Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17082 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5714-2018 proposto da:

T.A., TE.LU., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MODESTO PANETTI 95, presso lo studio dell’avvocato FABIO ACAMPORA che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

D.G.G., D.G.R.A., F.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SILVESTRO II 21, presso lo studio dell’avvocato PAOLA TORTORA, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI ESPOSITO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1959/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/12/2018 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE SABATO.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza depositata il 05/05/2017 la corte d’appello di Napoli ha accolto l’appello principale proposto da F.E., D.G.R. e D.G.G., quali eredi di D.G.P., nei confronti di Te.Lu. e T.A., avverso la sentenza del tribunale di Napoli depositata il 21/6/2011. Per l’effetto, la corte territoriale, in accoglimento dell’originaria domanda di D.G.P., ha condannato gli appellati alla rimozione dell’ampliamento del loro edificio in *****, al piano terra, con nuovo corpo di scala, in quanto invasivo di area comune (pp. 9 e 10 della sentenza d’appello), nonchè alla rimozione del nuovo volume sul terrazzino comune preesistente (p. 11), con assorbimento della domanda relativa all’eliminazione di affaccio (p. 12) e rigetto di altre domande, nonchè con assorbimento dell’appello incidentale.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione T.A. e Te.Lu. su due motivi. Hanno resistito con controricorso F.E., D.G.R. e D.G.G..

3. Su proposta del relatore, il quale ha ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, nella quale il collegio ha come segue condiviso la medesima proposta del relatore.

CONSIDERATO

che:

1. In via preliminare, deve ritenersi rituale – diversamente da quanto eccepito nel controricorso – il conferimento di procura speciale da parte dei ricorrenti al difensore, benchè essa sia allegata materialmente al ricorso senza far riferimento a un giudizio per cassazione, ma riproducendo formule tipiche dei mandati per i procedimenti di merito. Invero, va sul punto data continuità alla giurisprudenza applicativa dell’art. 365 c.p.c. (v. Cass. n. 18468 del 01/09/2014) secondo la quale il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, speciale e non richiede alcuno specifico riferimento al processo in corso, sicchè è irrilevante la mancanza di un espresso richiamo al giudizio di legittimità ovvero che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al procedimento di merito.

2. In via parimenti preliminare, nonchè prioritaria rispetto all’altra eccezione dei controricorrenti in tema di carenza di autosufficienza del ricorso, appare necessario esaminare se il ricorso contenga motivi ammissibili ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.1. Il ricorso si presenta articolato su due motivi, il primo dei quali intestato “erronea interpretazione risultanze processuali infondatezza e contraddittorietà motivazione”, il secondo “errata e illogica condanna per spese di lite”.

2.2. Detti motivi, anche considerandoli nel loro contenuto, risultano formulati al di fuori dei parametri dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

2.3. In particolare, mentre il secondo concerne il governo delle spese, come si dirà in prosieguo, il primo mezzo congloba eterogenee critiche, prevalentemente di merito (cfr. infra).

2.4. Ciò posto, va premesso in diritto che il ricorso per cassazione, avendo a oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass., sez. U, n. 17931 del 24/07/2013).

2.5. Atteso dunque che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità, nonchè esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie previste, sicchè sono inammissibili critiche generica della sentenza impugnata.

2.6. Nel caso di specie, invece, pur dopo una ricerca all’interno del testo dei motivi tesa a rinvenire non necessariamente precise indicazioni delle categorie cui le censure fossero riferibili nel quadro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ma almeno dati sufficientemente univoci per risalire ad una delle categorie stesse, non risulta comunque possibile enucleare, per ciascun motivo, alcuna delle ipotesi tassativamente indicate. Ne deriva che trattasi di motivi di ricorso inammissibili.

2.7. Nè può valere a soddisfare i requisiti dei motivi di ricorso, nella forma necessitata di cui si è detto, la promiscua intitolazione “erronea interpretazione risultanze processuali – infondatezza e contraddittorietà motivazione” o quella di “errata e illogica condanna per spese di lite”. Trattasi infatti di una indistinta elencazione di vizi, non riconducibili con chiarezza – in particolare in ordine al primo motivo – ad alcuna specifica parte delle argomentazioni successivamente enunciate, noto essendo invece che l’esposizione cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa non è consentita in quanto mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse; essendo viceversa necessario che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, ammesse se prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. n. 19443 del 23/09/2011 e sez. U n. 9100 del 06/05/2015).

2.8. Quanto ancora in particolare al primo motivo, come sopra descritto, al di là dell’assenza di specifici riferimenti alle categorie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve rilevarsi quale che ne sia l’inquadramento – che con esso la parte ricorrente, in sostanza, sottopone alla corte di legittimità (attraverso considerazioni soprattutto circa la presunta inesistenza di invasione di aree comuni e comunque la presunta inesistenza di pregiudizi derivanti dalle opere) una inammissibile istanza di revisione di valutazioni di fatto, prevalentemente probatorie, rientranti nel sovrano apprezzamento del giudice del merito e non sindacabili in sede di legittimità neppure più per vizi di motivazione, dopo che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ha ridotto al minimo costituzionale dell'”omesso esame” il relativo controllo, neppure chiaramente invocato nel caso di specie.

2.9. In particolare, con il motivo si deduce:

– che non si sarebbe arrecato effettivo pregiudizio alle controparti, residenti altrove (p. 4);

– che non sarebbe precluso l’uso comune e che si tratterebbe di opere concretanti mero restauro conservativo, volto a migliorare l’abitabilità (P 5);

– che le opere sarebbero irrisorie e non lederebbero effettivamente l’altrui proprietà (p. 6);

– che l’invasione del cortile sarebbe di pochi centimetri, non incidendo sul passaggio ed essendo talune opere realizzate non su proprietà delle controparti (p. 7);

– che le modificazioni delle proprietà sarebbero tali da non ledere le altrui ragioni (p. 8);

– che la sporgenza aerea non poggerebbe sul cortile (p. 9).

Trattasi, dunque, di censure – peraltro ripetitive – di merito, inammissibili in cassazione e non qualificabili entro le categorie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, come sopra esplicato.

2.10. Quanto al secondo motivo, dalla lettura di esso si evince che esso si riduce a una contestazione della solo parziale compensazione operata dai giudici di merito. Anche tale censura è inammissibile, non deducendosi una violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ma sostenendosi una visione alternativa rispetto a quella discrezionalmente adottata dai giudici di merito nell’esercitare il potere di compensazione, peraltro in lite avviata nel 2002 e, quindi, nell’applicabilità del citato art. 92 nel testo ratione temporis vigente. Entro tale quadro, la sentenza impugnata ha comunque idoneamente e motivamente considerato l’esito della lite, che ha visto la quasi totale soccombenza degli allora appellati, a favore dei quali comunque sono state compensate le spese per 1/3, regolandosi il residuo secondo soccombenza (p. 14 della sentenza impugnata).

3. In definitiva il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione a favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.500 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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