LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8306-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.E. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LAZIO 20-C, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO COGGIATTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA BIANCHI;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 103/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 05/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/04/2019 dal Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE.
RITENUTO IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate notificava alla società B.E. s.r.l. una comunicazione – ingiunzione con la quale richiedeva il pagamento della somma di Euro 67.869 a titolo di restituzione dell’aiuto di Stato fruito nell’anno di imposta 2003, divenuto illegittimo a seguito della decisione della Commissione Europea 20 ottobre 2004, n. 2005/315/CE, che ha dichiarato l’incompatibilità con il mercato comune del regime di aiuti di Stato introdotto con la L. 18 ottobre 2001, n. 3, art. 4, prorogato dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5 sexies ed ha ordinato di procedere al recupero degli importi erogati in violazione della normativa comunitaria. In particolare l’Ufficio procedeva alla emissione della comunicazione – ingiunzione in oggetto dopo avere rilevato che la società aveva omesso di dare corso alla procedura prevista dalla L. 25 gennaio 2006, n. 29, art. 24, per l’attuazione della citata decisione della Commissione Europea. Con separato atto di contestazione veniva irrogata una sanzione pari al 30% dell’importo recuperato.
Contro entrambi gli atti la società B.E. srl proponeva distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Cremona che, previa riunione, li rigettava con sentenza n. 50 del 2009.
La società proponeva appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che lo accoglieva con sentenza 5 aprile 2011, n. 103. Il giudice di appello, premesso che l’unica questione dedotta con il ricorso introduttivo era relativa alla asserita preclusione al recupero dell’aiuto di Stato derivante dal fatto che la contribuente, per la medesima annualità, aveva aderito all’accertamento con adesione, ne riteneva la fondatezza con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, con unico motivo, rubricato: “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della decisione della Commissione Europea 20 ottobre 2004, n. 2005/315/CE – in relazione al Trattato sul Funzionamento Unione Europea, art. 288, par. 4 e di tale Trattato, artt. 107 e 108. Violazione del Reg. (CE) 22 marzo 1999, n. 659, art. 14. Falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, commi 3 e 4”.
La società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale sulla base di sette motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
A). Il ricorso principale è fondato.
La Commissione Europea con decisione 20 ottobre 2004, n. 2005/315/CE, ha stabilito che l’esenzione fiscale prevista dalla L. n. 383 del 2001, art. 4, prorogata dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5 sexies, convertito nella L. n. 27 del 2003 (di cui ha beneficiato la società controricorrente), costituisce un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune a norma dell’art. 107 TFUE (art. 1 decisione), con conseguente obbligo per l’Italia di adottare tutte le misure necessarie per recuperare presso i beneficiari gli aiuti illegalmente concessi (art. 4 decisione). La decisione della Commissione costituisce atto normativo vincolante in tutti i suoi elementi (art. 288 TGUE) ed obbliga lo Stato destinatario al recupero dell’aiuto di Stato, indipendentemente dal fatto che esso sia stato concesso come sovvenzione economica diretta ovvero sotto forma di agevolazione fiscale, trattandosi comunque di diverse modalità di elargizione di risorse statali vietate dall’art. 107 TFUE. Inoltre il Reg. (CE) n. 659 del 1999 del Consiglio, all’art. 14 rubricato “Aiuti di Stato”, impone allo Stato interessato di effettuare il recupero senza indugio “secondo le procedure previste dalle leggi dello Stato membro a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione”. E’ pertanto evidente che la procedura di accertamento con adesione ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 2 (alla quale la società ha fatto ricorso per la definizione dei maggiori ricavi contestati nell’anno di imposta 2003), non influisce in alcun modo sulla procedura di recupero dell’aiuto di Stato illegittimo, che non è attività di accertamento fiscale ma attività imposta dal diritto UE alla Stato membro. Qualora, ipoteticamente, si dovesse ritenere che il divieto di modificazione o integrazione dell’atto di accertamento con adesione, di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, è norma ostativa alla attivazione della procedura di recupero degli aiuti di Stato imposta dal diritto comunitario, essa dovrebbe essere disapplicata in ragione del principio della prevalenza del diritto Europeo sulle norme interna, principio affermato dalla consolidata giurisprudenza comunitaria e costituzionale (a decorre da Corte di giustizia U.E. causa Simmenthal 106/77 del 9 marzo 1978 e Corte Cost. n. 170 del 1984).
B) Il ricorso incidentale, qualificabile come condizionato poichè proposto da controricorrente vittoriosa nel merite ma soccombente su questioni pregiudiziali di rito, deve essere rigettato.
1. Con il primo motivo (terzo nella numerazione della controricorrente) si deduce: “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, ovvero insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto la tardività del motivo di impugnazione relativo alla ammissibilità degli aiuti “de minimis”. Il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia un vizio della motivazione con riguardo ad una asserita erronea applicazione di una norma processuale. Il vizio della motivazione considerato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve investire un “fatto” inteso nel senso di accadimento o circostanza storico-naturalistica e non può quindi essere prospettata in ordine a nullità processuali rispetto alle quali il giudice di legittimità è anche giudice del fatto, potendo procedere all’apprezzamento diretto degli atti di causa (Sez. 1 n. 21080 del 28/10/2005); in tema di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico – naturalistico. (Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018).
Con riferimento alla denuncia di erronea applicazione della norma processuale che vieta l’introduzione di motivi nuovi rispetto a quelli presenti nel ricorso originario, a prescindere dalla erronea qualificazione quale error in iudicando anzichè in procedendo, la censura è infondata. La parte del ricorso introduttivo indicata dalla controricorrente non contiene affatto la prospettazione della applicabilità della regola “de minimis ” quale eccezione al divieto di aiuti di Stato, ma una generica riserva di presentare una successiva memoria al fine di dimostrare l’osservanza da parte della contribuente delle regole comunitarie. E’ pertanto corretto il giudizio espresso dalla C.T.R. secondo cui tale questione era inammissibile poichè non contenuta nell’originario ricorso introduttivo.
2. Con il secondo motivo (quarto nella motivazione della controricorrente) si deduce: “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, del Trattato sul funzionamento della Unione Europea, artt. 288 e 107, del Reg. n. 69 del 2001 CE, artt. 1, 2 e 3, della decisione della Commissione Europea del 20 ottobre, punto 37, del Reg. 22 marzo 1999, n. 659, art. 14 e della L. n. 29 del 2006, art. 24,ovvero insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, cui segue un sotto – motivo (numerato 4.3) rubricato “Sui motivi assorbiti dalla decisione di secondo grado circa l’effettiva esistenza delle condizioni di applicabilità dei Regolamenti “de minimis”. La controricorrente assume che, anche ritenendo la tardività della proposizione del motivo “de minimis, la C.T.R. avrebbe dovuto applicare d’ufficio tale regola sulla base delle citate disposizioni normative comunitarie e della norma nazionale di cui alla L. n. 29 del 2006, art. 24.
Il motivo è infondato. Le disposizioni del TFUE che prevedono l’incompatibilità con il mercato comune degli aiuti di Stato e le norme dei Regolamenti che attuano in concreto la disciplina circa il divieto degli aiuti di Stato e relative eccezione (tra cui la regola “de minimis”) non interferiscono con la disciplina processuale sulla tempestività della proposizione dei motivi di ricorso al giudice nazionale. Nel caso in esame il giudice di appello non ha escluso l’applicabilità alla fattispecie concreta della regola “de minimis”, e neppure ne ha ritenuto l’assorbimento: diversamente, il giudice di appello ha rilevato che tale questione (a prescindere dalla sua fondatezza) era stata introdotta tardivamente, posto che il tema decisorio fissato nel ricorso introduttivo riguardava esclusivamente la questione della asserita inapplicabilità del recupero degli aiuti di Stato in quanto relativo ad una annualità interessata dall’intervenuto accertamento con adesione.
3. Con il terzo motivo (quinto nella numerazione del controricorso) si deduce: “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, ovvero insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto la tardività del motivo di impugnazione relativo alla effettiva corrispondenza degli aiuti ricevuti ai danni subiti.
Il motivo è infondato. Dalla lettura dei passi del ricorso introduttivo riportati dalla controricorrente a dimostrazione della tempestività dell’eccezione, si rileva al contrario che la società si è semplicemente riservata di produrre una ulteriore memoria atta a dimostrare di aver subito un danno diretto a causa delle calamità naturali il cui importo non era superiore agli aiuti ricevuti. A prescindere dalla tardività della eccezione, occorre rilevare che la società – pacificamente – non ha attivato la procedura prevista dalla L. n. 29 del 2006, art. 24, omettendo di inviare l’attestazione contenente i dati necessari per l’individuazione degli eventuali aiuti illegittimamente fruiti, così impedendo all’Amministrazione finanziaria lo svolgimento dei controlli necessari per verificare la compatibilità dell’aiuto con il diritto comunitario. L’obbligo di invio della attestazione richiesta dal cit. art. 24, comma 2, prescinde dal fatto che il beneficiario dell’aiuto abbia il diritto di trattenerlo o debba restituirlo in tutto o in parte, come si evince dalla previsione dell’obbligo di inviare l’attestazione “anche in caso di autoliquidazione negativa” (art. 24, comma 3), e la sua omissione comporta comunque la decadenza dalla agevolazione e la obbligatorietà del recupero stabilito dall’art. 24, comma 5, “nel caso in cui l’attestazione di cui al comma 2 non risulti presentata” (conforme Sez. 5, n. 10880 del 27/05/2015; Sez. 5, n. 27495 del 30/12/2014).
4. Con il quarto (sesto nella numerazione del controricorso) si deduce:” In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, del Trattato sul funzionamento della Unione Europea, artt. 288 e 107, del Reg. n. 69 del 2001 CE, artt. 1, 2 e 3, della decisione della Commissione Europea del 20 ottobre, punto 37, del Reg. 22 marzo 1999, n. 659, art. 14 e della L. n. 29 del 2006, art. 24, ovvero insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, cui segue il sotto – motivo (numerato 6.2) rubricato “Sui motivi assorbiti dalla decisione di secondo grado circa gli effettivi danni da calamità”.
Il motivo è infondato per le medesime ragioni indicate nell’esame del terzo motivo.
5. Con il quinto motivo (settimo nella numerazione del controricorso) si deduce:” In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 (Statuto del contribuente), ovvero insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, con riferimento alla ritenuta tardività della proposizione del motivo di ricorso relativo alla illegittimità delle sanzioni per la sussistenza di oggettive incertezze circa l’ambito applicativo della decisione della Commissione Europea.
Il motivo è infondato. La stessa ricorrente dà atto di avere proposto tale motivo di doglianza soltanto con la presentazione di una memoria depositata nel giudizio di primo grado, quindi con ricorso alla procedura dei motivi aggiunti in assenza dei presupposti che, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, legittimano l’integrazione dei motivi svolti nel ricorso introduttivo (deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della Commissione).
La tesi della rilevabilità d’ufficio della condizione di non applicabilità delle sanzioni prevista dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, non ha fondamento giuridico.
6. Le decisioni di questa Corte, citate nella memoria depositata dalla controricorrente in via incidentale, non hanno attinenza al caso in esame, dovendosi ribadire che l’inottemperanza all’obbligo di invio della attestazione richiesta dalla L. n. 29 del 2006, art. 24, ha precluso all’interessata la possibilità di fruire della agevolazione fiscale, a prescindere dalla astratta ammissibilità di essa anche in relazione alla regola “de minimis”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente. Spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso incidentale e accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto, e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa le spese per i gradi di merito; condanna la controricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro cinquemilaseicento, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019