LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29861/2017 proposto da:
Italbonifiche Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Oslavia 30, presso lo studio dell’avvocato Fabrizio Gizzi e rappresentata e difesa dall’avvocato Carlo Zauli in forza di procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Forlì, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Andrea Del Castagno 64 presso lo studio dell’avvocato Petra Bassani e rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Pedrizzi in forza di procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2731/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 17/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione del 27/10/2004 Italbonifiche s.r.l. ha convenuto in giudizio il Comune di Forlì dinanzi al Tribunale di Forlì, chiedendo accertarsi l’inadempimento del Comune al contratto del 25/2-14/4/2004 per non aver concesso ulteriore proroga dell’autorizzazione ad occupare un terreno comunale e il consequenziale risarcimento dei danni.
Il Comune di Forlì si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande dell’attrice e in via riconvenzionale la sua condanna alla restituzione del terreno e al risarcimento dei danni per occupazione senza titolo per il periodo successivo al 14/10/2004.
Il Tribunale di Forlì, con sentenza del 23/9/2011, ha respinto le domande della società attrice, sul presupposto della natura amministrativa e non privatistica del rapporto intercorso; ha dichiarato cessata la materia del contendere quanto alla domanda riconvenzionale restitutoria; ha respinto, perchè non provata la domanda riconvenzionale risarcitoria; ha condannato l’attrice alla rifusione delle spese di lite.
2. Italbonifiche s.r.l. ha proposto appello contro la sentenza di primo grado, insistendo sulla natura contrattuale del rapporto intercorso, ravvisando una responsabilità precontrattuale del Comune, e criticando la decisione anche in punto regolazione delle spese.
Ha resistito il Comune appellato, proponendo appello incidentale quanto alla domanda di rilascio dell’area alla data del 14/10/2014.
La Corte di appello di Bologna con sentenza del 17/11/2017, non notificata, ha respinto il gravame principale e quello incidentale, condannando Italbonifiche alla refusione dei 3/4 delle spese del grado.
3. Con atto notificato il 20/12/2017 ha proposto ricorso per cassazione, contenente regolamento condizionato di giurisdizione, Italbonifiche s.r.l., svolgendo sette motivi.
Con atto notificato il 29/1/2018 ha proposto controricorso il Comune di Forlì, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il quarto motivo di ricorso merita esame preliminare.
1.1. La società ricorrente denuncia infatti con il predetto mezzo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione di legge per difetto di giurisdizione del giudice ordinario, nel caso l’atto del Comune fosse qualificato come amministrativo ex art. 103 Cost.
1.2. In realtà la ricorrente, denunciando difetto di giurisdizione, qualifica erroneamente il proprio mezzo che va catalogato con riferimento all’art. 360, n. 1.
Non vi è peraltro ragione di una pronuncia a sezioni unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, poichè sulla questione le Sezioni Unite di questa Corte si sono già ripetutamente pronunciate.
1.3. Infatti, secondo giurisprudenza ormai consolidata del supremo consesso nomofilattico, l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo) capo della decisione (Sez. un., n. 22439 del 24/09/2018; Sez. un., 20/10/2016, n. 21260; Sez. un., 19/01/2017, n. 1309).
E’ questo esattamente il caso verificatosi nel presente giudizio in cui Italbonifiche, sul presupposto della natura privatistica e contrattuale del rapporto intrattenuto con la Pubblica Amministrazione, ha adito il giudice ordinario, che non ha declinato la giurisdizione ed ha pronunciato nel merito, rigettando la sua domanda.
2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, n. 3, la ricorrente denuncia l’erronea qualificazione giuridica del rapporto per difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia, ovvero la qualificazione in termini amministrativistici o privatistici del rapporto, nonchè violazione ed errata applicazione di legge circa la differenza fra autorizzazione amministrativa o negozio privatistico.
2.1. La Corte di appello felsinea ha invero adottato una singolare tecnica motivazionale.
Il Giudice di primo grado aveva escluso la natura privatistica e contrattuale del rapporto intercorso fra il Comune forlivese e la Italbonifiche, ritenendolo invece regolato dal diritto amministrativo.
A fronte dell’appello dispiegato dalla società attrice, che pur investiva frontalmente la questione, con le censure compendiate alle pagine 3 e 4 della sentenza impugnata, la Corte ha anteposto una mera e apodittica affermazione circa la condivisione da parte sua delle conclusioni del Tribunale sul punto.
Tale affermazione concreterebbe, in modo lampante e paradigmatico, il vizio di motivazione meramente apparente, priva di effettivo contenuto argomentativo, monca com’è dell’indicazione, anche scarna e sommaria, di qualsiasi ragione che poteva averla indotta ad opinare in tal senso, che in effetti non è dato al lettore neppure di intravedere.
Tuttavia, dopo questa premessa, la Corte di appello si è sospinta ad affermare, questa volta ampiamente motivando, che anche adottando la diversa qualificazione giuridica in termini privatistici propugnata dall’appellante l’approdo finale non sarebbe mutato, perchè la domanda di Italbonifiche avrebbe, comunque, meritato il rigetto.
E’ evidente che in tal modo la pronuncia impugnata è stata sorretta da una doppia motivazione, il cui comma 2 configura una autonoma ratio decidendi, di per sè idonea a supportare il decisum.
Si tratta quindi di vedere se tale seconda ratio sia stata efficacemente aggredita e confutata dalla ricorrente, perchè, altrimenti, anche il primo motivo di ricorso risulterebbe inammissibile per difetto di interesse.
Infatti ove la sentenza impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Sez. 6, 18/04/2017, n. 9752); inoltre il rilievo di inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione diretto a censurare solo una di esse – consentito in applicazione del principio della “ragione più liquida” – rende irrilevante l’esame degli altri motivi, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Sez. 3, 21/06/2017, n. 15350).
3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge concernente la disciplina applicabile al contratto di diritto privato, sia per difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia circa la mancata osservanza dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) in combinato disposto con l’art. 1356 c.c. sia per violazione ed errata applicazione dei predetti principi.
Il motivo mescola in modo promiscuo censure di violazione di legge e di vizio motivazionale, per giunta non correttamente formulato secondo la vigente nozione di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Un ampio indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, in tema di motivi promiscui, non ritiene consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez.3, 23/6/2017 n. 15651; Sez.6, 4/12/2014 n. 25722; Sez. 2, 31/1/2013 n. 2299; Sez.3, 29/5/2012 n. 8551; Sez.1, 23/9/2011 n. 19443; Sez.5, 29/2/2008 n. 5471). Appare infatti inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, Sent. n. 19443 del 23/09/2011, Rv. 619790 – 01).
D’altro canto nella fattispecie non è possibile scindere il motivo in distinte e autonome censure, perchè il ricorrente propone doglianza di violazione di legge nella sostanza per dolersi dell’apprezzamento nel merito da parte della Corte territoriale circa l’insussistenza della violazione da parte del Comune dei doveri di correttezza e buona fede, senza che sussista l’omesso esame di un preciso fatto storico controverso e decisivo, come sarebbe necessario per configurare la sussistenza del vizio motivazionale alla luce della disciplina processuale vigente. Nelle pagine 6 e 7 della sentenza la Corte di appello ha valutato il comportamento delle parti e le rispettive dichiarazioni e manifestazioni di volontà, escludendo le violazioni prospettate.
E’ il caso al proposito di ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte il ricorso per cassazione per violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione di una clausola contrattuale comporta l’interpretazione della medesima e la valutazione del comportamento delle parti ed è, perciò, inammissibile, se non è denunciata la violazione delle regole di cui agli artt. 1362 c.c. e seguenti, ovvero un vizio di motivazione della sentenza, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Sez. 2, n. 20964 del 08/09/2017, Rv. 645246 – 01; Sez. 3, n. 10705 del 11/08/2000; Sez. 1, n. 3843 del 28/11/1969).
4. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge concernente la responsabilità precontrattuale, sia per difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia circa la mancata osservanza dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) nella fase precontrattuale ex art. 1337 c.c. sia per violazione ed errata applicazione dei predetti principi.
Le stesse considerazioni esposte nel paragrafo precedente valgono, mutatis mutandis, anche per il terzo motivo, a fronte della corrispondente motivazione spesa dalla Corte territoriale.
5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge concernente l’applicazione del principio di buona fede nel procedimento amministrativo sia per difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia circa la mancata osservanza dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) nei rapporti tra P.A. e privato, sia per violazione di tali principi.
Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia difetto di motivazione circa il bilanciamento degli interessi pubblico e privato da parte della P.A., nonchè violazione ed errata applicazione del predetto dovere di bilanciamento e violazione o falsa applicazione di legge concernente l’applicazione del principio di buona fede nel procedimento amministrativo nonchè, infine, difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia circa la mancata osservanza dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375).
Quanto sopra esposto vale a confutare anche i due motivi che argomentano nella prospettiva dell’applicabilità anche al rapporto amministrativistico fra Pubblica amministrazione e privato dei doveri di correttezza e buona fede e bilanciamento comparativo degli interessi in gioco, e che, lungi dal proporre una doglianza di violazione di legge, criticano nel merito le conclusioni motivatamente assunte dalla Corte territoriale.
7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia difetto di motivazione su di un punto decisivo della controversia con riferimento alla regolazione delle spese di lite e violazione dell’art. 92 c.p.c., a fronte della situazione di reciproca soccombenza.
La censura è infondata.
Il Giudice del merito ha valutato la situazione complessiva di soccombenza, ritenendola di gran lunga prevalente a carico dell’attuale ricorrente, esprimendo un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità circa la rilevanza comparativa delle rispettive domande delle parti, e ritenendo così preponderante l’importanza delle domande rigettate di parte attrice.
8. Il ricorso va pertanto rigettato e la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite al controricorrente, liquidate in Euro 5.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, oltre 15% spese generali e oneri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019