Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.15111 del 03/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 8067/’15) proposto da:

S.M., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Luigi Filippo Paolucci ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Camilla Bovelacci, in Roma, v. Quintino Sella, n. 41;

– ricorrente –

contro

B.F., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Francesco Ternullo e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, piazza Cavour;

– controricorrente –

e G.M. (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Attilio Santiago e Giuseppe Leporace, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Massimo Farsetti, con studio in Roma, v. Tarvisio, n. 2;

– altro controricorrente –

e T.S. (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Paolo Alvisi e Stefano di Mauro ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, v. Padova, n. 43;

– altro controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 2414/2014, depositata il 26 novembre 2014 (notificata il 17 febbraio 2015).

RILEVATO IN FATTO

1. Con citazione del luglio 2005 la sig.ra S.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, i sigg. B.F. e G.M., chiedendo la loro condanna alla restituzione della somma di Euro 25.822,84 ciascuno, sul presupposto che gli stessi avevano incassato assegni tratti sul suo conto per un pari importo a titolo di caparra per l’acquisto di un immobile in *****, che, tuttavia, risultava poi essere stato effettuato, con intestazione del predetto immobile, da T.S..

Nel costituirsi in giudizio i convenuti insistevano per il rigetto della domanda sostenendo di non aver avuto alcun rapporto con la S. e il B. chiedeva, comunque, di essere autorizzato a chiamare in garanzia il T.S.. Quest’ultimo si costituiva ritualmente adducendo di aver provveduto all’integrale pagamento del prezzo per la conclusione della suddetta compravendita.

L’adito Tribunale, con sentenza adottata all’udienza del 15 luglio 2008 ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., accoglieva la domanda della S..

2. Interposto appello da parte del B. e della G. al quale resisteva la S. e nella contumacia del T., la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 2414/2014, accoglieva il gravame, ritenendo che, nella fattispecie, si fosse venuto a configurare un adempimento del terzo da parte dell’appellata e che ai venditori appellanti non poteva imputarsi alcun inadempimento nè gli stessi erano incorsi in una condotta illecita, dovendosi escludere, peraltro, che si fossero concretati i presupposti per un indebito oggettivo o soggettivo e, in ogni caso, per un ingiustificato arricchimento.

Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la S.. I tre intimati hanno resistito con distinti controricorsi.

La difesa della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1180 e 2033 c.c., nella parte in cui, con l’impugnata sentenza, la Corte territoriale aveva escluso che, nella fattispecie, si fosse configurata un’ipotesi di indebito oggettivo, ritenendo, invece, verificatosi un suo adempimento quale soggetto terzo.

2. Con il secondo motivo la S. ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1180 e 2036 c.c., per essere stata esclusa, dall’impugnata sentenza, la configurazione di un indebito soggettivo, difettando l’elemento – per l’appunto soggettivo della sua volontà di pagare un debito altrui nella convinzione di essere la debitrice.

3. Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha prospettato – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1180 e 2041 c.c., per avere la Corte emiliana escluso anche la sussistenza di un’ipotesi di arricchimento senza causa.

4. Rileva, in via pregiudiziale, il collegio che deve dichiararsi l’inammissibilità del documento relativo alla scrittura privata (avente ad oggetto “preliminare di vendita”) datata 4 luglio 2001 facente parte integrante del ricorso (essendo stato in esso “incorporato” con la sua produzione eseguita mediante allegazione del relativo testo integrale conforme all’originale), siccome da ritenersi surrettiziamente prodotto nella presente sede di legittimità in questa forma malgrado di detto documento – di formazione antecedente rispetto all’introduzione del giudizio (verificatasi nel luglio 2005) – l’impugnata sentenza non ne faccia alcuna menzione e non risultando, in ogni caso, che abbia costituito oggetto del contendere.

A tal proposito deve trovare applicazione il principio affermato da questa Corte (cfr., per tutte, Cass. SU n. 25038/2013 e Cass. n. 27475/2017), secondo cui l’onere di deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del giudizio di merito, benchè, cautelativamente, ne sia opportuna la produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso, oppure attinente alla fondatezza di quest’ultimo e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante il suo deposito, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.

Pertanto, poichè il documento di cui trattasi è stato formato prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado e non emerge che sia stato prodotto nei gradi di merito nell’osservanza delle rispettive preclusioni, la produzione dello stesso non può ritenersi ammissibile in questa sede di legittimità (e non può, perciò, essere oggetto di alcuna valutazione).

5. In linea preliminare vanno pure dichiarate inammissibili le dedotte violazioni solo formalmente prospettate e ricondotte all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè non risulta denunciato alcun omesso esame di fatti decisivi ai fini della risoluzione della controversia che avevano costituito oggetto di discussione tra le parti.

6. Ciò premesso si può passare all’esame dei tre motivi ritualmente proposti, che possono essere congiuntamente valutati siccome tra loro strettamente connessi.

Ritiene il collegio che essi sono infondati.

Con riferimento alle denunciate violazioni delle indicate norme sostanziali va ritenuto che la Corte di appello di Bologna ha escluso correttamente la configurazione delle ipotesi di cui agli artt. 2033,2036 e 2041 c.c., poichè, nella fattispecie, risulta applicabile il principio – richiamato nell’impugnata decisione – enunciato da questa Corte con la sentenza n. 8922/1998.

Con tale pronuncia è stato fissato il principio in base al quale, ai sensi dell’art. 1180 c.c., è consentito l’adempimento del terzo, anche contro la volontà del creditore, se quest’ultimo non abbia interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione: in proposito – con la menzionata sentenza di legittimità – si è ritenuto che la fattispecie di cui al citato art. 1180 c.c., è integrata anche dalla consegna, da parte del debitore, di un assegno bancario emesso, da un terzo, a favore del creditore, quando il titolo sia accettato in pagamento dal creditore e da questi incassato.

Del resto, in generale, si sostiene che il pagamento, quale prestazione del dovuto, può essere eseguito anche da un terzo, persino inscio vel invito debitore, sempre però che la prestazione del terzo sia regolarmente effettuata al creditore in modo conforme all’obbligazione del debitore, con la conseguenza che l’effetto liberatorio va escluso solo quando si verifichi che la prestazione non sia fatta per conto del debitore, ovvero che il creditore abbia interesse a che lo stesso debitore esegua la prestazione liberatoria oppure che il medesimo creditore rifiuti l’adempimento del terzo per l’opposizione manifestatagli dal debitore (v., in merito, Cass. n. 2207/2013).

Orbene, l’applicabilità di tale principio alla fattispecie oggetto della controversia è conseguente a quanto accertato in fatto – con adeguata (e, quindi, incensurabile) motivazione da parte della Corte territoriale – dell’esclusione di alcun rapporto tra la S. e i venditori ( B.F. e G.M.), con i quali era stato il solo T. ad aver contrattato, concludendo poi la vendita, utilizzando anche gli assegni che le erano stati consegnati dall’odierna ricorrente.

Da ciò è stato correttamente desunto dal giudice di secondo grado che non vi era stata alcuna condotta illecita imputabile ai predetti B. e G., proprio perchè la prestazione era stata eseguita, in loro favore, dal T., con assegni emessi dalla S., a titolo di pagamento di acconti sul prezzo complessivo della compravendita che era stata conclusa solo tra i due menzionati venditori e il T. stesso, quale acquirente dell’immobile.

Pertanto, non si era verificato alcun indebito oggettivo, nè soggettivo, essendo rimasto accertato che la S. ebbe ad emettere gli assegni (tratti dal suo conto corrente) rilasciandoli intenzionalmente al T. (ancorchè intestandoli direttamente ai promittenti venditori), con la consapevolezza di non essere debitrice e di non aver avuto alcun rapporto con i venditori.

Nei riguardi di questi ultimi, perciò, ella non poteva avere alcun diritto a pretendere la restituzione di quanto corrisposto con gli assegni loro consegnati dal T., nei cui confronti avrebbe, semmai, potuto aver titolo ricorrendone le condizioni di legge (cfr., sul punto, Cass. n. 23292/2007 e Cass. SU n. 9946/2009) – ad ottenere la restituzione del relativo importo, ma ciò non ha costituito oggetto del giudizio, poichè la domanda della S. è stata rivolta esclusivamente nei confronti del B. e della G., per ottenere dagli stessi in restituzione la somma di cui agli assegni, nel mentre il T. risulta essere stato chiamato in causa dal B. al solo fine di essere garantito per l’eventualità della sua condanna in ipotesi di accoglimento della domanda attorea.

Legittimamente la Corte felsinea ha escluso anche la configurazione di un indebito arricchimento, avendo la relativa azione solo carattere residuale ed essendo, comunque, risultato comprovato che tali somme erano dovute in favore dei venditori B. e G. in conto prezzo della vendita che avevano stipulato con il solo T. (debitore), in cui favore la S., quale terza, aveva inteso effettuare l’adempimento ai sensi dell’art. 1180 c.c..

7. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni sviluppate, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, con attribuzione del relativo compenso riconosciuto in favore del difensore di B.F., per dichiarato anticipo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate – in favore di ciascuna delle parti controricorrenti – in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (iva e cap) come per legge, con attribuzione della relativa quota in favore del difensore di B.F., per dichiarato anticipo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019

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