Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.17048 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27378/2016 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI NAVIGATORI 7 SC. L, presso lo studio dell’avvocato CARLO MARTINA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, *****, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 07/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/03/2019 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

FATTI DI CAUSA

1.- Nel 2016 C.R. agì in giudizio chiedendo che venisse accertato e dichiarato il grave pregiudizio subito, in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, durante la detenzione presso varie case circondariali. Chiese pertanto la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni non patrimoniali da inumana detenzione.

2. – Il Tribunale invitò il resistente a costituirsi in apposito termine disponendo l’acquisizione, dalle autorità penitenziarie, di informative attinenti allo “spazio della cella in cui il ricorrente è stato ristretto, da solo o unitamente ad altri, detratta l’area occupata dagli arredi” nonchè alle altre condizioni relative alla vivibilità dell’ambiente; con il medesimo provvedimento fissò poi un successivo termine per note autorizzate alle parti costituite, onde replicare alle reciproche osservazioni ed argomentare ai fini della decisione anche in ordine alle informative acquisende.

3. – Si costituì l’Amministrazione, eccependo la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni ex art. 2947 c.c., deducendo che la nuova normativa non avesse introdotto nell’ordinamento un nuovo illecito civile, poichè, già prima dell’attuale formula della L. n. 354 del 1975, art. 35-ter, la violazione del diritto ad una detenzione conforme all’art. 3 CEDU costituiva un danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 c.c..

4. – Il Tribunale rigettò la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero, eccetto per il periodo trascorso presso la casa circondariale di Campobasso, in relazione al quale ritenne comunque insussistente la violazione. In particolare, il Giudice riteneva che il rimedio ex art. 35-ter, fosse di natura risarcitoria, e non semplicemente indennitaria, come si evincerebbe dalla specifica terminologia usata dal legislatore nonchè dall’analisi sistematica (prevedendosi, secondo i principi generali in tema di responsabilità civile, che il risarcimento avvenga ove possibile in forma specifica e non per equivalente); che il D.L. n. 92 del 2014, abbia solo introdotto una specifica modalità processuale (la quale, in quanto lex specialis, verrebbe a sostituirsi all’ordinaria disciplina civilistica in tema di risarcimento del danno), e non creato una diversa azione; con l’ulteriore pregnante conseguenza che il diritto dovesse prescriversi nel termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c., decorrente dalla lesione, essendo possibile agire per il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2935 c.c., dal momento della percezione dell’evento dannoso. Il Tribunale riteneva inoltre, circa il periodo di detenzione presso la Casa Circondariale di *****, che, alla luce della relazione trasmessa dalla Direzione di detto Istituto, non potesse ritenersi che il ricorrente avesse subito un trattamento disumano e degradante nel periodo in cui aveva condiviso la cella con altri detenuti, atteso che aveva avuto a disposizione uno spazio pari o superiore al limite minimo considerato vitale dalle note pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e che il disagio di aver in parte usufruito di uno spazio inferiore a sette mq. risultava diminuito dall’aver potuto trascorrere cinque ore al giorno fuori della cella per varie attività. Il Giudice riteneva, infine, indimostrata la fondatezza delle altre doglianze circa le condizioni igieniche e di riscaldamento delle celle.

5. – Contro il decreto n. cron. 7300/2016, pronunciato dal Tribunale di Roma, pubblicato il 7 giugno 2016, propone ricorso, con tre motivi, C.R..

6. – Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo, il ricorrente deduce la nullità del procedimento per violazione dell’art. 737 c.p.c. e dell’art. 24Cost., in relazione all’art. 360, n. 4, denunciando la violazione del proprio diritto di difesa in ragione della omessa fissazione della comparizione personale delle parti.

Riconosce che, ai sensi dell’art. 737 c.p.c., la comparizione personale delle parti possa essere sostituita dalla concessione di termini per deduzioni scritte, purchè però la possibilità data alla parte di esprimere le sue difese sia effettiva. Lamenta, al contrario, che di fatto la sua memoria di replica non sia stata tenuta in alcun conto, perchè inviata tempestivamente in via telematica ma accettata dalla cancelleria solo dieci giorni dopo. Il ricorrente segnala inoltre che nel particolare giudizio ex art. 35-ter, difficilmente l’effettiva ricostruzione dei fatti possa fare a meno dell’interlocuzione con il ricorrente.

La censura è generica e poco centrata, complessivamente inammissibile.

In effetti, il ricorrente non lamenta che il procedimento seguito comprima in maniera contrastante con l’art. 24 Cost., il suo diritto di difesa. Lamenta molto genericamente che il procedimento seguito in concreto (assunzione di informazioni da parte del giudice adito e scambio di memorie finali, senza ammissione di prove, senza comparizione personale delle parti) sia stato poco satisfattivo.

Complessivamente, il rilievo è inammissibile, perchè non indica con chiarezza quali circostanze a suo favore avesse dedotto nella memoria che avrebbero potuto mutare il corso della decisione ove considerate, nè che esse fossero contrastanti con le informazioni assunte dal giudice, e quindi non indica in concreto quale pregiudizio abbia subito.

Inoltre, lamenta che la sua memoria per un problema informatico, pur spedita per tempo, sia pervenuta dopo la decisione e quindi non sia stata neppure esaminata, ma di ciò non dà alcuna prova, non richiama i messaggi di invio e ricezione, non precisa se e dove questi siano depositati.

2. – Con il secondo motivo, deduce l’omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, consistente nel non aver considerato, per calcolare la superficie effettivamente fruibile della stanza, la presenza di arredi fissi.

Il ricorrente deduce invero che, laddove applicata la decurtazione degli ingombri fissi effettivamente presenti (termosifoni, tavolo ancorato a terra per mangiare, sgabelli, almeno uno a testa, ancorati a terra e letto a castello), la superficie pro capite sarebbe stata inevitabilmente inferiore al minimo di vivibilità di tre metri quadri, conseguendone la violazione del precetto Europeo evidenziato dalla sentenza Torreggiani.

Il motivo, teso a segnalare una violazione di legge più che la presenza di un vizio della motivazione, è fondato. La sentenza impugnata contrasta con i principi di diritto già affermati da questa Corte (Cass. n. 4096 del 2016, ed anche Cass. n. 4561 del 2019) secondo i quali “In tema di risarcimento del danno della L. n. 354 del 1975, ex art. 35-ter, comma 3, lo Stato incorre nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti nei confronti di soggetti detenuti o internati, stabilito dall’art. 3 della CEDU, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU, quando, in una cella collettiva, il detenuto non possa disporre singolarmente di almeno 3 mq. di superficie, calcolati detraendo l’area destinata ai servizi igienici e agli armadi appoggiati, o infissi, stabilmente alle pareti o al suolo ed anche lo spazio occupato dai letti (sia a castello che singoli), che riducono lo spazio libero necessario per il movimento, senza che, invece, abbiano rilievo gli altri arredi facilmente amovibili, come sgabelli o tavolini”.

Quindi, il tribunale dovrà procedere ad un nuovo giudizio in fatto tenendo conto dei parametri sopra indicati, e tenendo in conto anche quanto dedotto dal controricorrente, ovvero l’eventuale esistenza di determinate caratteristiche delle strutture carcerarie ove il ricorrente ha trascorso periodi della sua vita atte a compensare, con la possibilità di fruirne ampiamente durante il giorno, l’angusto spazio a disposizione in cella (quali ampi spazi comuni, o palestre o altri luoghi di fruizione comune ove i detenuti potessero trascorrere parte della giornata, limitando in tal modo la permanenza nelle celle di ampiezza insufficiente e riducendo o elidendo il relativo pregiudizio).

3. – Con il terzo motivo, si deduce la violazione degli artt. 2935 e 2947 c.c., nonchè della L. n. 354 del 1975, art. 35-ter, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente lamenta che il suo diritto al risarcimento de danno per inumana detenzione sia stato in larga parte ritenuto prescritto dal Tribunale di Roma, che, riconducendolo alla responsabilità extracontrattuale, ha affermato che il termine fosse quinquennale e ne ha affermato la immediata decorrenza, a far data dai singoli periodi di detenzione.

Il motivo è fondato e va accolto, non avendo il giudice a quo fatto corretta applicazione dei principi di diritto da applicare alla fattispecie, espressi da Cass. S.U. 11018 del 2018 in tema di qualificazione della situazione giuridica soggettiva di cui è titolare il ricorrente, e della conseguente durata e decorrenza della prescrizione: “Il diritto ad una somma di denaro pari a otto Euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della CEDU, previsto dalla L. n. 354 del 1975, art. 35 ter, comma 3, come introdotto dal D.L. n. 92 del 2014, art. 1, conv. con modif. dalla L. n. 117 del 2014, si prescrive in dieci anni, trattandosi di un indennizzo che ha origine nella violazione di obblighi gravanti “ex lege” sull’amministrazione penitenziaria. Il termine di prescrizione decorre dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni, salvo che per coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del D.L. cit., rispetto ai quali, se non sono incorsi nelle decadenze previste dal D.L. n. 92 del 2014, art. 2, il termine comincia a decorrere solo da tale data”.

In accoglimento del secondo e terzo motivo, il decreto impugnato deve essere cassata, e la causa rimessa al Tribunale di Roma in persona di diverso magistrato, che si atterrà ai principi di diritto sopra indicati.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa e rinvia al Tribunale di Roma in persona di diverso magistrato, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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