Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.15248 del 04/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11961-2018 proposto da:

L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ALFONSO VISCARDI, STEFANIA PONTRANDOLFI;

– ricorrente –

contro

D.A.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO SIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 167/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE GIANNITI.

RILEVATO

CHE:

L’architetto L.E., in proprio e quale L.R. pro tempore dello studio tecnico Frontisterion, ha proposto avverso la sentenza n. 167/2018 della Corte di Appello di Salerno che, rigettando l’impugnazione da lui proposta nei confronti di D.A.V., ha integralmente confermato la sentenza n. 76/2012 emessa dal Tribunale di Salerno nel procedimento pendente tra le parti (ed avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità del professionista per mancato accoglimento dell’istanza di concessione in sanatoria e la restituzione della somma versata a titolo di competenze professionali).

Ha resistito con controricorso il D.A..

Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

In vista dell’odierna adunanza è stata depositata memoria da parte del ricorrente, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO

CHE:

Il ricorso è affidato a due motivi.

Con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia: violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui ha la Corte ha ritenuto da lui non provata la realizzazione di abusi, successivi alla redazione del grafici; nonchè omesso esame di fatto decisivo e controverso nella parte in cui la Corte ha omesso di considerare il convenuto del verbale di sequestro con comunicazione notizia di reato del 22 gennaio 2004 (nel quale lo stato dei luoghi era coincidente con quello da lui indicato negli elaborati grafici 12/3/2014) e la nota del 22/2/2005 dell’Ing. A.A., con la quale venivano evidenziati gli ulteriori abusi realizzati dal D.A..

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione al solo art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1229 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c. nella parte in cui la Corte, in mancanza di appello incidentale, ha dato al c.d. esonero da responsabilità, di cui alla scrittura 3/2/2005 (intervenuta dopo il sopralluogo del 25 gennaio 2005 da parte dei tecnici del Comune di Cava dè Tirreni, che avevano accertato gli ulteriori abusi del D.A., e dopo che la sua prestazione professionale era già stata effettuata e si era conclusa), un’interpretazione sostanzialmente diversa da quella del giudice di primo grado ed ha omesso di esaminare e decidere il motivo di appello concernente l’eccepita violazione e falsa applicazione dell’art. 1229 c.c. e art. 112 c.p.c. (avendo il giudice di primo grado rilevato d’ufficio la sua colpa grave, mentre era in contestazione soltanto la sua responsabilità professionale).

Il ricorso è inammissibile.

Inammissibile è il primo motivo.

Invero, la violazione degli artt. 115 e 2697 c.c., non è stata dedotta nel rispetto di quanto indicato, per l’art. 115 c.p.c., da questa Sezione con sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01, e di quanto ribadito, per entrambe le norme denunciate, dalle Sezioni Unite con sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01, la quale si è così espressa nel paragrafo 14 della motivazione:

“Il motivo non contiene alcuna denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c. e di quello dell’art. 115 c.p.c., bensì lamenta soltanto erronea valutazione di risultanze probatorie. La violazione dell’art. 2697 c.c., si configura se il giudice dii merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115, è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016).”.

Nella specie, il ricorrente non denuncia affatto che il giudice di merito abbia attribuito l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata e neppure denuncia che il giudice di merito abbia deciso sulla base di prove non introdotte dalle parti o disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi consentiti, ma si duole che non è stato dato alcun valore al verbale di sequestro 22/1/2004 e non è stato adeguatamente esaminata e valutata la nota 22/2/2005 a firma dell’Ing. A., e, così facendo, ad entrambi i giudici di merito è sfuggito che, al momento della redazione della istanza in sanatoria, gli unici abusi esistenti e riscontrabili erano quelli accertati in occasione del sopralluogo, per i quali gli era stato conferito incarico, mentre gli abusi, successivamente accertati, non erano esistenti all’epoca della redazione dei grafici. In definitiva, il ricorrente lamenta soltanto una erronea valutazione di risultanze probatorie, inammissibile nella presente sede.

Quanto poi alla violazione dell’art. 2700 c.c., essa non è dedotta in via diretta, ma all’esito della richiesta di valutazione del verbale di sopralluogo redatto dagli agenti di Polizia Municipale – e, dunque, al di fuori dei limiti del controllo della motivazione sulla quaestio facti, consentito dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5, per come individuati dalle Sezioni Unite di questa Corte ormai da un quinquennio (cfr. sent. nn. 8053 e 8054 del 2014).

In definitiva, per le ragioni che precedono, il motivo in esame, sotto il pretesto della denuncia di violazione degli art. 2697 e 115, in realtà sollecita un controllo sulla motivazione oggi non consentito dall’art. 360, n. 5.

Parimenti inammissibile è il secondo motivo.

L’inammissibilità consegue al mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto il ricorrente omette di localizzare in questo giudizio di legittimità la scrittura privata 3 febbraio 2005. Per mera completezza si rileva che nell’esposizione del fatto, a pagina 2, detta scrittura viene indicata nella riproduzione di parte dell’atto di costituzione come all. 3, ma tale indicazione è relativa a quell’atto e non serve certamente a consentire l’adempimento dell’onere di localizzazione in questo giudizio di legittimità.

In ogni caso l’illustrazione, lungi dall’evidenziare una violazione dell’art. 1229 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c., si risolve nell’argomentare la violazione delle suddette disposizioni sulla base di una nuova sollecitazione a valutare le emergenze probatorie (tanto che è dedotta la diversa interpretazione della scrittura data dalla Corte territoriale rispetto a quella data dal giudice di primo grado); di talchè, anche sotto questo diverso profilo, il ricorrente finisce con l’investire questa Corte di un controllo della motivazione, nuovamente escluso dal nuovo art. 360, n. 5.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

-dichiara inammissibile il ricorso;

-condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2500, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

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