Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.17063 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 24919 dell’anno 2017 proposto da:

G.G.L., (C.F.: *****), R.V. (C.F.: *****) rappresentati e difesi, giusta procura allegata al ricorso, dall’avvocato Giuseppe Risola (C.F.: RSLGPP69M10M986Q);

– ricorrenti –

nei confronti di:

S.M., (C.F.: *****), S.V. (C.F.:

SRDVTI64E13F027K), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocati Nicola Grippa (C.F.:

GRPNCL62A20F027G);

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Lecce –

Sezione distaccata di Taranto n. 316/2017, pubblicata in data 29 settembre 2017 (e che si assume notificata in data 2 ottobre 2017);

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 18 aprile 2019 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

All’esito di procedimento penale promosso nei confronti di S.V. e M. per i reati di usura, appropriazione indebita e falso in scrittura privata, gli imputati sono stati assolti dal G.U.P. del Tribunale di Taranto per insussistenza del fatto. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto, su gravame del pubblico ministero e delle parti civili ( R.V., G.G.L. e R.), ma la Corte di Cassazione (Sez. 2, Sentenza n. 5664 del 5/02/2013), su ricorso delle sole parti civili, ha annullato tale ultima sentenza, limitatamente alla contestazione di usura e falso in scrittura privata, rinviando al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell’art. 622 c.p.p..

La Corte di Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, all’esito del giudizio di rinvio, ha rigettato la domanda delle parti civili.

Ricorrono R.V. e G.G., sulla base di due motivi.

Resistono con controricorso S.V. e M..

I controricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., in vista della udienza pubblica del 18 aprile 2019.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’esposizione sommaria dei fatti di causa operata dai ricorrenti non risulta idonea a soddisfare il requisito di ammissibilità del ricorso previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto essa non consente di evincere le circostanze essenziali ai fini della comprensione dei fatti che hanno dato luogo al giudizio e ai fini della individuazione dell’esatto oggetto dello stesso (manca completamente, in particolare, l’esposizione degli specifici fatti illeciti posti in essere dai convenuti e l’indicazione dei danni che, in concreto, ne sarebbero derivati; nel ricorso si fa genericamente riferimento ai reati di usura e falso, ma non si chiarisce in alcun modo in cosa si sarebbero sostanziati i suddetti reati, quali le condotte in concreto poste in essere e quali i danni in concreto alle stesse conseguiti).

In questa situazione, la Corte non è posta in condizione di verificare in concreto – anche di ufficio – la regolare e completa instaurazione del contraddittorio, la sussistenza dell’interesse ad agire nonchè gli effettivi termini del merito della controversia (cfr. in proposito Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770-01; conf., tra le tante: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918-01; Sez. L, Sentenza n. 15808 del 12/06/2008, Rv. 603631-01; Sez. 6-3, Sentenza n. 21137 del 16/09/2013, Rv. 627682-01; Sez. 6-3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493-01). Il ricorso deve di conseguenza essere dichiarato inammissibile, per insufficiente esposizione dei fatti di causa, ai sensi del richiamato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Quanto sin qui osservato assorbe anche la questione (posta dai controricorrenti) dell’eventuale integrazione del contraddittorio nei confronti di G.R. (costituito parte civile nel giudizio penale e indicato quale parte contumace del giudizio di appello in sede civile), anche in considerazione del principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti (cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010, Rv. 612077 – 01; fra le tante altre: Sez. 3, Sentenza n. 690 del 18/01/2012, Rv. 620539-01; 25 gennaio 2012 n. 1032; ord. 8 novembre 2012 n. 19317), con la conseguenza che, in caso di ricorso per cassazione prima facie inammissibile o infondato (come è a dirsi nella specie, per quanto si è sin qui osservato), appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013, Rv. 626969-01; Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018, Rv. 648501-01; Sez. 2, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018, Rv. 648755-01).

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 9.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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