LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19268/2018 proposto da:
T.A., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Tassinari Rosaria, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, del 14/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/03/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bologna, con decreto depositato il 14 maggio 2018, ha rigettato la domanda di T.A., cittadino del Togo, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo state le sue dichiarazioni ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere fuggito dal Togo per il timore di essere arrestato per l’aiuto dal medesimo prestato agli oppositori del partito al potere e per l’attività dallo stesso posta in essere per impedire “l’infibulazione femminile”, pratica molto diffusa in questo paese africano).
Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il Tribunale di Bologna ha evidenziato l’insussistenza del rischio del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, non essendovi pericolo per la sicurezza della popolazione civile nella sua regione di provenienza.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata comprovata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione T.A. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna applicato il principio dell’onere della prova attenuato e per non aver valutato la credibilità del ricorrente alla luce dei parametri stabiliti dall’art. 3, comma 5 Legge cit..
Lamenta il ricorrente che il suo racconto è lineare, privo di contraddizioni e non affatto generico, essendo stati anzi allegati e dedotti specifici elementi da cui desumere la fondatezza del paventato timore di essere ucciso.
Considerato il tempo trascorso e i traumi dallo stesso subiti, è del tutto plausibile che il suo ricorso possa presentare delle lacune, ma la mancanza di riscontri non equivale all’insussistenza dei fatti narrati.
2. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).
Nel caso di specie, il Tribunale di Bologna ha valutato le dichiarazioni del ricorrente proprio sotto il profilo della plausibilità e la coerenza, evidenziando con ricchezza di particolari i punti nei quali nei quali il narrato del richiedente era privo di tali necessari requisiti.
D’altra parte, il ricorrente ha censurato in modo generico le obiezioni svolte dal giudice di primo grado al suo racconto senza confrontarsi minimamente con le articolate argomentazioni del decreto impugnato con le quali è stata evidenziata l’estrema genericità, l’incoerenza e la contraddittorietà del suo narrato.
Inoltre, il ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione da parte del Tribunale di Bologna di una norma di legge, ovvero del citato art. 3 comma 5 Legge cit. ha, in realtà, svolto – peraltro in modo assai generico – delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.
In proposito, questa Corte, sempre nella pronuncia n. 3340 del 05/02/2019 sopra citata, ha statuito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Bologna non ha erroneamente riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla sua vita derivante da una situazione di violenza indiscriminata.
Evidenzia l’estrema pericolosità della situazione in Togo – come attestata dal rapporti di Amnesty International del 2016 – caratterizzata da fenomeni di matrice terroristica e da disordini e scontri con le forze di sicurezza, oltre che da trattamenti inumani e degradanti (come la tortura) applicati nelle carceri.
4. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790), ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (sez 1 12/12/2018 n. 32064).
Nel caso di specie, il Tribunale ha accertato – mediante il ricorso a diverse fonti internazionali aggiornate – l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Togo e non vi è dubbio che le censure del ricorrente sul punto si configurino come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.
Peraltro, nemmeno le fonti citate dal ricorrente – peraltro meno aggiornate di quelle riportate dal Tribunale di Bologna, che ha fatto riferimento al rapporto di Amnesty International del 2017 – descrivono una situazione di violenza indiscriminata nel paese africano, bensì, al limite, di mera insicurezza per effetto del rischio del verificarsi disordini in occasione di manifestazioni o di episodi di microcriminalità.
Infine, quanto ai trattamenti inumani e degradanti, il ricorso, verosimilmente per un refuso, fa riferimento alla tortura come pratica diffusa in Bangladesh, paese diverso da quello di provenienza del ricorrente.
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver compiutamente esaminato i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.
Evidenzia il ricorrente che il Tribunale di Bologna, dato il quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata nel Togo, pur non ritenendo credibili le sue dichiarazioni, avrebbe dovuto quantomeno riconoscere la situazione di vulnerabilità.
Rileva, altresì, di aver intrapreso un concreto percorso di integrazione nel nostro paese attraverso il suo lavoro di volontariato e l’impegno nello studio della lingua italiana.
6. Il motivo è infondato.
Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, nell’ambito del ricorso deciso all’udienza del 23 gennaio 2019 ed iscritto al n. R.G. 19651/2018 (Bandia Aliou c. Ministero dell’Interno) ha già elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.
Ne consegue che questo Collegio, condividendo il principio di diritto sopra riportato, provvederà anche all’esame di questa domanda.
Orbene, correttamente il Tribunale ha negato al ricorrente il permesso umanitario.
Ad avviso del ricorrente, il giudice di merito, in relazione alla situazione di violenza diffusa ed indiscriminata nel Togo, pur in mancanza del riconoscimento di credibilità delle sue dichiarazioni, avrebbe dovuto quantomeno riconoscere la situazione di vulnerabilità per il riconoscimento della protezione umanitaria.
Questo Collegio non condivide affatto tale impostazione.
A prescindere dal fatto che, come sopra evidenziato, il giudice di merito ha in modo articolato escluso la sussistenza di una situazione di compromissione dei diritti umani in Togo, la ritenuta inattendibilità e non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, e, più in generale, la condizione soggettiva del richiedente, assume un notevole rilievo ai fini della valutazione della situazione di vulnerabilità.
Questa Corte ha già affermato che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, si deve partire sì dalla situazione oggettiva del paese d’origine, ma necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).
Nè può rilevare in via esclusiva il livello di integrazione raggiunto dall’odierno nel paese d’accoglienza, elemento che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere considerato solo in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).
Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019