LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17118/2018 proposto da:
K.O., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei Consoli 62 presso lo studio dell’avvocato Enrica Inghilleri e rappresentato e difesa dall’avvocato Lucia Paolinelli, in forza di procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 26/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/03/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 26/4/2018, notificato il 26/4/2018, il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, presentato da K.O., cittadino guineano, avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale e in subordine di protezione umanitaria.
Il richiedente, nato in *****, di etnia *****, musulmano, ha lasciato in patria moglie e figlia, nata dopo la sua partenza, presso i nonni materni; ha dichiarato di aver lasciato la Guinea a gennaio del 2014 dopo molte sofferenze, a causa della guerra fra musulmani e cristiani in cui erano stati uccisi i suoi genitori, a Nzerekorè, in occasione di un regolamento di conti fra opposte fazioni religiose.
Il Tribunale ha ritenuto che le circostanze riferite non integrassero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato; ha escluso che la generica gravità della situazione politico-economica del Paese di origine, al pari della mancanza della possibilità di esercizio delle libertà democratiche, fossero di per sè sufficienti a tal fine; ha negato anche la protezione sussidiaria, non ravvisando il rischio di una violenza indiscriminata, tanto più che gli scontri fra musulmani e cristiani risultavano cessati, e ritenendo la sussistenza di strumenti di protezione, pur con tutte le difficoltà del Paese avviato ad un lento processo di democratizzazione; ha escluso infine la sussistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso umanitario, non apprezzando nel caso concreto la sussistenza di una specifica situazione soggettiva di vulnerabilità giustificatrice.
2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso K.O., con atto notificato il 26/5/2018, svolgendo due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi da 1 a 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, art. 8, comma 3 e art. 11, nonchè vizio di motivazione; il ricorrente denuncia altresì violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e vizio di motivazione.
1.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale di Ancona aveva sostanzialmente ritenuto che il K. non avesse adeguatamente collaborato all’accertamento dei fatti atti a dimostrare la persecuzione subita insita nella storia personale riferita.
La motivazione formulata era palesemente erronea, insufficiente e generica, con il conseguente vizio di violazione di legge.
La vicenda personale del richiedente era stata erroneamente interpretata, e sottovalutata a causa di una errata applicazione del rischio di persecuzione o di danno grave.
1.2. La doglianza non attinge la reale ratio decidendi del provvedimento impugnato, che non ha affatto rimproverato al K. la mancata collaborazione all’accertamento dei fatti e non ha dubitato della credibilità del suo racconto, al cui riguardo si è espresso con il beneficio del dubbio (pag.5, p. 2.1., terzo capoverso); il Tribunale ha invece dato rilievo alla ritenuta cessazione del conflitto tra cristiani e musulmani in Guinea.
Su tali presupposti ha escluso che il K. potesse correre su base individuale il rischio di danni gravi ai sensi delle lettere a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante) e ha quindi valutato negativamente, sulla base delle fonti informative disponibili, la sussistenza attuale di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (lett. c) dell’art. 14 predetto).
1.3. Secondo il ricorrente era mancata la doverosa verifica d’ufficio delle dichiarazioni rese dal richiedente e la debita loro valutazione alla luce degli indicatori previsti dalla legge.
L’assenza delle condizioni di pericolosità nello Stato di provenienza era stata ravvisata sulla base di uno sviluppo argomentativo alquanto discutibile in virtù della risoluzione dei gravi conflitti interni registrata dagli Osservatori.
Non erano state analizzate le puntuali deduzioni del ricorrente contenute nel ricorso.
Il Tribunale non si era avvalso delle fonti più attendibili al fine di valutare la situazione complessiva della Guinea e ha strumentalizzato le fonti controllate, visto che esse dimostravano che la situazione interna della Guinea era tutt’altro che pacifica e che il livello di violenza non era accettabile.
Le circostanze esposte dal richiedente dovevano essere rapportate alle fattispecie normative anche ai fini della richiesta protezione sussidiaria; la vicenda personale del K. era collegata una situazione di violenza diffusa e non arginabile dalle pubbliche autorità o da esse stesse perpetrata.
1.4. La doglianza, sotto le spoglie di una censura per violazione di legge, propone una critica di merito alla valutazione delle fonti operata dal Giudice del merito, che il ricorrente vorrebbe rivisitare, palesemente inammissibile in sede di legittimità.
Il Giudice del merito non si è affatto sottratto al dovere di verifica d’ufficio delle condizioni generali socio-politiche del Paese di provenienza, sussistente nei giudizi in materia di protezione internazionale, caratterizzati dall’onere probatorio attenuato a carico del richiedente; Il Tribunale è pervenuto, all’esito di una valutazione articolata, condotta anche per singole prefetture, a un apprezzamento complessivo di attuale stabilità, valida per l’intero territorio della Guinea (pagine da 5 a 9), e ha formulato così un giudizio finale di insussistenza di un rischio grave nel Paese di origine le cui istituzioni erano in grado di proteggere, in caso di effettivo e concreto pericolo, di proteggere i loro cittadini.
1.5. Il ricorrente sostiene che non era poi giustificabile un approccio settoriale nella valutazione del pericolo da rientro in ragione dell’asserita presenza di violenza solo in alcune aree del Paese.
La censura è fuori fuoco perchè il Tribunale ha escluso la sussistenza di un conflitto interno rilevante nell’intero territorio della Guinea.
1.6. Infine, secondo il ricorrente, il Tribunale aveva omesso di valutare la possibilità della concessione di un permesso per motivi umanitari, quale misura residuale di protezione, tenendo conto della povertà del Paese di origine e dell’estrema difficoltà sociale ed economica in cui il richiedente si sarebbe trovato in caso di rimpatrio. Non era stato valutato che il K. parla a un buon livello la lingua italiana, ha trovato lavoro dall’ottobre 2017 con un contratto sino ad agosto 2018, necessariamente in funzione del tipo di permesso di soggiorno posseduto; lo stipendio mensile gli veniva regolarmente accreditato; tali circostanze valorizzavano il percorso di integrazione seguito dal ricorrente; il rimpatrio avrebbe messo il K. in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale.
1.7. Giova premettere, quanto alla disciplina transitoria, che questa Corte, con sentenza del 23/1/2019 n. 4890, condivisa dal Collegio che intende garantirle continuità, ha precisato che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, che devono essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione. In tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura “casi speciali” e soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, comma 9, di detto Decreto Legge.
1.8. Anche a proposito della protezione umanitaria il ricorrente formula una critica nel merito alla valutazione formulata dal Tribunale circa l’insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità, con giudizio motivato (pag.12, p. 3.1., in particolare 5 alinea), senza neppur confrontarsi con tutte le considerazioni espresse dai Giudici, prima fra tutte quella imperniata sul lega familiare con moglie e figlia rimaste in patria.
L’inserimento lavorativo dedotto è poi del tutto precario e a termine, come del resto impone la tipologia di permesso di soggiorno posseduto in pendenza della domanda di protezione internazionale; è peraltro inammissibile la produzione di ulteriori documenti in sede di legittimità.
Il processo di integrazione culturale e lavorativa in Italia del richiedente in pendenza dei tempi di esame della domanda di protezione non è di per sè ragione di riconoscimento del permesso per protezione umanitaria, al cui riguardo assume semmai rilievo l’apprezzamento di una situazione di particolare vulnerabilità che lo esporrebbe a una situazione di gravissimo disagio nel caso di rientro nel paese di origine.
2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti con riferimento alla situazione di violenza generalizzata nel Paese di origine, non adeguatamente verificata dal Tribunale con l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio.
Il vizio denunciato non sussiste. Il Tribunale ha valutato specificamente e approfonditamente il fatto storico di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame alle pagine da 5 a 9, pervenendo semplicemente a conclusioni non condivise dal ricorrente che vi contrappone una sua difforme valutazione di merito, con censura inammissibile in sede di legittimità.
3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione intimata.
Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019