L. 20 novembre 1982, n. 890, 2699 e 2700 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere ritenuto valida la notifica dell’atto di contestazione a persona ( F.M.) qualificatasi erroneamente come “delegato del destinatario” e che non aveva alcun rapporto personale e collegamento con G., senza esaminare la documentazione prodotta (il certificato di residenza in altro luogo e una dichiarazione dello stesso F.), non ammettendo la prova testimoniale richiesta e rilevando contraddittoriamente l’inammissibilità della querela di falso per inidoneità delle prove orali offerte a smentire il fatto storico della dichiarazione ricevuta dall’agente postale.

Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7 e vizio di motivazione, per avere ritenuto valida la predetta notifica, nonostante che l’avviso di ricevimento non desse conto dell’assenza del destinatario e delle vane ricerche delle altre persone indicate nella norma in via preferenziale.

1.1.- I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

La Corte di merito, premesso che l’atto di contestazione era stato consegnato a persona identificata ( F.M.) e qualificatasi come “delegata del destinatario”, correttamente ha osservato che l’agente postale non era tenuto ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione resa dal soggetto che aveva ricevuto il plico al domicilio del destinatario, essendo sufficiente che essa concordasse con la situazione apparente, consistente nella presenza del consegnatario all’indirizzo del destinatario; dunque la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, sul quale gravava l’onere di provare l’inesistenza della qualità dichiarata dal consegnatario (Cass. S.U. n. 22044 del 2004), onere che, nella specie, non è stato assolto, come da incensurabile accertamento compiuto dai giudici di merito.

In tal caso, l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, ma non prova la veridicità e l’esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti, le quali possono essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge (Cass. n. 22903 del 2017), ancorchè la firma del consegnatario non sia leggibile o non sia indicata la qualità del consegnatario, non ravvisandosi alcuna ipotesi di nullità di cui all’art. 160 c.p.c. (Cass. S.U. n. 9962 del 2010; n. 21496 del 2012, n. 16289 del 2015), non essendo richiesta, ai fini della validità della notifica, l’attestazione che il destinatario non è stato rinvenuto in loco (Cass. n. 5706 del 1999), nè necessario il compimento di ulteriori ricerche, a fronte di una notifica rituale, a norma della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, comma 2.

2.- Il terzo e quarto motivo denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 187 sexies t.u.f., in relazione all’art. 7, par. 1 Cedu e all’art. 25 Cost., comma 2, e vizio di motivazione, per avere applicato la più gravosa sanzione della confisca per equivalente dell’intero “prodotto” dell’illecito, prevista dalla normativa sopravvenuta, anzichè quella prevista dalla normativa vigente all’epoca del fatto che limitava la confisca ai “mezzi, anche finanziari, utilizzati per commettere il reato e (ai) beni che ne costituiscono il profitto” (art. 180, comma 5).

2.1.- I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.

A G., non ritenendosi possibile la confisca diretta del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 sexies, comma 1, è stata inflitta la confisca per equivalente di somme di denaro, prevista dal comma 2, della medesima disposizione, costituente nuovo trattamento sanzionatorio, la cui applicazione è stata determinata esclusivamente dalla sopravvenuta previsione normativa di questa nuova forma di confisca al nuovo illecito amministrativo.

E’ stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della suddetta confisca per equivalente, la cui applicazione è stata prevista dalla L. n. 62 del 2005 (art. 9, comma 6) anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa legge, in ragione del carattere in concreto deteriore del nuovo trattamento sanzionatorio rispetto alla previgente disciplina penalistica che prevedeva, a norma del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 180, la confisca diretta dei mezzi utilizzati per commettere il delitto e dei beni costituenti il profitto.

La questione è stata accolta dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 223 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 62 del 2005, art. 9, comma 6, nella parte in cui stabilisce che la confisca per equivalente prevista dall’art. 187 sexies si applica, allorchè il procedimento penale non sia stato definito, anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa L. n. 62 del 2005, quando il complessivo trattamento sanzionatorio conseguente all’intervento di depenalizzazione risulti in concreto più sfavorevole di quello applicabile in base alla disciplina previgente. E non v’è ragione di negare, anche nel caso di specie, la maggiore afflittività del trattamento sanzionatorio amministrativo rispetto al previgente trattamento sanzionatorio penale, nulla avendo la Consob specificamente controdedotto al riguardo nella seconda memoria, tenuto conto delle ragioni indicate nella citata sentenza costituzionale (p. 6.3) e dell’entità della confisca per equivalente (di oltre due milioni di Euro, in aggiunta alla sanzione pecuniaria e a quella interdittiva), neppure emergendo elementi che avrebbero impedito la concessione all’autore dell’illecito della sospensione condizionale della pena nel giudizio penale.

Ne consegue che la confisca per equivalente risulta priva di base normativa, essendo stata espunta dall’ordinamento la disposizione che la prevedeva, e quindi illegittima l’applicazione della stessa al ricorrente.

2.2.- E’ quindi assorbito il dodicesimo motivo che, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 sexies, comma 2, eccepisce l’illegittimità costituzionale della disciplina recata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 187 bis, quater e sexies, e della L. n. 62 del 2005, art. 9, comma 6, in tema di confisca per equivalente.

3.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 sexies, per essere stato giudicato responsabile di abuso di informazione privilegiata, mentre egli era ideatore e realizzatore dell’OPA sui titoli Zucchini, essendo azionista e amministratore delegato dell’offerente società Sparta, quindi doveva beneficiare dell’esenzione del divieto (di insider trading) prevista per il soggetto creatore dell’informazione, anche tenuto conto che il 30 Considerando della direttiva 2003/6/CE non distingue l’ideatore persona fisica dalla società offerente.

3.1.- Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha evidenziato che l’esenzione di cui si tratta riguarda il soggetto che porta ad attuazione l’operazione da esso direttamente congegnata – in quanto direttamente riferibile alla società in nome e per conto della quale l’amministratore agisce – nel qual caso non si riscontra una fruizione di informazioni su eventi o propositi altrui, mentre, nella specie, l’acquisto delle azioni era stato effettuato da G. in proprio e non come amministratore (organo) della società Sparta cui l’informazione apparteneva, non rilevando che egli stesso fosse l’originario ideatore dell’operazione.

La fattispecie di insider è quindi configurabile nella specie, in considerazione dell’imprescindibile distinzione della personalità giuridica della società rispetto a quella del socio (seppur di controllo) e amministratore della prima che dell’informazione si avvalga personalmente, ravvisandosi la ratio punitiva propria della complessiva disciplina di settore, che consiste nell’esigenza di garantire che le operazioni di mercato si svolgano in condizioni di parità informativa tra gli operatori.

Ed ancora, “le operazioni in relazione alle quali si contesta l’abuso di informazione privilegiata consistono in acquisti di titoli effettuati prima del lancio dell’OPA e, quindi, diversi dagli acquisti costituenti attuazione della decisione oggetto di informazione privilegiata (lancio dell’OPA)” (Cass. n. 24310 del 2017): nella specie, le operazioni di acquisto delle azioni Zucchini sono state effettuate dal ricorrente non in esecuzione dell’OPA, ma prima del lancio della stessa.

Questa valutazione ha carattere decisivo, avendo il precedente poc’anzi richiamato, in tema di abuso di informazioni privilegiate D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 187 bis, precisato che la nozione di “informazione” rilevante, siccome priva di riferimenti alla relativa provenienza, va intesa come sinonimo di “conoscenza” o “notizia” oggetto di possesso, indipendentemente dal fatto che essa sia stata o meno trasmessa da altri, non rinvenendosi alcun riferimento alla circolazione che la notizia possa avere avuto prima di entrare nella disponibilità dell’agente nè nell’art. 187 bis, nè nell’art. 1, n. 1, della Direttiva 2003/6/CE.

4.- Il sesto motivo denuncia vizio di motivazione per avere, da un lato, ritenuto che l’utile personale non fosse estraneo all’azione di G. e, dall’altro, escluso che egli avesse operato esclusivamente in vista del successo dell’OPA lanciata per il raggiungimento del controllo della Zucchini, e ciò sulla base della non veritiera circostanza che avesse venduto i titoli sul mercato anzichè direttamente alla società.

4.1.- Il motivo è inammissibile nella parte in cui mira ad una rivisitazione di apprezzamenti di fatto operati dai giudici di merito in senso diverso da quello auspicato dal ricorrente e, comunque si appunta su profili non decisivi, riguardanti le motivazioni personali o le finalità dell’operato di G., tenuto conto che l’art. 187 bis, sanziona l’oggettivo sfruttamento abusivo di informazioni privilegiate.

5.- Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 184 e 187 bis, e L. n. 62 del 2005, art. 9, comma 6, per essere stato sanzionato dalla Consob quale insider non secondario ma primario, in quanto amministratore della società offerente Sparta, mentre la condotta contestata non sarebbe stata depenalizzata ma sarebbe ancora sanzionata penalmente, quindi l’autorità amministrativa non aveva il potere di sanzionarla.

5.1.- Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha correttamente rilevato che “proprio sostenendo la tesi opposta (e cioè la riconducibilità della fattispecie a un caso di insider secondario) e di ciò convincendo la Suprema Corte, i difensori di G. ne hanno ottenuto in sede penale il proscioglimento (sia pure con la formula “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”) invece della condanna. Pretendere quindi di ribaltare in sede amministrativa o in questa sede giurisdizionale il fondamento di tale decisum appare chiaramente inammissibile. Così come inammissibile è richiedere che il giudizio reso in termini d’irrilevanza penale del fatto dalla Corte di cassazione (acclarato) potesse venire disatteso da Consob, chiamata a valutare la sussistenza o meno di un illecito depenalizzato, che presuppone la qualifica di insider secondario dell’attuale ricorrente”.

Se è vero che la trasmissione degli atti alla Consob è prevista al fine di consentire un’autonoma valutazione della sussistenza dell’illecito amministrativo, non è però consentito, in sede di opposizione alla sanzione amministrativa comminata per l’illecito depenalizzato, mettere in discussione l’operatività del giudizio di sopravvenuta irrilevanza penale, in relazione ai fatti contestati in sede penale e definitivamente accertati non essere più previsti dalla legge come reato. L’ampia latitudine della potestas valutativa rimessa all’autorità amministrativa non poteva incrinare l’accertamento operato dalla Corte di cassazione in sede penale, essendo la Consob chiamata a giudicare degli elementi costitutivi di una fattispecie avente esclusiva connotazione amministrativa.

6.- L’ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 62 del 2005, art. 9, comma 6, e L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, per avere ritenuto tempestiva la notifica dell’atto di contestazione, perfezionatasi invece oltre il termine di 180 giorni dalla trasmissione degli atti alla Consob, tenuto conto che la lettera di trasmissione della Corte di cassazione recava la data dell’11 luglio 2006, mentre la notifica della contestazione era avvenuta il 9 gennaio 2007, cioè 182 giorni dopo, omettendo di considerare che il citato art. 9, comma 6, derogando alla L. n. 689 del 1981, art. 14, faceva riferimento non alla ricezione ma alla “trasmissione degli atti alla Consob”.

6.1.- Il motivo è infondato.

Premesso che, tanto ai sensi della L. n. 62 del 2005, art. 9, quanto ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 41, comma 1, (la prima in rapporto di specialità con la seconda), il termine di centottanta giorni entro cui deve avvenire la contestazione dell’illecito decorre dalla trasmissione degli atti all’autorità amministrativa, trattandosi di attività che realizza un “continuum” procedimentale diretto a trasferire nella sede amministrativa il patrimonio di conoscenze del fatto formatosi in quella penale, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che tale momento, nel caso di fatti già sanzionati penalmente e successivamente depenalizzati, si identifica con quello nel quale gli atti relativi pervengono alla competente autorità amministrativa, cui sono trasmessi dall’autorità giudiziaria, poichè solo dopo tale ricevimento l’amministrazione è in grado di esercitare il diritto di riscuotere la somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa (Cass. n. 9643 del 2016).

Ne consegue che, dovendosi avere riguardo al momento in cui la Consob aveva ricevuto gli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria (cfr. Cass. n. 7754 del 2010), la notifica dell’atto di contestazione in data 9 gennaio 2007 era tempestiva, atteso che la menzionata nota della Corte di cassazione dell’11 luglio 2006 non poteva ritenersi effettivamente conosciuta da Consob prima della data (24 luglio 2006) in cui era stata protocollata, tanto più che la ricezione della suddetta nota non garantiva la ricezione anche degli atti che, secondo plausibile e incensurabile apprezzamento di fatto, i giudici di merito hanno riferito di essere stati acquisiti dall’autorità amministrativa il successivo 3 agosto 2006.

Si tratta di plausibili e incensurabili apprezzamenti di fatto dei giudici di merito, risultando irrilevanti le ulteriori affermazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine alla conoscenza che ne poteva avere la Consob per avere partecipato al giudizio penale e per la facoltà di accesso agli atti presso la cancelleria della Corte d’appello di Brescia.

7.- Il nono motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 bis, e L. n. 62 del 2005, art. 9, comma 6, come interpretati dalla Corte territoriale, nel senso che la trasmissione degli atti alla Consob da parte dell’autorità giudiziaria sarebbe dovuta (ai fini della verifica della sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo) anche nel caso in cui il fatto contestato non sia più previsto dalla legge come reato, mentre la norma escluderebbe che si debba procedere alla trasmissione nel caso in cui sia pronunciata sentenza di assoluzione, come quella (che si assume) pronunciata nella specie.

7.1.- Il motivo è infondato.

La disposizione (art. 9, comma 6, cit.) prevede che “l’autorità giudiziaria, in relazione ai procedimenti penali per le violazioni non costituenti più reato, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, se non deve pronunciare decreto di archiviazione o sentenza di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto, dispone la trasmissione degli atti alla Consob”.

Secondo l’interpretazione proposta dal ricorrente, la trasmissione alla Consob sarebbe preclusa non solo per le sentenze assolutorie, ma anche per quelle che comunque accertano che il fatto ha perso rilevanza a seguito di intervenuta legge di depenalizzazione.

Tuttavia, il riferimento al decreto di archiviazione e alle sentenze di assoluzione e proscioglimento è volto ad evitare la rimessione all’autorità amministrativa di contestazioni di illeciti privi di consistenza in linea di fatto o di rilevanza penale “ab origine”, mentre, nel caso di sopravvenuta perdita di rilievo penale del fatto per intervenuta depenalizzazione, la disposizione assolve alla funzione di regolare in via transitoria la successione tra la norma penale e quella che configura l’illecito amministrativo, evitando che condotte tenute nel vigore della norma incriminatrice, e successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione (cfr. Cass. n. 14839 del 2006), non essendo la condotta dell’insider secondario rimasta priva di sanzione, in quanto la sua trasformazione in illecito amministrativo ne comporta la punibilità con la sanzione per esso prevista.

E’ significativo che nella giurisprudenza penale sia prevista la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa – riconoscendosi dell’imputato l’interesse ad impugnare con ricorso per cassazione la statuizione concernente il relativo ordine di trasmissione – per l’applicazione delle sanzioni relative all’illecito depenalizzato nell’ipotesi di assoluzione perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato, sussistendo sia l’idoneità del provvedimento a produrre l’effetto pregiudizievole, sia la possibilità di un vantaggio connesso alla rimozione del provvedimento medesimo (Cass., sez. un. pen., n. 25457 del 2012).

8.- Il decimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, comma 2, per avere sottovalutato il profilo di illegittimità della delibera Consob impugnata per violazione del principio di separazione, e quindi indebita commistione, tra l’organo istruttorio/requirente e l’organo giudicante, quindi tra le funzioni istruttorie e decisorie, come sarebbe dimostrato dal fatto che il Presidente Consob assumeva rilevanti decisioni istruttorie e anche nel merito, avendo nella specie disposto il sequestro prima ancora che vi fosse una formale proposta alla Commissione di applicazione della sanzione.

8.1.- Il motivo è infondato.

Questa Corte, in tema di opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia, ma con argomentazioni valide anche in tema di sanzioni irrogate dalla Consob, ha rilevato l’infondatezza di una analoga censura, non avendo l’opponente – come nel caso in esame – specificato in qual modo e in che misura l’indebita commistione denunciata e la asserita interferenza del Presidente della Consob nell’azione istruttoria degli uffici abbiano potuto conculcare il diritto del ricorrente ad una decisione equa, nonchè quali difese egli avrebbe potuto spiegare, ulteriori rispetto a quelle già svolte, essendo inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti la menomazione del diritto di difesa senza specificazione del concreto pregiudizio che alla parte sia derivato (Cass. n. 15998 del 2018).

Questa conclusione è coerente con il principio secondo cui, nel procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob, non trovano applicazione i principi del diritto di difesa e del giusto processo riferibili al procedimento giurisdizionale (Cass. n. 18683 del 2014, n. 8210 del 2016; S.U. n. 20935 del 2009).

E’ principio generale, inoltre, che l’ipotizzata illegittimità non è causa di annullamento del provvedimento (adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti) qualora, per la natura vincolata del provvedimento – qual è quello conclusivo di un procedimento amministrativo sanzionatorio -, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies).

9.- L’undicesimo motivo denuncia, in violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 11, e art. 187 bis, comma 5, l’eccessiva gravosità della sanzione amministrativa pecuniaria (Euro 325.000,00), applicata senza tenere conto dei parametri di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11, tra i quali è compreso quello del profitto dell’illecito conseguito.

9.1.- Il motivo è inammissibile, alla luce del principio secondo cui nel procedimento di opposizione avverso la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata per violazione del t.u.f., il giudice ha il potere discrezionale di quantificarne l’entità, entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto anche implicitamente dei parametri previsti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11(Cass. n. 9126 del 2017, n. 2406 del 2016).

10.- In conclusione, la sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi (terzo e quarto) accolti; decidendo la causa nel merito, la delibera Consob impugnata è annullata nella parte in cui applica la sanzione accessoria della confisca per equivalente.

11.- Ricorrono le condizioni di legge per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio, in considerazione del sopravvenuto intervento della Corte costituzionale e della complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il sesto e undicesimo motivo, accoglie il terzo e quarto motivo, dichiara assorbito il dodicesimo motivo e rigetta gli altri motivi; in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla la delibera impugnata nella parte in cui applica al ricorrente la sanzione della confisca per equivalente; compensa le spese dell’Intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

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