LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20733/2018 proposto da:
O.I., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Don Giovanni Minzoni 9, presso lo studio dell’avvocato Luponio Riccardo, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 862/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/03/2019 dal Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 862/2018 pubblicata il 16-5-2018, la Corte d’appello di Bari ha respinto l’appello di O.I., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bari in data 23-10-2017, con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto il riconoscimento della protezione sussidiaria, ovvero in subordine, di quella umanitaria. La Corte territoriale ha rilevato che nell’atto d’appello non si faceva alcun accenno alle vicende personali del richiedente ed alla rilevanza delle stesse rispetto alla richiesta protezione. La Corte d’appello ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e neppure ha ritenuto sussistere i presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, avuto riguardo alla situazione generale e politico-economica della Nigeria, descritta nella sentenza d’appello con indicazione delle fonti di conoscenza.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Osserva che compete all’autorità giudiziaria, adita con l’opposizione D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, riesaminare integralmente la domanda presentata in via amministrativa e vagliare la sussistenza di atti persecutori familiari e la fondatezza del timore di persecuzione personale e diretta nel Paese di origine del richiedente. Quest’ultimo aveva riferito di aver abbandonato la Nigeria dopo la morte di suo padre in quanto la comunità del suo villaggio aveva reclamato la proprietà di un terreno della sua famiglia. Aveva altresì riferito di essere stato minacciato dagli abitanti del villaggio, unitamente a suo fratello, il quale era stato ucciso a colpi di machete.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Rileva il ricorrente che la Corte territoriale aveva fondato la propria decisione sostanzialmente sul difetto di attendibilità e coerenza delle dichiarazioni rese dal richiedente, senza prendere in considerazione la precaria situazione delle diatribe sociali in Nigeria. Ritiene di aver sufficientemente circostanziato la propria situazione di vulnerabilità, avendo il fondato timore di venire ucciso come il fratello e richiama la circolare n. 346 del 29-1-2014 del Ministero dell’Interno per il diritto di asilo, che impone “di sospendere i rimpatri verso la suddetta zona di Paese che interessa nella presente sede per tutti coloro che hanno ricevuto un diniego di protezione internazionale” (pag. 5 ricorso).
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al riconoscimento della protezione sussidiaria. Rileva che nella regione dell’Edo State, da cui proviene, le tensioni derivanti dagli scontri sociali hanno determinato una situazione gravemente pregiudizievole e tale situazione costituisce minaccia grave alla sua vita e alla sua persona, avendo il ricorrente il ragionevole timore di subire persecuzioni nel futuro e di essere ucciso.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4. Ribadisce l’errata valutazione da parte della Corte territoriale della situazione della Nigeria, rimarcando i livelli di criminalità e la diffusa ed indiscriminata violenza esistenti nel Paese. Inoltre sottolinea il proprio radicamento nel territorio italiano, in cui vive con la sorella, e l’integrazione derivatane, anche per aver ricevuto una proposta di lavoro come bracciante agricolo.
5. In via preliminare, con riguardo alla questione, oggetto di gravame, del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre precisare che “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e delle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge. Tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato con la dicitura “casi speciali”, soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, comma 9, di detto decreto legge” (Cass. n. 4890/2019).
6. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sent. N. 8053/2014) hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” Il ricorrente formula la doglianza facendo riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più vigente e, nell’illustrazione del motivo, genericamente si duole del mancato riesame integrale della domanda inoltrata alla Commissione territoriale.
7. Gli altri tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono parimenti inammissibili.
7.1 Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). La giurisprudenza di questa Corte ha infine precisato che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. ord. N. 3681/2019).
7.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla situazione generale della Nigeria e dell’Edo State, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata dalla Corte territoriale, facendo riferimento alle minacce di morte a suo dire ricevute dai membri del suo villaggio. La Corte d’appello ha invece rimarcato che il richiedente non aveva fatto alcun accenno alla sua storia personale nell’atto di appello ed il ricorrente non censura specificamente detta affermazione, nè indica in quale parte dell’atto d’appello vi sia stato il riferimento alle vicende personali, sicchè, sotto tale profilo, il ricorso difetta di autosufficienza. La Corte territoriale, richiamando specifiche fonti di conoscenza (ultimo rapporto di Amnesty International), ha escluso che la zona di provenienza del ricorrente (Edo) sia caratterizzata da violenza diffusa e indiscriminata o da conflitti armati. Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Per quanto si è detto la motivazione del decreto impugnato è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 citata e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.
7.3. In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, richiamato il principio di diritto di cui al paragrafo 5 circa l’inapplicabilità della disciplina entrata in vigore nelle more del presente giudizio, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente. All’accertamento compiuto dalla Corte territoriale viene inammissibilmente contrapposta una diversa e del tutto generica interpretazione delle risultanze di causa. In considerazione di quanto accertato dai giudici di merito in ordine al contesto generale del Paese di provenienza, nessun rilievo può assumere il livello di integrazione, isolatamente ed astrattamente considerato, che il ricorrente assume di aver raggiunto in Italia (Cass. n. 17072/2018) e sul quale, peraltro, non v’è accenno nella motivazione della sentenza impugnata, non censurata sul punto.
8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
9. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 29 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019