LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7828/2017 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIAMBATTISTA VICO, 22, presso lo studio dell’avvocato MARIOLINA BERNARDINI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PRATI FISCALI, 221, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI ALESSANDRINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO GRIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5566/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato GIOVANNI BERNARDINI per delega;
udito l’Avvocato MAURIZIO GRIO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’INPS, rappresentato da Romeo Gestioni Spa, ricorre, affidandosi a cinque motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale con la quale era stata rigettata la domanda avanzata dalla società contro N.M. per ottenere l’accertamento dell’abusiva occupazione di un immobile facente parte del proprio patrimonio, la sua condanna al rilascio dell’appartamento ed il pagamento della indennità di occupazione e del risarcimento dei danni subiti.
1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il Tribunale, istruita la causa, aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva della Romeo Gestioni Spa; e la Corte territoriale ha confermato la sentenza dopo aver respinto la richiesta della società, avanzata, ex art. 345 c.p.c., per la produzione di documenti volti a dimostrare la legittimazione contestata, ritenendo che – dovendosi applicare la nuova formulazione della norma, ratione temporis vigente – non ricorresse l’unico presupposto residuato a seguito della modifica, e cioè “l’impossibilità per la parte di produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.
2. L’intimato ha resistito.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 88,182 cpv. e 345 c.p.c., e dell’art. 24 Cost.: assume, al riguardo, che la Corte d’Appello aveva errato nel ritenere inammissibili le produzioni documentali della parte attrice per violazione del divieto di “nova” in appello.
1.1.Contesta, in particolare, la statuizione secondo cui “il potere dovere del giudice di invitare la parte a sanare il difetto di rappresentanza doveva essere commisurato all’evoluzione del giudizio di primo grado” ed assume che il convenuto in primo grado non aveva mai contestato la legittimazione ad processum della Romeo Gestioni e che, comunque, e primo giudice che aveva espressamente affermato che “dovevano ritenersi conferiti alla Romeo Gestioni tutti i poteri per la tutela, anche giudiziale, dei diritti spettanti all’INPS” (cfr. pag. 14 del ricorso).
2. Con. il secondo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., e art. 24 Cost.: assume che la Romeo Gestioni, avuto riguardo anche alla data di formazione di alcuni dei documenti sub iudice con i quali era stato prorogato il contratto di affidamento della gestione del patrimonio stipulato originariamente nel 2002 avrebbe potuto provvedere alla produzione soltanto in data successiva alla instaurazione del giudizio.
Conseguentemente; essi rientravano fra quelli che non potevano essere prodotti prima e dovevano essere ammessi anche se tardivamente introdotti nel giudizio.
3. Con il terzo motivo, ancora, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 345 c.p.c., e art. 118 disp. att., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla indispensabilità dei documenti: assume che la Corte aveva omesso di motivare sulla ragione per la quale la documentazione non era stata ritenuta indispensabile ai fini della decisione e ne era stata esclusa l’ammissibilità.
4. Con il quarto motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 77,81e 345 c.p.c., nonchè dell’art. 24 Cost.: assume che le produzioni documentali volte a dimostrare la sussistenza dei poteri sui quali si fonda la legittimazione processuale non potevano incontrare il limite delle ordinarie preclusioni istruttorie, essendo finalizzati alla verifica della regolare costituzione del contraddittorio.
5. Con il quinto motivo, infine, l’istituto ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 77 e 81 c.p.p., e art. 182 c.p.p., comma 2, e dell’art. 24 Cost..
5.1. Critica, in particolare, l’interpretazione restrittiva dell’art. 182 c.p.c., concernente l’impossibilità di attivare il meccanismo della rimessione in termini, laddove la modifica della norma, intervenuta nel 2009, si era limitata a codificare quanto la giurisprudenza aveva già affermato in punto di verifica della legittimazione processuale come dovere del giudice che consentiva l’assegnazione di un termine volto a sanare la decadenza.
6. Il quarto ed il quinto motivo, intrinsecamente connessi, devono essere preliminarmente e congiuntamente esaminati in quanto costituiscono l’antecedente logico degli altri.
6.1. Essi sono entrambi fondati.
Le disposizioni che costituiscono il nucleo interpretativo della controversia rispetto alla questione processuale che ne ha impedito la decisione nel merito sono gli artt. 182 e 345 c.p.c., in quanto il Tribunale di Roma, dopo essersi espresso favorevolmente sui poteri di rappresentanza della parte attrice ed aver istruito la causa, ha rigettato la domanda per difetto di legittimazione attiva della Romeo Gestioni Spa; e la Corte territoriale ha confermato la sentenza, respingendo l’istanza avanzata ex art. 345 c.p.c., per la produzione di documenti volti a dimostrare la qualità contestata di rappresentante dell’INPS (in quanto affidataria dei servizi gestionali afferenti al patrimonio immobiliare dell’ente previdenziale), assumendo che si trattava di atti che la parte doveva e poteva produrre tempestivamente nel giudizio di primo grado.
6.2. Al riguardo, va precisato che l’art. 182 c.p.c. – finalizzato a garantire la regolare costituzione delle parti attraverso la previsione del dovere di verifica officiosa del giudice – è stato modificato dalla L. n. 69 del 2009, entrata in vigore dal 4.7.2009 per i giudizi instaurati successivamente a tale data: la versione precedente (ratione temporis applicabile al caso in esame, trattandosi di giudizio introdotto il 4.5.2009) disponeva che “quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, il giudice può assegnare alle parti un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, salvo che si sia avverata una decadenza” con evidente contrasto con la tassativa previsione del comma 1 della stessa disposizione che prevedeva (e prevede) che il giudice istruttore doveva verificare d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti ed, all’occorrenza, invitarle a completare ed a mettere in regola gli atti ed i documenti che riconosceva difettosi.
6.3. Sulla specifica questione (e sull’evidente contraddizione segnalata), questa Corte è intervenuta affermando che “l’art. 182 c.p.c., comma 2, (nel testo applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali.” (cfr Cass. SUU 9217/2010). 6.4. E’ stato, al riguardo, affermato che l’art. 182 c.p.c., comma 2, va certamente letto in combinazione con l’art. 75 c.p.c., comma 2, laddove prevede che “le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità”.
Proprio in ragione di un’interpretazione combinata delle due norme, il difetto di capacità processuale delle parti risulta sanabile; e non solo per intervento del giudice.
“Infatti, l’originaria previsione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, secondo la quale il giudice può assegnare alle parti un termine per la sanatoria dell’incapacità processuale rilevata, non può essere intesa come riconoscimento di una mera facoltà, svincolata da qualsiasi parametro normativo. Una tale interpretazione risulterebbe incompatibile con la stessa connotazione della giurisdizione quale sistema di giustizia legale, le cui decisioni sono legittimate esclusivamente dalla conformità a un ordine di norme e di valori precostituito. E tanto ha ribadito anche la Corte costituzionale, quando, nell’escludere l’illegittimità costituzionale dell’art. 182 c.p.c., comma 2, ha affermato che la facoltà di cui al capoverso dell’articolo denunziato, non si traduce in mero arbitrio bensì unicamente risponde all’esigenza di adeguare la ragione di equità alla varietà dei casi pratici tra l’altro, impedendo l’automatica sanatoria di casi in cui il, vizio della rappresentanza non appaia dipendente da errore scusabile, onde la sua regolarizzazione – ove, in ipotesi, ammessa – oltrechè pregiudicare l’interesse della parte contrapposta, finirebbe con il derogare al principio della ritualità del contraddittorio, oltre il limite in cui tale deroga appare consentita dalla concorrente esigenza di collaborazione tra il giudice e le parti” (Corte Cost. n. 179/1974). Tuttavia questo riferimento al criterio della scusabilità dell’errore è del tutto privo di fondamento normativo, posto che l’art. 182 c.p.c., prevede la sanabilità del difetto di costituzione indipendentemente dalle cause che l’abbiano determinato. La previsione che il giudice ha la “possibilità” di concedere un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio vale invece ad ammettere la sanatoria di una nullità, non ad attribuire al giudice un potere arbitrario. Essa ha dunque un duplice significato:
a) l’invalidità derivante dall’incapacità processuale della parte è sanabile, appunto perchè “può” essere sanata con “la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza” o con “il rilascio delle necessarie autorizzazioni”;
b) ma la sanatoria “deve” essere promossa dal giudice, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa. Quanto al limite delle decadenze già maturate, imposto dall’art. 182 c.p.c., comma 2, esso renderebbe la norma del tutto superflua, se fosse riferibile anche alle decadenze processuali, anzichè solo a quelle sostanziali, perchè non avrebbe ragione la concessione di un termine per il compimento di attività dalle quali la parte non sia ancora decaduta.
Si deve pertanto concludere nel senso che le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti; segnatamente con la regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui l’invalidità si riferisce. Mentre l’intervento del giudice inteso a promuovere la sanatoria è obbligatorio, va esercitato in qualsiasi fase o grado del giudizio, e ha efficacia ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali”. (cfr. Cass. SUU 9217/2010 in motivazione).
7. Pertanto, sulla scorta di tale autorevole interpretazione (seguita anche da Cass. 15156/2017; Cass. 26948/2017; Cass. 27481/2017), pienamente condivisa da questo Collegio, deve ritenersi che la preclusione alla produzione di nuovi documenti non valga per quelli utili a dimostrare la legittimazione processuale: essi infatti non soggiacciono ad alcun limite se non a quello di decadenza ove la produzione non segua al rilievo del giudice ed al termine conseguentemente concesso.
8. Risulta, dunque, non conferente, nel caso in esame, procedere all’analisi della portata applicativa dell’art. 345 c.p.c.novellato, postulata nel terzo motivo di ricorso, ed ai problemi posti dalla problematica formulazione della normativa transitoria contenuta nella L. n. 134 del 2012, art. 54, comma 2, per i giudizi d’appello introdotti dopo 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, che sembra non ricomprendere l’ipotesi b0) (riguardante la modifica dell’art. 345 c.p.c.) fra quelle espressamente disciplinate (cfr. Corte Cost. 155/1990 ed i divergenti orientamenti portati da una parte Cass. 2973/1996, Cass. 6099/2000, Cass. 3688/2011 e, dall’altra da Cass.10693/2016; Cass. 20522/2017; Cass. 6590/2017; Cass. 26654/2017; Cass. 20958/2018): la questione non ridonda sulla decisione dei motivi in esame che deve ritenersi presidiata soltanto dall’interpretazione dell’art. 182 c.p.c., sopra riportata.
9. Le altre censure rimangono logicamente assorbite.
10. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce del seguente principio di diritto: “la preclusione alla produzione di nuovi documenti prevista dall’art. 345 c.p.c., deve intendersi riferita soltanto a quelli che attengono al merito della domanda e non vale per quelli utili a dimostrare la legittimazione processuale che è governata dall’art. 182 c.p.c., secondo il quale le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti con la regolarizzazione della costituzione in giudizio di quella cui la carenza si riferisce.
In mancanza, l’intervento del giudice inteso a promuovere la sanatoria è obbligatorio, va esercitato in qualsiasi fase o grado del giudizio, e ha efficacia ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali che ricorrono soltanto ove la produzione non segua al rilievo officioso ed al termine conseguentemente concesso”.
11. La Corte di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019
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