Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.15121 del 03/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2255-2014 proposto da:

DITTA ARTIGIANA INDIVIDUALE D.R.G., in persona del titolare e legale rappresentante D.R.G., domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato SANDRO PINCELLI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprioe quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. ***** elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1236/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 06/11/2013 R.G.N. 239/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/2019 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilità in subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LORENZO MINISCI per delega Avvocato SANDRO PINCELLI;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di L’Aquila confermava la sentenza del Tribunale di Teramo che aveva rigettato la domanda proposta da D.R.G., titolare di una ditta individuale nel comparto edile, di accertamento negativo della pretesa azionata dall’Inps con il verbale ispettivo n. 509 del 8 febbraio 2008, che aveva addebitato l’importo di Euro 219.374,00 a titolo di contributi omessi e sanzioni per evasione.

2. La Corte d’appello condivideva la valutazione del giudice di primo grado, che aveva ritenuto che la prova delle violazioni fosse stata fornita dall’Inps con la documentazione allegata al verbale della Guardia di Finanza numero 571 del 2006, le cui risultanze non erano state contrastate da avverse deduzioni istruttorie. Riferiva quindi che l’addebito emergeva dal confronto fra i registri delle presenze mensili ufficiali (libro paga) e quelli dei due registri extracontabili rinvenuti nell’abitazione del titolare della ditta, coincidente con la sede dell’impresa, che indicavano per ciascun mese a partire dal giugno 2003 e fino all’agosto 2006 il nome dei lavoratori (indicati in maniera informale con il solo nome di battesimo), le presenze giornaliere, le retribuzioni corrisposte, il numero totale delle ore di lavoro prestato.

3. Per la cassazione della sentenza D.R.G. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui l’Inps ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il punto decisivo del giudizio, per avere ritenuto la Corte d’appello che l’Inps abbia fornito la prova mediante i dati extracontabili dei lavoratori impiegati dalla ditta appellante, delle giornate di lavoro e della paga.

5. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 389 del 1989, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio, per avere escluso la Corte d’appello la denunciata arbitrarietà del calcolo dell’addebito e quindi la necessità della consulenza contabile invocata dall’appellante. Sostiene che nè la Guardia di Finanza nè l’Inps erano riusciti, quale conseguenza della mancata compiuta individuazione dei lavoratori, ad attribuire agli stessi la mansione e qualifica professionale o comunque l’inquadramento indispensabile ad individuare il c.c.n.l. applicabile ai fini del calcolo della retribuzione imponibile. Lamenta altresì che il calcolo sia stato effettuato dall’Inps in maniera non trasparente, nè comprensibile, riportando il solo importo finale dell’imponibile retributivo calcolato per ciascun anno di addebito in maniera cumulativa per tutti i lavoratori ritenuti impiegati, mentre l’accertamento avrebbe dovuto essere limitato ai pochissimi soggetti individuati con nome e cognome con riferimento ai quali, essendo i medesimi già assunti dalla ditta, sarebbe stato agevole il calcolo della base imponibile.

6. Il ricorso non è fondato.

In relazione al primo motivo, occorre ribadire che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre per dedurre in cassazione la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 13395 del 29/05/2018, Cass. n. 26769 del 23/10/2018).

7. Nel caso, il giudice di merito ha ritenuto che la prova del credito contributivo risultasse dall’esame dei prospetti extracontabili allegati al verbale della Guardia di Finanza e richiamati dall’Inps, rinvenuti nell’abitazione del D.R. ove era stabilita la sede legale dell’impresa, il cui contenuto che non era stato fatto oggetto di specifica contestazione.

8. La Corte si è attenuta quindi ai parametri di legge nel valutare le risultanze dell’accertamento, considerato che il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese, mentre la veridicità sostanziale delle dichiarazioni acquisite – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – può essere contestata con qualsiasi mezzo di prova (Cass. n. 24461 del 05/10/2018, Cass. n. 11751 del 24/06/2004).

9. Il motivo, pur rubricato come violazione di legge, è poi inammissibile ove si sostanzia nella critica alla ricostruzione operata dal giudice di merito delle risultanze fattuali, considerato che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non è deducibile in questa sede, in cui la Corte d’appello ha fatto propria la valutazione dei fatti adottata dal Tribunale, in quanto opera l’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), conv. con modif, nella L. n. 134 dello stesso anno), che prevede che la disposizione contenuta nel precedente comma 4 – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 c.p.c. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (cosiddetta “doppia conforme”, v. Cass. n. 23021 del 29/10/2014).

10. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

La qualificazione nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. non rispetta la distinzione chiarita dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale mentre il vizio di motivazione concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, la violazione di legge attiene all’interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche (Cass. Sez. U, n. 28054 del 25/11/2008, Sez. 1, n. 28663 del 27/12/2013). Pur richiamando il vizio di violazione di legge, il motivo attiene infatti alla ricostruzione operata dalla Corte di merito del materiale probatorio, avendo il giudice di merito ritenuto che la documentazione extracontabile, nel raffronto con i libri paga della ditta, consentisse anche la ricostruzione dell’imponibile contributivo, potendo desumersi dalle pur sommarie indicazioni gli elementi identificativi dei lavoratori e gli ulteriori dati necessari.

11. La motivazione in proposito non è stata adeguatamente censurata, nè avrebbe potuto esserlo per le ragioni sopra esposte.

12. Segue coerente il rigetto del ricorso.

13. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 13.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019

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