LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21560/2018 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Casale Strozzi n. 31, presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura, rappresentato e difeso dall’avvocato Tartini Francesco, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, del 29/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/03/2019 dal Cons. Dott. AMATORE ROBERTO.
RILEVATO
che:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Ancona – decidendo sulla domanda avanzata da M.R. di riconoscimento dello status di rifugiato e, in via gradata, di protezione sussidiaria ed umanitaria, dopo il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale di Ancona ha confermato quest’ultimo provvedimento, rigettando la domanda di tutela avanzata dal ricorrente.
Il tribunale ha ritenuto che, anche a voler ritenere credibili le dichiarazioni rese dal richiedente asilo, la vicenda posta alla base della decisione di espatriare dal paese di provenienza, e cioè il Bangladesh, doveva ritenersi ascrivibile ad un episodio di violenza privata, non riconducibile ad una persecuzione personale da soggetto statale e come tale non legittimante la domanda di protezione internazionale (il ricorrente aveva, invero, raccontato di aver subito, quale commerciante di materiale edile, ripetute richieste estorsive da esponenti del partito attualmente al potere, A.L.).
Il giudice del merito ha altresì valutato la situazione socio-politica del predetto paese, osservando che si tratta di paese non segnato da instabilità politica ove gli unici rischi sono quelli legati alla possibilità di attentati terroristici e che, peraltro, gli episodi di repressione violenta dello Stato si sono rivolti nei confronti del partito islamista, cui non appartiene il richiedente. Il tribunale ha, infine, evidenziato che possibili iniziative di repressione del dissenso hanno riguardato solo i vertici politici del ***** (*****) e che anche il sistema giudiziario, nonostante il pericolo di influenze dell’esecutivo, deve ritenersi efficiente e in grado di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini; ha, inoltre, ritenuto non riconoscibile la reclamata protezione umanitaria, stante la mancanza di una condizione di particolare vulnerabilità da ascriversi al ricorrente.
2. Il decreto, pubblicato il 29.5.2018, è stato impugnato da M.R.
con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio – si duole della mancata considerazione del fatto che la violenza estorsiva subita dal richiedente proveniva in realtà da militanti del partito al potere che, pertanto, avevano garantita la impunità giudiziaria. Si evidenzia che ricorreva, comunque, l’ipotesi di protezione sussidiaria disciplinata dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), inquadrandosi la vicenda del ricorrente nella fattispecie del “danno grave”, causato da “trattamento inumano e degradante”. Si osserva che lo stesso provvedimento impugnato aveva evidenziato criticità del sistema giudiziario legate a possibili influenze dell’esecutivo sulla magistratura, così evidenziandosi il pericolo di impunità per gli autori dei crimini commessi in danno del richiedente.
2. Con un secondo motivo si articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla decisione riguardante la richiesta protezione umanitaria. Osserva il ricorrente che, a differenza di quanto ritenuto dal tribunale ricorso, il Bangladesh offre un quadro allarmante sotto il profilo del mancato rispetto dei diritti fondamentali e della generale insicurezza in cui vive la popolazione.
3. Con un terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria in riferimento alla mancata considerazione dell’esperienza vissuta in Libia.
4. In via pregiudiziale, la parte ricorrente solleva, inoltre, questione di legittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g, in relazione alla introduzione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, che esclude la reclamabilità in appello del decreto di definizione del giudizio in primo grado sulla domanda di protezione internazionale, per violazione, da un lato, del principio di ragionevolezza e dell’art. 14 CEDU e dell’art. 21Carta di Nizza e degli artt. 3 e 117 Cost. e, dall’altro, dell’art. 77 Cost..
5. Vanno esaminate per prime le questioni pregiudiziali di legittimità costituzionali.
Esse sono da ritenersi manifestamente infondate sulla base delle affermazioni già contenute nella giurisprudenza di questa Corte che qui si richiamano e riaffermano.
Sul punto è utile ricordare che è stata recentemente ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27700 del 30/10/2018).
In ordine al secondo parametro di costituzionalità asseritamente violato, è stato del pari affermato sempre da questa Corte che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018).
6. Nel merito il ricorso è invece infondato e va pertanto rigettato.
6.1.2 I primi due motivi di doglianza (che possono essere esaminati congiuntamente, stante la identità di questioni prospettate), sono, in parte, inammissibili e, in altra parte, infondati, perchè richiedono una rivalutazione del merito della decisione in ordine al profilo della sussistenza dei presupposti applicativi della reclamata protezione sussidiaria ed umanitaria, a fronte di una motivazione che ha, con adeguato argomentazioni, escluso in radice che la vicenda personale riferita dal richiedente (tentativo di estorsione) potesse configurare un’ipotesi di persecuzione personale ovvero integrasse il pericolo di un danno grave alla persona per un trattamento degradante o inumano. Nè ricorre – ha osservato ancora il tribunale – una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente tale da legittimare la richiesta di protezione umanitaria. Va aggiunto, in relazione a quest’ultimo profilo di tutela, che il Tribunale aveva altresì escluso un radicamento del richiedente nel territorio nazionale, essendo il contratto di lavoro scaduto, e che inoltre l’istante aveva addirittura fornito alla polizia false generalità. Non può neanche essere sottovalutato che, operando quella valutazione comparativa tra la situazioni del paese di provenienza e quello di accoglienza (come prescritto, ora, dalla giurisprudenza di questa Corte: Cass. n. 4455/2018), non può certo affermarsi che nel paese di origine del ricorrente si assista alla violazione dei diritti umani.
Orbene, la parte ricorrente richiede ora alla Corte di legittimità una rilettura della documentazione scrutinata dai giudici del merito in ordine alla valutazione della condizione socio-politica del paese di provenienza del richiedente, rilettura che esula dalla cognizione di questa Corte. E ciò a fortiori nel caso di specie ove il tribunale ha ritenuto preliminarmente di non poter ricondurre, comunque, la vicenda personale del richiedente nell’alveo della richiesta protezione internazionale ed umanitaria.
D’altra parte, la censura proposta dal ricorrente difetta anche di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto le allegazioni circa la matrice politica dei “taglieggiamenti”, che avrebbe sottoposto al giudice di merito.
6.3 Il terzo motivo è infondato.
Sul punto oggetto di censura è necessario richiamare, anche in tal caso, gli insegnamenti già espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass.Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6-1, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6-1, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018). Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Nessuna statuizione è dovuta sulle spese del giudizio di legittimità stante la mancata costituzione dell’amministrazione intimata.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019