Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.14672 del 29/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20064/2016 r.g. proposto da:

T.E., (cod. fisc. *****), F.L. (cod. fisc.

*****) e F.M.A. (cod. fisc. *****), in proprio e gli ultimi due anche nella qualità di eredi di F.O., rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Rodolfo Berti e Emanuela Savina, elettivamente domiciliati in Roma, Via della Conciliazione n. 44, presso lo studio dell’Avvocato Carla Silvestri;

– ricorrenti –

contro

CARIFERMO – CASSA DI RISPARMIO DI FERMO s.p.a., (cod. fisc.

*****), con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore Ing. G.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati Gianfranco Graziadei e Matteo Ghisalberti, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla Via Gramsci n. 54, presso lo studio dell’Avvocato Graziadei;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in data 27.1.2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Ancona – decidendo sull’appello proposto da F.L., F.M.A., F.O. e T.E. avverso la sentenza emessa in data 9.6.2008 dal Tribunale di Ancona (sentenza con la quale era stata respinta la domanda risarcitoria avanzata dagli attori nei confronti della CASSA di RISPARMIO di FERMO S.P.A. in riferimento alla negoziazione di titoli “Parmalat”) – ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando l’appello.

La corte del merito ha ritenuto infondata l’eccezione di incapacità a testimoniare del direttore della filiale della banca ove erano stati negoziati i titoli, in quanto portatore solo di un interesse riflesso che non lo avrebbe legittimato a partecipare al giudizio; ha altresì ritenuto corretta la contestata decisione istruttoria di non ammettere il richiesto interrogatorio formale e l’ordine di esibizione della documentazione bancaria, in ragione della insussistenza di un conflitto di interessi della banca nella negoziazione dei predetti titoli. La corte territoriale ha, inoltre ritenuto adempiuti correttamente gli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario, avendo quest’ultimo negoziato i titoli per conto proprio, ossia collocando presso i singoli investitori i titoli previamente acquistati e non trovando, dunque, applicazione l’art. 94 e segg. T.u.f. che prescrive la consegna di uno specifico documento informativo all’investitore. La corte di merito ha, infine, ritenuto adempiuto anche l’ulteriore obbligo informativo in ordine al profilo dell’adeguatezza dell’investimento, avendo il direttore della banca spiegato oralmente agli investitori il grado di rischio dell’investimento in titoli “Parmalat”, anche in riferimento ai profili soggettivi degli investitori. Il giudice di appello ha evidenziato che erano state fornite indicazioni sufficienti anche per individuare la provenienza e la caratteristica dei titoli negoziati.

2. La sentenza, pubblicata il 27.1.2016, è stata impugnata da F.L., F.M.A. e T.E. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la CARIFERMO – CASSA DI RISPARMIO DI FERMO S.P.A. ha resistito con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente, lamentando – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.c. – si duole dell’ammissione in giudizio della testimonianza del direttore della filiale della banca convenuta, nonostante quest’ultimo fosse stato portatore di un qualificato interesse alla partecipazione in giudizio in quanto diretto responsabile della negoziazione dei titoli con gli investitori.

2. Con il secondo motivo si denuncia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1175 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, artt. 1218,1228,1337,1374,2043 e 2049 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, n. 1, lett. a e b, art. 23, comma 6 e dell’art. 26, n. 1, lett. e ed f, art. 28, n. 1, lett. a e n. 2, art. 29, n. 1, 2 e 3, Reg. Consob n. 11522/98 e, infine, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., comma 1. Osserva in via preliminare la parte ricorrente che, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, incombe sull’intermediario finanziario la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico. Osserva inoltre sempre la parte ricorrente che erroneamente la corte di merito aveva ritenuto adempiuti da parte dell’intermediario finanziario gli obblighi informativi di cui agli artt. 28 e 29 Reg. Consob con riferimento al profilo dell’adeguatezza dell’investimento sulla base di un elemento probatorio irrilevante, e cioè il dialogo orale tra funzionario e cliente. Sul punto si evidenzia che non era stata neanche considerata da parte dei giudici del merito la decisiva circostanza della mancata informazione circa la qualità di società estera dell’emittente dei titoli “Parmalat” oggetto di negoziazione.

3. Con un terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di mancanza di motivazione riguardante un fatto decisivo emergente dalla sentenza, in riferimento alla mancata informazione da parte della banca intermediaria della nazionalità estera della società emittente i titoli negoziati.

4. Il ricorso è infondato.

4.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento.

Invero, da tempo questa Corte ha precisato che non importa incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c., per i dipendenti di una banca, la circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell’operazione che ha dato origine alla controversia. Infatti, le due cause, anche se proposte nello stesso giudizio, si fondano su rapporti diversi ed i dipendenti hanno un interesse solo riflesso ad una determinata soluzione della causa principale, che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l’esito di questo, di per sè, non è idoneo ad arrecare ad essi pregiudizio (Sez. 1, Sentenza n. 2641 del 04/03/1993). Principio correttamente applicato dalla Corte di merito al teste G., quale direttore della filiale della banca convenuta in giudizio per la dedotta responsabilità in relazione alla negoziazione dei titoli “Parmalat” (cfr. anche Sez. lav., n. 1341/1993; Sez. lav., n. 20731/2007; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8462 del 10/04/2014;sez. 1, Ordinanza n. 10112 del 2 4/04/2018).

4.2 Il secondo motivo è invece inammissibile per come formulato.

Deve essere ricordato in premessa che, secondo la costante giurisprudenza espressa da questa Corte, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).

Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente abbia, da un lato, formulato in modo inappropriato il motivo di censura come vizio di violazione di legge senza spiegare quali proposizioni contenute nella motivazione impugnata si pongano in contrasto con gli indici normativi di cui si assume la violazione e, dall’altro, abbia tentato di introdurre, sotto l’egida formale del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, doglianze di merito, come tali volte ad una rilettura del materiale probatorio, e ciò con particolare riferimento al contenuto della testimonianza del direttore di banca della quale si era anche eccepita l’inammissibilità in giudizio.

Ebbene, le censure così sollevate e così indirizzate ad una rivisitazione del merito della decisione già scrutinata dai giudici del merito risultano, pertanto, palesemente inammissibili.

4.3 Anche la terza doglianza – che ripete, questa volta nella veste di vizio di omessa motivazione, il profilo di censura relativo alla mancata valutazione della provenienza estera dei titoli negoziati – è inammissibile.

Sul punto deve subito osservarsi come la doglianza si smentisca da sè già nel suo contenuto allegatorio, posto che non può rintracciarsi alcun profilo di omessa motivazione laddove è la stessa parte ricorrente ad ammettere che la corte territoriale aveva argomentato in ordine alla possibilità di individuazione dei titoli come di provenienza estera sulla base degli altri indici identificativi (nominativo società emittente e tasso di interesse), con ciò non potendosi rilevare un profilo di mancanza assoluta di motivazione come violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 132, n. 4 medesimo codice.

Nè è possibile rintracciare il denunziato vizio argomentativo sotto altra declinazione normativa. Ed invero, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Ebbene, la corte territoriale ha espresso una motivazione in ordine all’assolvimento dell’obbligo informativo dell’intermediario circa la provenienza dei titoli, con ciò assolvendo all’obbligo motivatorio sopra descritto e rendendo dunque irricevibili in questa sede ulteriori censure come tali volte ad una rilettura degli atti istruttori del giudizio.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre le spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

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