LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1887-2018 proposto da:
B.P., D.R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
GE AVIO SRL, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI SALLUSTRI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2988/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata l’01/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 1.12.2017, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato l’impugnativa proposta da B.P. e D.R.A. avverso il licenziamento disciplinare loro intimato da GE Avio s.r.l.;
che avverso tale pronuncia B.P. e D.R.A. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;
che GE Avio s.r.l. ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che i ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l’unico motivo di censura, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, St. lav., artt. 56 e 640 c.p., art. 2119 c.c. e artt. 9-10 CCNL, per i dipendenti dell’industria metalmeccanica e installazione impianti, per avere la Corte di merito ritenuto che il fatto contestato ai dipendenti (e consistito nell’aver addebitato alla datrice di lavoro costi di carburante eccessivi rispetto alle distanze percorse e abusivi rabbocchi di carburante fatturati dalle compagnie di autonoleggio) costituisse una tentata truffa ai danni della datrice di lavoro, con conseguente applicazione dell’art. 10, lett. b), CCNL cit., che punisce con il licenziamento il compimento di azioni che costituiscono delitto, invece che mero inadempimento punibile con sanzione conservativa ex art. 9, lett. l), CCNL cit.;
è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. da ult. Cass. n. 24155 del 2017);
che, nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione e falsa applicazione delle disposizioni citate nella rubrica, si duole piuttosto dell’interpretazione che la Corte territoriale ha dato delle risultanze probatorie al fine di configurare il raggiro tentato dai ricorrenti ai danni della odierna controricorrente, che è per l’appunto questione che esula dall’esatta interpretazione delle disposizioni di legge e di contratto invocate quale parametro di legittimità e attiene piuttosto alla correttezza o meno dell’accertamento di fatto che è presupposto per la loro applicazione;
che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di disposizioni di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le parti ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 5 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019