Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17306 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13746/2018 proposto da:

T.A., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato P.P.C., giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, del 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Cagliari, con decreto depositato il 19 marzo 2018, ha rigettato la domanda di T.A., cittadino del *****, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente della protezione sussidiaria in ragione dell’insussistenza del pericolo di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, atteso che nell’area di provenienza del ricorrente (*****), posta nel sud del *****, non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale del ricorrente.

Ha proposto ricorso per cassazione T.A. affidandolo a due motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett c).

Lamenta il ricorrente che l’erroneità della valutazione del giudice di primo grado in ordine alla situazione socio politica esistente in *****, caratterizzata, secondo il rapporto COI più recente, da insicurezza diffusa, con conseguente sussistenza del pericolo di “danno grave” in caso di rimpatrio nel paese d’origine.

2. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale di Cagliari ha accertato in fatto – attingendo le informazioni da fonti internazionali aggiornate – l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel *****, regione di provenienza del ricorrente posta a sud nel *****, la quale, a differenza delle regioni del centro e del nord, non è stata caratterizzata nel 2016 da incidenti e vittime, mentre nel 2017 si sono verificati solo tre episodici scontri tra poche unità di presunti terroristi ed alcuni militari maliani, che non hanno coinvolto la popolazione civile.

Non vi è dubbio che le censure con le quali il ricorrente lamenta l’erroneità della valutazione della situazione socio politica si configurino come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito (sez. 1 12/12/2018 n. 32064).

Peraltro, nemmeno le fonti che cita il T. nel suo ricorso – che neppure allega di aver preventivamente sottoposto all’esame del Tribunale – descrivono una situazione di violenza indiscriminata ma solo di insicurezza diffusa.

In proposito, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 per non aver riconosciuto la condizione di vulnerabilità tale da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenzia il ricorrente le gravi sofferenze subite dal medesimo per giungere in Italia ed il periodo trascorso in *****, ove è stato sequestrato due volte, nonchè il significativo percorso di integrazione sociale intrapreso nel nostro paese (avendo collaborato attivamente nelle occasioni di reinserimento allo stesso offerte dalle associazioni di volontariato) che lo rendono meritevole della protezione per motivi umanitari.

4. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, nell’ambito del ricorso deciso all’udienza del 23 gennaio 2019 ed iscritto al n. R.G. 19651/2018 (Bandia Aliou c. Ministero dell’Interno) ha già elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Ne consegue che questo Collegio, condividendo il principio di diritto sopra riportato, provvederà anche all’esame di questa domanda.

Orbene, si condivide il giudizio del Tribunale di non meritevolezza da parte del ricorrente del permesso umanitario, avendo, in primo luogo, costui dedotto una situazione di sofferenza personale dallo stesso vissuta, che non riguarda, tuttavia, lo Stato e la regione di provenienza, ma un paese di transito, quale la *****, e che non può essere quindi valorizzata nella valutazione per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo, peraltro, il ricorrente neppure evidenziato quale connessione vi sia tra il transito in ***** ed il contenuto della domanda (Cass. 2681/2018).

Inoltre, è stato evidenziato dal ricorrente il proprio livello di integrazione nel paese d’accoglienza, elemento che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma che non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Il ricorrente, invece, nel proprio ricorso, neppure si è soffermato sulla propria condizione personale nel paese d’origine, situazione dalla quale si deve necessariamente partire nella valutazione della vulnerabilità (vedi sempre la motivazione della sentenza sopra citata).

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2600 oltre S.P.A.D., oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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