LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20739/2018 proposto da:
S.T.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Don Giovanni Minzoni 9, presso lo studio dell’avvocato Luponio Riccardo, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, del 19/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/03/2019 da PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto n. 7681/2018 pubblicato il 19-6-2018, il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso di S.T.A., cittadino del *****, avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione internazionale, sussidiaria o, in subordine, umanitaria. Il Tribunale ha evidenziato che il richiedente aveva riferito di essere fuggito dal ***** per aver ferito un poliziotto, ma era giunto nel territorio Europeo da diversi anni, avendo il medesimo dichiarato di aver lasciato il ***** nel 2012 e di aver soggiornato per tre anni in Grecia e poi in Germania. Il Tribunale ha ritenuto, in mancanza di elementi maggiormente attendibili circa l’accusa di lesioni, che in ogni caso non sussistesse l’attualità e la concretezza del pericolo, considerato il lungo tempo trascorso dalla fuga dal Paese di origine. Il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi misura di protezione, avuto riguardo anche alla situazione generale e politico-economica del *****, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Osserva che compete all’autorità giudiziaria, adita con l’opposizione D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35riesaminare integralmente la domanda presentata in via amministrativa e vagliare la sussistenza della reale situazione religiosa del ***** e la fondatezza del timore di persecuzione personale e diretta nel Paese di origine del richiedente. Quest’ultimo, di religione islamico-sciita, aveva riferito di aver abbandonato il ***** a fine 2011 in quanto minacciato di morte da parte dei cittadini del villaggio di ***** (islamico-sunniti).
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Rileva il ricorrente che la decisione del Tribunale è sostanzialmente fondata sulla circolare della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo del 2017, ma verificando con precisione detta circolare emergeva una situazione di estrema gravità, essendosi verificati ben sette attacchi terroristici. Ritiene di aver sufficientemente circostanziato la propria situazione di vulnerabilità, avendo il fondato timore di venire ucciso, e richiama la circolare n. 346 del 29-1-2014 del Ministero dell’Interno per il diritto di asilo, che impone “di sospendere i rimpatri verso la suddetta zona di Paese che interessa nella presente sede per tutti coloro che hanno ricevuto un diniego di protezione internazionale” (pag. 5 ricorso).
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione al riconoscimento della protezione sussidiaria. Rileva che nella regione del Punjab, da cui proviene, gli attacchi terroristici hanno determinato una situazione gravemente pregiudizievole e tale situazione costituisce minaccia grave alla sua vita e alla sua persona, avendo il ricorrente il ragionevole timore di essere ucciso.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4. Ribadisce l’errata valutazione da parte della Corte territoriale della situazione del *****, rimarcando i livelli di criminalità e la diffusa ed indiscriminata violenza esistenti nel Paese. Inoltre sottolinea il proprio radicamento nel territorio italiano, dove ha iniziato un percorso lavorativo, e l’integrazione derivatane.
5. In via preliminare, con riguardo alla questione, oggetto di gravame, del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre precisare che “La normativa introdotta con il di. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e delle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge. Tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato con la dicitura “casi speciali”, soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, comma 9, di detto decreto legge” (Cass. n. 4890/2019).
6. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sent. N. 8053/2014) hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 con v. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. Il ricorrente formula la doglianza facendo riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non più vigente e, nell’illustrazione del motivo, genericamente si duole del mancato riesame integrale della domanda inoltrata alla Commissione territoriale.
7. Gli altri tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono parimenti inammissibili.
7.1 Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). La giurisprudenza di questa Corte ha infine precisato che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. ord. N. 3681/2019).
7.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla situazione generale del ***** e principalmente della regione del Punjab, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto all’insicurezza del Paese e della zona di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata dal Tribunale. Il Tribunale ha rimarcato che il richiedente aveva dichiarato di aver lasciato il proprio Paese a fine 2011, come peraltro affermato anche in ricorso, e che, in mancanza di elementi maggiormente attendibili circa la riferita accusa di ferimento di un poliziotto, in ogni caso non sussisteva l’attualità e la concretezza del pericolo, considerato il lungo tempo trascorso dalla fuga dal Paese di origine. Inoltre il Tribunale, richiamando specifiche fonti di conoscenza (UNHCR e rapporti EASO), ha escluso che la zona di provenienza del ricorrente (Puniab) sia caratterizzata da violenza diffusa e indiscriminata o da conflitti armati. Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Per quanto si è detto la motivazione del decreto impugnato è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014citata e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.
7.3. In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, richiamato il principio di diritto di cui al paragrafo 5 circa l’inapplicabilità della disciplina entrata in vigore nelle more del presente giudizio, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente, nonchè la rilevanza di quanto addotto dal medesimo a supporto della sua integrazione nel territorio italiano. All’accertamento compiuto dal Tribunale viene inammissibilmente contrapposta una diversa e del tutto generica interpretazione delle risultanze di causa.
8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
9. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 29 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019