Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.15788 del 12/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19467/2018 proposto da:

J.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Luca Froldi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, dell’08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/03/2019 dal Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato l’8-5-2018 il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso di J.M., cittadino della Nigeria, avente ad oggetto il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che i fatti narrati dal richiedente, il quale riferiva di essere stato minacciato dal consiglio popolare per aver rivolto delle accuse ad una donna, non fossero credibili. Il Tribunale ha ravvisato insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, avuto riguardo anche alla situazione generale e politico-economica della Nigeria, ed in particolare della regione nordoccidentale (Kano) di provenienza del richiedente, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”. Denuncia la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, avendo il Tribunale omesso di chiedere chiarimenti al ricorrente e di verificare la veridicità dei fatti dallo stesso narrati, e richiama, quanto alla descrizione di detti fatti, gli atti depositati nel fascicolo di parte del precedente grado di giudizio (pag. n. 4 ricorso).

4. Con il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”. Ad avviso del ricorrente le situazioni di violenza rilevate in alcune regioni della Nigeria sussistono nella regione di sua provenienza, contrariamente a quanto affermato nel decreto impugnato. Lo stato di violenza diffusa che caratterizza il Sud della Nigeria era stato riconosciuto in fattispecie decise con tre ordinanze del Tribunale di Venezia del 23 e 24 aprile 2018.

5. In via preliminare, con riguardo alla questione, oggetto di gravame, del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre precisare che “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e delle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge. Tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato con la dicitura “casi speciali”, soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, comma 9, di detto Decreto Legge” (Cass. n. 4890/2019).

5. Tanto premesso, i due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

5.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). La giurisprudenza di questa Corte ha infine precisato che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. ord. N. 3681/2019).

5.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata dal Tribunale, senza invero neppure allegare una specifica condizione di vulnerabilità, nè descrivere la propria vicenda personale, facendo, al riguardo, mero richiamo agli atti del precedente grado di giudizio (pag. n. 4 ricorso). Il Tribunale, richiamando specifiche fonti di conoscenza (UNHCR e rapporti EASO Coi – pag. 4 e 5 decreto impugnato), ha escluso che la zona di provenienza del ricorrente (Kano) sia caratterizzata da violenza diffusa e indiscriminata o da conflitti armati e il ricorrente non censura specificamente la valutazione di non credibilità delle vicende narrate. Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Per quanto si è detto la motivazione del decreto impugnato è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.

5.3. In ordine alla doglianza sul mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, il Tribunale ha compiutamente esercitato il suo potere-dovere di cooperazione istruttoria, richiamando le fonti di conoscenza che hanno escluso che la zona di provenienza del ricorrente sia caratterizzata da violenza diffusa e indiscriminata o da conflitti armati.

5.4. In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, richiamato il principio di diritto di cui al paragrafo 5 circa l’inapplicabilità della disciplina entrata in vigore nelle more del presente giudizio, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, la credibilità del racconto del ricorrente e l’esistenza di una sua situazione di particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dal Tribunale viene inammissibilmente contrapposta una diversa e del tutto generica interpretazione delle risultanze di causa.

6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

7. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

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