LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13749/2018 proposto da:
G.B., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Briganti Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, del 27/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/03/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso tempestivamente depositato G.B., cittadino del Gambia, impugnava dinanzi il Tribunale di Ancona il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, di quella sussidiaria e di quella umanitaria.
Il ricorrente riferiva che a seguito della mancata osservanza dell’intimazione governativa a lasciare il ristorante di famiglia entro il termine prescritto, alcuni militari si erano recati presso il suddetto esercizio al fine di eseguire lo sgombero.
A scopo verosimilmente intimidatorio, uno dei militari colpiva con un bastone un amico del sig. G. il quale, allo scopo di difenderlo, era intervenuto colpendo a sua volta il militare al collo, dandosi poi immediatamente alla fuga per paura di esser arrestato o malmenato.
Il ricorrente trovava riparo nelle vicine colline e veniva in seguito avvisato dalla madre della propria fidanzata della circostanza della sopraggiunta morte del soldato; quindi temendo di subire ritorsioni nonchè di essere ingiustamente imprigionato, aveva abbandonato il proprio paese.
Il Tribunale di Ancona, con decreto n. 4223/2018 rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ed umanitaria, ritenendo non sussistenti i presupposti per la concessione di dette forme di protezione.
Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, G.B..
Il Ministero dell’Interno non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1 e art. 13 e degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè art. 111 Cost., comma 6, per avere il Tribunale omesso di motivare le ragioni del proprio diniego.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale ritenuto irrilevanti i fatti posti a fondamento della pretesa richiesta dal ricorrente, senza specificatamente motivare i rischi che il ricorrente avrebbe potuto subire in seguito ad un processo e ad una condanna ingiusti.
Con il terzo motivo di ricorso la parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 13, 27 e 32 e art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32 nonchè D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7 e 14 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il Tribunale, nel ritenere inattendibile e contraddittorio il racconto del ricorrente, aveva omesso di esercitare il dovere di cooperazione istruttoria.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per avere il Tribunale ritenuto insussistenti i presupposti per la concessione della protezione umanitaria.
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 Convenzione EDU, art. 47Carta dei Diritti fondamentali dell’UE e art. 46 direttiva 2013/32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il Tribunale rispettato il principio di cooperazione istruttoria.
I motivi, che, per la stretta connessione vanno unitariamente esaminati, sono infondati.
Non è ravvisabile la nullità del provvedimento per motivazione apparente, posto che il Tribunale ha espresso, seppure in modo conciso, le ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento di ogni forma di protezione. In particolare, il Tribunale ha giudicato il racconto del ricorrente inattendibile, poco credibile, confuso e privo di una logica unitaria ed ha escluso che le vicende narrate fossero idonee ad integrare una persecuzione rilevante ai fini del riconoscimento della protezione internazionale e valutando nel merito la vicenda narrata ha in ogni caso ritenuto che la stessa esulasse dall’ambito di applicazione del riconoscimento della protezione internazionale in quanto il racconto del ricorrente aveva ad oggetto vicende di vita privata.
Tale statuizione è conforme a diritto.
In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).
Del pari infondata la dedotta violazione del dovere di cooperazione istruttoria.
Secondo l’indirizzo espresso da questa Corte, in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, oltre a sancire un onere del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pone a carico dell’autorità decidente un più incisivo dovere di cooperazione istruttoria a carico dell’ufficio di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti.
Ciò posto, l’attivazione del suddetto potere di cooperazione istruttoria, che in questa materia deroga al principio dispositivo del processo civile, postula che ricorrano i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, ed in particolare che il ricorrente abbia circostanziato la domanda, abbia fornito un’idonea motivazione della mancanza di altri elementi significativi, ed appaia attendibile dai riscontri effettuati.
Nel caso di specie il Tribunale ha escluso che siffatti presupposti sussistessero, ritenendo pertanto che non fosse necessaria l’attivazione del potere d’indagine suppletiva d’ufficio, non avendo il ricorrente giustificato in alcun modo la mancanza di documenti e non avendo fornito alcun elemento di supporto alla propria narrazione, nonostante l’allontanamento dal proprio paese fosse stato programmato e non frutto di circostanze imprevedibili o improvvise.
Il ricorso va dunque respinto e considerato che il Ministero non ha svolto attività difensiva non deve provvedersi sulle spese del giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019
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