LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7094-2018 proposto da:
B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA ROSATI, rappresentato e difeso dall’avvocato DAVIDE BORGI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PRATO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI, 40, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA CRESCI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLA TOGNINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2707/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/12/2018 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAE1,1 SABATO.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza depositata il 19/05/2011 il tribunale di Prato ha accolto le domande in rivendicazione proposte dal comune di Prato nei confronti di T.A., B.I. e A.L. ordinando la consegna di unità immobiliari da essi occupate in un edificio in *****, di proprietà comunale; ha rigettato la domanda nei confronti di Pasquale B., accogliendo la domanda riconvenzionale dallo stesso proposta di accertamento dell’acquisto della proprietà per usucapione ultraventennale.
2. Su appello principale del comune di Prato con sentenza depositata il 30/11/2017 la corte d’appello di Firenze ha, in riforma della predetta sentenza del tribunale, condannato anche B.P. alla restituzione della porzione immobiliare da lui occupata, con rigetto dell’appello incidentale proposto da A.L..
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.P. nei confronti del comune di Prato, articolando un unico motivo. Ha resistito con controricorso il comune di Prato.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce quanto in appresso: “violazione o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (sic) per violazione o falsa applicazione di norma di diritto (sic) nonchè dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ed in particolare per la falsa applicazione delle norme che regolano le deduzioni del comune di Prato a questi (sic) sfavorevoli nonchè l’efficacia probatoria di un atto pubblico raffrontato alla prova testimoniale e l’omessa valutazione sia delle deduzioni del comune di Prato a questo sfavorevoli che dell’efficacia probatoria di un atto pubblico raffrontato a prova testimoniale, e quindi al combinato disposto dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 2730, 2733, 2735 e 2700 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.”.
2. Il motivo è inammissibile.
3. Da un primo punto di vista, esso cumula doglianze eterogenee, non agevolmente distinguibili, noto essendo invece che è possibile il cumulo di mezzi di ricorso per cassazione entro un’unica censura solo se la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, ammesse se prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. n. 19443 del 23/09/2011 e sez. U n. 9100 del 06/05/2015).
4. Da un secondo punto di vista, il mezzo si risolve in un’istanza di riesame delle risultanze istruttorie già valutate dai giudici di merito.
5. Appare poi opportuno soffermarsi sulla deduzione – contenuta nel motivo di ricorso – per cui, diversamente da quanto ritenuto dalla corte fiorentina, che ha escluso l’usucapione affermando essere emersa la prova della detenzione dell’immobile su concessione del comune a favore del B., sussisterebbe un’asserita “confessione” o “non contestazione” del comune in merito alla qualifica di B.P. come occupante senza titolo, ciò che escluderebbe la detenzione.
5.1. Tale deduzione – che potrebbe afferire a una denuncia di omesso esame di un fatto storico, costituito da un dato istruttorio, art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5 – è inammissibile. Il dato probatorio costituito dalla “confessione” o “non contestazione”, invero, sarebbe comunque afferente a un fatto storico valutato (quello dell’occupazione dell’immobile da parte del signor B., con la relativa qualificazione giuridica), pur senza specifici riferimenti alle risultanze istruttorie di cui sarebbe omesso l’esame. In tal senso, si richiama che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie o deduzioni difensive (Cass. sez. un., n. 8053 del 07/04/2014; v. recentemente, poi, tra le molte, n. 14802 del 14/06/2017 e n. 27415 del 29/10/2018).
5.2. Il dato trascurato, comunque, non appare decisivo, diversamente da quanto richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a fronte dell’avvenuto accertamento circa il titolo di detenzione svolto dai giudici di merito su altre basi (i testi avrebbero dichiarato che il signor B. avrebbe ottenuto l’immobile dal comune quale persona bisognosa – p. 6 della sentenza impugnata), in sè non oggetto di censura.
5.3. Infine, deve rilevarsi come – a rigore – non può considerarsi fatto storico, ai fini della cennata norma, quello dell’occupazione “abusiva” di un immobile (quale qualificazione contraria a quella di occupazione in base a titolo di concessione da parte del comune), trattandosi semmai di una configurazione giuridica del medesimo fatto; in quanto tale, resta esentata questa corte da più approfondita disamina in ordine al se qualificazioni del genere possano formare oggetto di “non contestazione” o “confessione”, concernenti fatti storici in senso proprio.
6. In definitiva il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
PQM
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 2.000 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 4 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019
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