LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filipp – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27120/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12.
– ricorrente –
contro
GIOCHI PREZIOSI SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
AIR OCEAN CARGO SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
CAD CENTRO DI ASSISTENZA DOGANALE L.A. SRL, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
CENTRO ASSISTENZA DOGANALE B. SRL, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
BETA-TRANS SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
C. SPEDIZIONI INTERNAZIONALI SRL, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
D&C SPEDIZIONI SRL, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
DHL GLOBAL FORWARDING (ITALY) SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
SCHENKER ITALIANA SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
SIFTE BERTI SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
SOGEMAR SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
e sul ricorso iscritto al n. 25326/2014 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12.
– ricorrente –
contro
GIOCHI PREZIOSI SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
AIR OCEAN CARGO SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
CAD CENTRO DI ASSISTENZA DOGANALE L.A. SRL, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
CENTRO ASSISTENZA DOGANALE B. SRL, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
DHL GLOBAL FORWARDING (ITALY) SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
contro
SOGEMAR SPA. (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRO FRUSCIONE e SALVATORE MILETO, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Giambattista Vico, 22.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 74/7/2013 depositata il 24 maggio 2013 e avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 1119/2014 depositata il 3 marzo 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.
RILEVATO
CHE:
Risulta dagli atti del procedimento iscritto al n. 27120/2013 R.G. che la contribuente GIOCHI PREZIOSI SPA aveva importato, tramite società da questa controllata quale proprio distributore (Giochi Preziosi H.K. Ltd), merci prodotte in Cina da produttori locali, senza denunciare nel valore di transazione in dogana il corrispettivo dei diritti di proprietà intellettuale (IPR) asseritamente incorporati nelle merci prodotte, acquistate e importate;
che uno degli Uffici delle Dogane di *****, all’esito del procedimento di revisione dell’accertamento doganale relativo a importazioni degli anni 2006 – 2008, ha emesso numerosi avvisi di rettifica e atti di contestazione di sanzioni, contestando a importatori e spedizionieri doganali, ai fini della rideterminazione dei diritti di confine (dazi e IVA) e delle conseguenti sanzioni, la quantificazione del valore di transazione in dogana;
che, a fondamento degli avvisi di rettifica, l’Ufficio ha assunto che nel valore di transazione dovesse considerarsi anche l’ammontare dei diritti di licenza che l’importatore GIOCHI PREZIOSI e i coobbligati solidali erano tenuti a corrispondere nei confronti dei fornitori quale corrispettivo per l’utilizzo e per lo sfruttamento in Italia dei diritti di proprietà intellettuale detenuti dai medesimi fornitori;
che, a seguito di impugnazioni separatamente proposte da importatori e spedizionieri doganali, la CTP di Milano, con due distinte pronunce, con cui ha proceduto alla riunione di diversi ricorsi, ha parzialmente respinto i ricorsi, accogliendo unicamente le questioni relative all’applicazione delle sanzioni;
che la CTR della Lombardia, previa riunione degli appelli proposti dalle società contribuenti, con sentenza in data 24 maggio 2013 ha accolto gli appelli di parte contribuente, evidenziando, per quanto rileva in questa sede, che:
– la revisione del valore di transazione del Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913, ex art. 29, (CDC), può contemplare i corrispettivi dei diritti di proprietà intellettuale (IPR) relativi alla merce da valutare – art. 32 CDC, comma 1, lett. c), e Reg. (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454, art. 157, comma 3, (DAC), – ove non ricompresi nel prezzo, ove gli stessi costituiscano condizione della vendita della merce importata;
– costituisce condizione della vendita della merce importata il pagamento dei diritti di licenza che venga richiesto dal venditore o da persona ad esso legata nei confronti dell’acquirente (art. 160 DAC);
– nel caso di specie non può essere computato nel valore di transazione il corrispettivo dei diritti di proprietà intellettuale (IPR), posto che tale corrispettivo non è stato considerato quale condizione della vendita della merce da valutare, in forza del fatto che:
a) l’importatore ha assunto su di sè alcune fasi della produzione (ideazione, progettazione, realizzazione e produzione), assumendo i relativi costi di produzione, distribuzione, nonchè il servizio clienti;
b) non sussistono legami tra licenzianti e produttori terzi;
c) i licenzianti non impongono ai licenziatari i produttori terzi, la cui scelta rimane sotto la responsabilità dei licenziatari, nè i licenzianti impongono l’utilizzo di determinati materiali o componenti, con la sola eccezione del controllo di qualità, rilevando il giudice di appello come in alcuni contratti il produttore terzo non venga neanche menzionato;
d) il corrispettivo dei diritti di licenza è estraneo al rapporto tra venditore e acquirente, avendo il produttore “ricevuto dal committente un ordine di realizzare prodotti le cui caratteristiche erano già nella disponibilità del committente stesso e ciò in virtù di pregressi accordi tra l’ordinante/acquirente ed il titolare del diritto sul bene”;
– sarebbe, in ogni caso, errato il calcolo delle riprese dei diritti di confine sulle asserite royalties non computate, avendo l’ufficio utilizzato il criterio della media ponderata applicata al momento della vendita, criterio non basato su dati oggettivi e quantificabili uniformemente, posto che non tutti i contratti prevedono il calcolo delle royalties sul venduto e la media utilizzata è stata calcolata come media tra valore della merce acquistata e valore della merce venduta;
che propone ricorso per cassazione l’Ufficio con quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resistono le società contribuenti con controricorso;
che dagli atti del procedimento iscritto al n. 25326/2014 R.G. emerge che – a seguito delle importazioni della contribuente GIOCHI PREZIOSI SPA di merci prodotte in Cina da produttori locali, senza inclusione nel valore di transazione in dogana del corrispettivo dei diritti di proprietà intellettuale e della conseguente emissione da parte dell’Ufficio Dogane di ***** di numerosi avvisi di accertamento di rettifica doganale – sono stati emessi per le medesime bollette di importazione definitiva diversi atti di contestazione e irrogazione di sanzioni, conseguenti alla mancata ricomprensione nel valore di transazione dei corrispettivi dei diritti di proprietà intellettuale;
che, a seguito delle impugnazioni proposte da importatore e spedizionieri doganali, la CTP di Milano ha rigettato la domanda e la CTR della Lombardia, con sentenza in data 3 marzo 2014, ha accolto l’appello, richiamando per relationem la sentenza della medesima CTR n. 74/7/2013 in data 24 maggio 2013 (relativa all’annullamento nel merito degli avvisi di accertamento), evidenziando che non può essere irrogata alcuna sanzione a carico di soggetti che non hanno commesso alcuna violazione e che in assenza di validi avvisi di accertamento appare superata la questione della inapplicabilità della sanzione per obiettiva incertezza;
che propone ricorso per cassazione l’Ufficio con due motivi cui resistono le società contribuenti con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
Appare preliminarmente opportuno procedere a termini dell’art. 274 c.p.c., alla riunione dei due procedimenti per connessione soggettiva e oggettiva, in base al principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto, ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass., Sez. U., 4 agosto 2010, n. 18050; Cass., Sez. U., 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27550);
che sussiste connessione soggettiva e oggettiva, trattandosi nel secondo procedimento di sanzioni relative ad avvisi di accertamento oggetto del primo procedimento;
che, quanto al procedimento n. 27120/2013 R.G.:
– con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione al Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, artt. 29 e 32, (CDC), e al Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, artt. 143, 157, 159, 160, 162, (DAC), anche in relazione al Commento del Comitato del Codice Doganale, n. 11, (TAXUD/800/2002/IT), nonchè in relazione all’art. 2729 c.c.; il ricorrente, richiamandosi alla Circolare delle Dogane del 30 novembre 2012, n. 21/D, analizza una ventina di diverse tipologie contrattuali (riportate per esteso, per rispetto del principio di autosufficienza, nel corso del motivo di ricorso con diversa impaginazione), deducendo che il giudice di appello male ha interpretato la documentazione prodotta in atti, dalla quale dovrebbe evincersi che i licenzianti eserciterebbero controllo diretto su produzione e vendita da parte dei fornitori, nonchè godrebbero di controllo indiretto sui produttori medesimi, con il conseguente accertamento della inscindibilità dei diritti di licenza rispetto alle merci importate; ritiene esservi una condizione implicita della vendita a causa dei rapporti tra i diversi licenzianti e i diversi produttori cinesi della merce importata, rapporti intesi anche alla luce del menzionato Commento n. 11 TAXUD/800/2002/IT, utile a ricostruire le importazioni cd. “a tre parti” (licenziante, licenziatario e terzo produttore), legame che si rivelerebbe dalla lettura delle condizioni contrattuali, che evidenzierebbero un controllo dei licenzianti non solo sulla licenziataria ma anche sui terzisti fabbricanti extraunionali a termini degli artt. 143, 160 DAC; alcuni contratti evidenzierebbero, inoltre, limitazioni delle scelte di mercato (es. in relazione ai canali distributivi), controlli di carattere industriale, nonchè controlli di carattere amministrativo (ispettivo), in sede e presso i produttori, ben oltre il dedotto controllo di qualità accertato nella sentenza impugnata;
– con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, artt. 29 e 32, (CDC), Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, artt. 143, 157, 159, 160 e 162, (DAC), al Commento del Comitato del Codice Doganale, n. 11, (TAXUD/800/2002/IT), per avere erroneamente il giudice di appello ritenuto che le riprese dei diritti di confine siano state eseguite arbitrariamente, essendo le stesse state operate sulla base di specifiche clausole contrattuali (peraltro non espressamente individuate nel motivo);
– con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 16,17 e 20, nonchè in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, nonchè in relazione all’art. 112 c.p.c., per non essersi il giudice di appello pronunciato sull’appello incidentale dell’Ufficio, che aveva censurato le sentenze di prime cure nella parte in cui avevano dichiarato inapplicabili le sanzioni per insussistenza della obiettiva incertezza del dettato normativo;
– con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza sotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere erroneamente ritenuto il giudice di appello insussistente il fatto che l’importatore si fosse obbligato a pagare i diritti di licenza quale condizione della vendita a termini dell’art. 32 CDC, comma 1, lett. c); ripropone le censure, già sottoposte nel primo motivo di ricorso, relative alla sussistenza di elementi in fatto circa l’esistenza del mero controllo di qualità da parte del licenziante, asserendo esservi controlli molto penetranti su produzione e distribuzione e sul merchandising, nonchè limitazioni su fornitori dai quali l’importatore può approvvigionarsi; lamenta come la sentenza impugnata non abbia adeguatamente valutato la diversità dei diversi contratti, lamentando la lacunosità della decisione sul punto;
che, con riferimento al ricorso iscritto al n. 25326/2014 R.G.:
– con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1,comma 2, artt. 295 e 324 c.p.c., art. 2909 c.c., per avere la CTR erroneamente fatto applicazione del giudicato, laddove la sentenza relativa all’annullamento degli avvisi non era passata in giudicato e avrebbe, al più, onerato il giudice di appello ad applicare la sospensione del procedimento per pregiudizialità;
– con il secondo motivo il ricorrente denuncia error in procedendo in relazione all’art. 112 c.p.c., per avere omesso la pronuncia in ordine alla questione della insussistenza delle obiettive condizioni di incertezza;
che preliminare si rivela l’esame del primo dei due ricorsi relativo alla impugnazione degli avvisi di accertamento;
che, quanto al primo motivo, va premesso che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della norma; altrettanto, implica un problema interpretativo il vizio di falsa applicazione di legge, che consiste nel sussumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addica, sul presupposto che la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non sia idonea a regolarla; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura non è consentita come violazione di legge ma sotto l’aspetto del vizio di motivazione; nel qual caso, il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054);
che, fatta tale premessa, con il primo motivo il ricorrente – pur enunciando una falsa applicazione della legge (come ribadito in memoria ex art. 378 c.p.c.), per erronea sussunzione della fattispecie in oggetto nelle ipotesi di cui agli artt. 29 e 32 CDC, – non chiede la verifica della corretta interpretazione delle disposizioni normative enunciate, ma invoca una diversa rivalutazione del contenuto dei contratti, le cui clausole sono state analizzate dal giudice di appello, con particolare riferimento alla circostanza della sussistenza del controllo diretto da parte del licenziante sulla produzione e sulla vendita da parte del produttore, nonchè anche in tema di controllo indiretto come indicato dal Commento n. 11 TAXUD/800/2002/IT; rivalutazione del fatto che è resa evidente dal fatto che il ricorrente mira a un riesame delle “pattuizioni negoziali passate in rassegna nei contratti esaminati”, le quali costituirebbero “la prova testuale e precisa della ricorrenza nella specie di tutte le condizioni richieste dall’art. 32 del codice doganale” ai fini della ricomprensione dei diritti di proprietà intellettuale (IPR) nel valore delle merci importate in oggetto (pagg. 120 – 121 ricorso); che questa rivalutazione del contenuto dei contratti sarebbe giustificata dalla “approssimazione” “lacunosità” ed “erroneità” della decisione del giudice di appello (pag. 122 ric.), tanto che il ricorrente procede nuovamente a riproporre sinteticamente il contenuto delle clausole contrattuali che sarebbero state male interpretate dal giudice di appello (pagg. 123 – 130);
che non sussiste la dedotta violazione di legge, ancorchè sotto il profilo dell’errore di sussunzione, posto che il ricorrente intende ottenere un riesame della quaestio facti per dedotti errori commessi dal giudice di appello nell’accertamento dei fatti controversi, questione non deducibile con il suddetto vizio di violazione o falsa applicazione di legge;
che, in ogni caso, il giudice di appello ha fatto corretta ricognizione delle disposizioni unionali relative ai presupposti per la qualificazione dei diritti di licenza o, comunque, dei diritti di proprietà intellettuale (IPR) quali elementi estranei al valore di transazione delle merci importate, attinenti alla insussistenza del fatto che i diritti di licenza abbiano costituito condizione della vendita delle merci da valutare (art. 32 CDC, par. 1 lett. c)), nonchè alla insussistenza di controllo del licenziante sul produttore (artt. 143, 160 DAC), nonchè al fatto che l’acquirente è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore e/o al licenziante (art. 159 DAC), non essendovi imposizione alcuna del licenziante sul licenziatario;
che le conclusioni del giudice di appello sulla inesistenza della condizione della vendita sono state tratte dalla documentazione versata in atti, con considerazioni attinenti sia alla strutturazione della fase di produzione del licenziatario (assunzione di diverse fasi di produzione quali ideazione, progettazione e realizzazione dei prodotti, tanto che il produttore ha “ricevuto dal committente un ordine di realizzare prodotti le cui caratteristiche erano già nella disponibilità del committente stesso e ciò in virtù di pregressi accordi tra l’ordinante/acquirente ed il titolare del diritto sul bene”), sia alla assunzione dei relativi costi di produzione da parte del licenziatario stesso, sia, infine, accertando in fatto la insussistenza di legami tali tra licenzianti e produttori terzi da qualificarsi quale controllo anche solo indiretto, posto che (secondo la lettura della documentazione versata in atti data dal giudice di appello) i licenzianti non impongono ai licenziatari i produttori terzi (tanto che in alcuni contratti il produttore terzo non viene neanche menzionato), nè impongono l’utilizzo di determinati materiali o componenti per la realizzazione dei prodotti, con la sola eccezione del controllo di qualità;
che, pertanto, il primo motivo, in quanto diretto ad ottenere una rivisitazione dell’accertamento del fatto da parte del giudice di legittimità, va dichiarato inammissibile;
che anche il quarto motivo di ricorso, che viene trattato preliminarmente rispetto agli altri due in quanto strettamente connesso al precedente, si rivela inammissibile, in quanto formulato con le modalità dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione anteriore alla novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134; ciò è reso evidente dal fatto che il ricorrente intende ottenere in sede di legittimità una revisione del ragionamento decisorio, nella specie consistente in una nuova valutazione sulla circostanza in fatto che la documentazione versata in atti darebbe contezza del fatto che l’importatore si sia obbligato a pagare i diritti di licenza quale condizione della vendita;
che, in ogni caso, non vi è stata la individuazione del fatto, costitutivo, impeditivo, modificativo o estintivo del diritto controverso ex art. 2697 c.c., risultante dagli atti processuali, nonchè del momento e del luogo in cui quel fatto ha fatto ingresso nel processo, nè vi è stata illustrazione che il fatto ha costituito oggetto di discussione tra le parti, con illustrazione del momento e del luogo della discussione processuale, nè della decisività dello stesso, non avendo il ricorrente illustrato logicamente come l’esame di tale fato storico avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. V, 28 dicembre 2018, n. 33578);
che non rileva, invero, ai fini del suddetto motivo di gravame il solo omesso o anche il solo erroneo esame di elementi istruttori, non essendo il giudice onerato di dover dare conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);
che il secondo motivo di ricorso è ugualmente inammissibile perchè, come nota lo stesso ricorrente, esso non attiene alla ratio decidendi ma a un obiter dictum del giudice di appello, che dopo avere annullato gli avvisi per esclusione dal prezzo di transazione dei diritti di licenza (e, quindi, avere escluso nell’an i diritti di licenza dal valore di transazione), ha escluso ad abundantiam che i diritti siano stati calcolati correttamente nel quantum per un erroneo utilizzo del criterio della media ponderata applicata al momento della vendita, motivo che si rivela ultroneo nella misura in cui venga dal giudice di appello esclusa in radice la legittimità del calcolo del valore di transazione anche sui diritti di licenza quale componente inscindibile del prezzo di acquisto delle merci;
che il terzo motivo di ricorso (attinente al mancato esame dell’appello incidentale relativo all’annullamento delle sanzioni da parte del giudice di primo grado) è parimenti inammissibile per carenza di interesse per un duplice ordine di ragioni; in primo luogo il ricorrente non era onerato a impugnare la sentenza nelle parti in cui la stessa non si era pronunciata in forza del principio dell’assorbimento, potendo riproporre le questioni davanti al giudice del rinvio in caso di cassazione con rinvio, salvo evitare il giudicato interno (Cass., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14190); in secondo luogo, l’interesse del ricorrente ad impugnare il capo sulle sanzioni sussiste se e nella misura in cui venga riformato il capo relativo alla sussistenza dei dazi, il che non è, essendo stati rigettati gli altri motivi;
che il ricorso nel proc. n. 27120/2014 R.G. va, pertanto, rigettato;
che il rigetto del primo ricorso fa venir meno l’interesse della parte ricorrente all’esame del ricorso nel proc. n. 25326/2014 R.G., che va dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, posto che gli atti di irrogazione delle sanzioni devono ritenersi travolti nel caso in cui gli avvisi di accertamento siano stati definitivamente annullati, stante l’effetto espansivo esterno della sentenza di riforma o di cassazione, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 2;
che la regolazione delle spese del giudizio segue il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso n. 27120/2013 R.G. e dichiara inammissibile per carenza di interesse il ricorso n. 25326/2014 R.G., condanna l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI al pagamento in favore dei controricorrenti, in solido tra loro, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00, oltre 15% rimborso spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019
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