Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.15124 del 03/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11617/2015 proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS AVVOCATI, rappresentata e difesa dagli Avvocati SALVATORE TRIFIRO’, GIORGIO MOLTENI e PAOLO ZUCCHINALI in virtù di delega in atti.

– ricorrente –

contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 799/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 31/10/2014 R.G.N. 611/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

RILEVATO

che, con la sentenza n. 3790 del 2011, il Tribunale di Milano ha accolto la domanda presentata da B.A. nei confronti di Intesa Sanpaolo spa relativa alla richiesta di condanna al pagamento delle somme dovute a titolo di incidenza sul TFR dei contributi versati dalla Banca al Fondo Integrativo Aziendale nel periodo dal 1995 in poi nonchè diretta al riconoscimento della incidenza sul trattamento di fine rapporto della elargizione per l’abitazione;

che la Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 799 del 2014, in parziale riforma della suddetta pronuncia, ha rigettato la domanda di condanna al pagamento delle somme dovute a titolo di incidenza sul TFR dei contributi versati dalla Banca al Fondo Integrativo Aziendale mentre la ha confermata nel resto;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Intesa Sanpaolo spa affidato ad un unico articolato motivo; che B.A. non ha svolto attività difensiva;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 e 53 del ccnl per il personale direttivo delle aziende di credito del 1990 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso che l’erogazione al funzionario trasferito di una somma di denaro in occasione del trasferimento (periodo dal 1988 al 1998) potesse essere stata corrisposta per “finalità similari” a quelle che caratterizzano i trattamenti previsti, in favore del funzionario trasferito, dall’art. 53 del ccnl; rileva che anche l’elargizione per cui è causa, come quelle di cui alla norma pattizia, non è diretta a rimborsare spese effettive; evidenzia che tra gli emolumenti di cui all’indicata norma sono previste una “diaria” e soprattutto la fornitura di un “alloggio nella nuova sede di residenza”, la cui finalità è proprio quella di alleviare il disagio connesso al cambio di abitazione e della residenza familiare, ovvero la medesima finalità che, a dire della Corte di merito, è alla base dell’erogazione de qua; non si giustificherebbe, pertanto, secondo la società, il diverso trattamento in termini di inclusione dell’erogazione nella base di calcolo del tfr, derivando, al contrario, in via immediata e diretta la sua esclusione dal computo suddetto dal richiamato art. 69 ccnl di categoria, con la conseguenza che è del tutto irrilevante verificare la natura dell’erogazione in discussione, in presenza della deroga contrattuale ai sensi dell’art. 2110 c.c., comma 2; censura, inoltre, la sentenza impugnata per avere ritenuto incombente sulla Banca l’onere di provare l’equivalenza del trattamento di cui all’art. 53 ccnl e della cd. erogazione abitativa;

che il ricorso non è fondato essendo la sentenza della Corte territoriale, relativamente al capo impugnato, conforme all’orientamento espresso in sede di legittimità – e cui si intende dare seguito per le condivisibili argomentazioni su cui è basato (cfr. Cass. 31.8.2018 n. 21519) – secondo il quale, ai fini della determinazione della base di computo del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’art. 2120 c.c., comma 2 e in mancanza di una deroga espressa contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici, inclusi quelli emergenti in sede di conclusione del contratto individuale, che denotino la non occasionalità dell’emolumento, dovendosi invece attribuire natura non retributiva alle voci che abbiano la finalità di tenere indenne il lavoratore da spese che non avrebbe incontrato se non fosse stato trasferito, sostenute nell’interesse dell’imprenditore. Ne consegue che all’elargizione per abitazione corrisposta a un funzionario bancario trasferito con familiari conviventi, deve attribuirsi natura retributiva, desunta dal carattere periodico dell’erogazione, dalla sua corresponsione in misura fissa e senza documentazione giustificativa, al suo essere condizionata al permanere dell’abitazione e all’avvenuto assoggettamento a retribuzione;

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

che nulla va disposto per le spese non essendosi l’intimato costituito;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019

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