Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17172 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16460/2018 proposto da:

S.N., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Odovilio Lombardo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 423/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del 12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/04/2019 dal Cons. Dott. TRIA LUCIA.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 12 febbraio 2018, rigetta l’appello del cittadino del Gambia S.N. avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna di rigetto dell’opposizione dell’interessato avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la sua domanda di protezione internazionale escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che:

a) a sostegno della domanda di protezione internazionale S.N. ha riferito di essersi reso responsabile di incesto con la propria sorellastra, condotta considerata dalla religione islamica un peccato gravissimo punibile con la morte e, comunque, ritenuta reato dalla legge del Gambia, sicchè sussisterebbe il rischio di essere ucciso o di essere detenuto in condizioni inumane attesa la situazione generale del Paese d’origine, caratterizzata da mancanza di libertà e sistematica violazione dei diritti umani;

b) il Tribunale ha ritenuto che il racconto offerto dal ricorrente alla Commissione territoriale e poi in sede giudiziaria mancava di plausibilità e coerenza, relativamente all’intenzione del padre di uccidere il richiedente, alla fuga del fratello, alle sanzioni penali previste dalla legge del Gambia per l’incesto commesso con persona adulta;

c) inoltre per il primo Giudice, anche a voler ipotizzare la veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i fatti da lui narrati non integrano comunque gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato e neppure per la concessione della protezione sussidiaria, non essendo l’accertata situazione del Gambia caratterizzata da uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato con conseguente rischio effettivo per la popolazione civile;

d) che, infine, il Tribunale ha escluso la sussistenza anche dei presupposti per la protezione umanitaria in quanto tale misura adottata in passato in favore di tutte le persone provenienti dalla Libia non poteva più essere accordata per ragioni temporali;

e) l’appello è infondato in quanto come già ritenuto dalla Commissione territoriale e dal Tribunale il racconto del richiedente è poco credibile;

f) non è stata fornita alcuna spiegazione e delucidazione in ordine alla posizione del fratello minore, intrinsecamente contraddittoria ed ambigua per come riferita dall’interessato (in termini non coincidenti, rispettivamente, in sede amministrativa e in sede giudiziaria);

g) in ogni caso, la vicenda narrata da S.N. anche se ritenuta verosimile non integra nessuna fattispecie di protezione internazionale nè il rifugio nè la protezione sussidiaria tanto più che il nuovo Presidente e i nuovi Ministri del Gambia hanno espresso la volontà di creare nuovi centri di detenzione che soddisfino gli standard internazionali;

h) inoltre il Gambia non è più una repubblica islamica ma è uno stato laico e tutte gli indicati elementi portano ad escludere sia una situazione di violenza indiscriminata sia l’attualità di un rischio per il ricorrente in caso di rientro in patria;

i) neppure è sussistente una situazione di individuale e temporanea di vulnerabilità che possa portare al riconoscimento della protezione umanitaria;

I) non sussistono i presupposti per la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

3. il ricorso di S.N. domanda la cassazione della suddetta sentenza per due motivi; il Ministero dell’Interno non svolge attività difensiva in questa sede.

CONSIDERATO

che:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in due motivi;

2. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di legge in quanto la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante ai fini della concessione della protezione umanitaria la sussistenza di una situazione personale di vulnerabilità seppur temporanea causata dal pericolo di rimpatrio di fronte ad emergenze umanitarie, anche di carattere socio-economico;

2.1. nel caso di specie a fronte delle condizioni individuali e soggettive di vulnerabilità del richiedente che riguardano la possibile perdita di garanzie costituzionali relative a diritti umani come il diritto al soggiorno e altri diritti da esso derivati di rilevanza costituzionale sostanzialmente la Corte d’appello non ha concesso la protezione umanitaria interpretando male la situazione di vulnerabilità di S., che pur emergeva dai fatti riferiti dal ricorrente, senza dare rilievo alla situazione di pericolo nella quale si è trovato, ma ritenendo irrilevante dal punto di vista costituzionale e quindi non meritevole di protezione una situazione nella quale in caso di rimpatrio l’interessato corre un grave pericolo per la propria incolumità o per malattia o tutela dell’unità familiare o perchè discriminato o perchè comunque per qualsiasi situazione anche personale rischia di vedere compromessi i diritti fondamentali della persona umana;

3. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo rappresentato dalla situazione creatasi in Gambia e quindi l’omessa considerazione della situazione di vulnerabilità evincibile dalle dichiarazioni del ricorrente che verrebbe ad acuirsi nel caso di immediato rimpatrio, con difficoltà di sopravvivenza, dovuta al fatto non contestabile che si troverebbe senza lavoro e senza mezzi di sussistenza;

Esame dei motivi.

4. l’esame dei motivi di censura porta al rigetto del primo motivo e alla dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo;

5. il primo motivo è infondato in quanto con esso si sostiene che – diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello – il ricorrente avrebbe pieno diritto ad ottenere almeno la protezione umanitaria perchè tale forma di protezione sarebbe costituzionalmente riconosciuta per la tutela della vulnerabilità economica o personale degli immigrati per qualsiasi causa, onde garantire la sopravvivenza dell’individuo sia per motivi economici sia per la propria incolumità o per malattia o a tutela dell’unità familiare o perchè discriminato;

5.1. tuttavia, da un lato, non si contestano efficacemente – e nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – le argomentazioni della Corte territoriale poste a base del rigetto della protezione umanitaria e della conseguente esclusione di una condizione di vulnerabilità per motivi personali o di salute e anche con riguardo alla situazione tranquilla della città di origine, nè si dimostra che tali argomentazioni non trovino riscontro nelle allegazioni del ricorrente al riguardo e neppure si sostiene che al medesimo fine siano stati allegati elementi di integrazione sociale;

5.2. dall’altro lato, non si considera che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – oggi regolato dalla nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 113 del 2018 – al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, presuppone una specifica valutazione della situazione soggettiva ed oggettiva con riguardo al livello di integrazione raggiunto nel Paese di accoglienza in rapporto al livello di privazione nella tutela dei diritti umani che potrebbe subire in caso di rimpatrio;

5.3. perchè il giudice possa procedere ad una simile verifica, eventualmente anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi, è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei allo scopo riferiti specificamente alla singola fattispecie concreta;

5.4. nella specie dalla sentenza impugnata non risulta che ciò sia avvenuto e certamente le generiche affermazioni contenute nel ricorso, a proposito della “tutela della vulnerabilità economica o personale degli immigrati per qualsiasi causa”, risultano del tutto inadeguate ai suddetti fini;

6. il secondo motivo va, invece, dichiarato inammissibile perchè in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;

Conclusioni.

7. in sintesi il primo motivo di ricorso non è fondato e il secondo è inammissibile, sicchè il ricorso va nel complesso rigettato;

8. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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