LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4995/2018 proposto da:
G.S., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Fraternale Antonio, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1671/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, dell’08/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/04/2019 dal Cons. Dott. PAOLA GHINOY.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Ancona confermava l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta da G.S., nato in *****, volta ad il riconoscimento della protezione internazionale.
2. La Corte argomentava che il richiedente aveva riferito di essere nato nel distretto di *****, regione di *****, dove aveva vissuto fino a quando non era partito per la Libia. Aveva aggiunto di essere di religione musulmana e di avere lasciato il paese di origine in quanto, a seguito di un incidente stradale in cui era deceduto il figlio del capo villaggio, legato a gruppi talebani, questi aveva fatto giustiziare due dei suoi fratelli ed egli stesso era in pericolo in quanto lo stava cercando per ucciderlo.
3. Condivideva la valutazione della Commissione territoriale in ordine all’inverosimiglianza del racconto, per l’assenza di gruppi talebani nella zona di provenienza del ricorrente, situata nell’est del Pakistan, nonchè per il rilievo che il riferimento al fatto che i due fratelli erano stati uccisi fosse contenuto nella memoria allegata al modello C3.
4. Riteneva quindi non sussistere i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e neppure di quelli richiesti per la concessione della protezione sussidiaria, considerata la scarsa credibilità delle dichiarazioni del ricorrente. Inoltre, andava esclusa anche l’esistenza di una situazione riconducibile alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in quanto già la commissione territoriale e il primo giudice avevano escluso che le violenze derivanti da attentati terroristici e scontri tra gruppi etnici e politici, delimitati e non generalizzati, fossero tali da raggiungere la soglia di violenza indiscriminata a tali fini prevista.
5. Concludeva che il contratto di lavoro in essere non era sufficiente a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, una volta esclusa, anche in ragione della scarsa credibilità delle sue dichiarazioni, l’esistenza di una condizione di vulnerabilità nel senso sopra inteso.
6. Per la cassazione della sentenza G.S. ha proposto ricorso, cui il Ministero dell’interno non ha opposto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7. A fondamento del gravame il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8,comma 1, lett. e), là dove la Corte d’appello non ha valorizzato la motivazione sociopolitica sottesa all’istanza di protezione internazionale, con conseguente omesso esame della situazione d’instabilità politico democratica e il rischio di un serio pericolo di essere perseguitato per la presenza di gruppi estremisti diffusi nell’interno del paese.
8. Lamenta che la Corte avrebbe errato nel ritenere che la situazione di violenza non fosse ravvisabile nella zona di provenienza, omettendo di considerare la valenza dirimente dei rapporti ministeriali già prodotti dalla difesa nei precedenti gradi di giudizio (rapporto del Ministero dell’Interno, Commissione nazionale per il diritto d’asilo sul Punjab edito in data 7.4.2017 e 28.4.2017). Richiama inoltre l’ultimo rapporto di *****, sempre sul Pakistan, ove viene rappresentato che “il tumulto politico e l’instabilità hanno inghiottito il Pakistan…” e che “…nei suoi sforzi per affrontare le minacce alla sicurezza da parte di estremisti armati le forze di sicurezza hanno commesso gravi violazioni durante le operazioni di controterrorismo, tra cui torture, sparizioni forzate le uccisioni extragiudiziali…”. La Corte territoriale inoltre avrebbe omesso di rapportare la vicenda personale del ricorrente alla situazione oggettiva e attuale del paese di origine e di basare il proprio giudizio sull’effettivo contenuto delle dichiarazioni rese dal richiedente, disponendo l’audizione dello stesso per colmare eventuali lacune e di verificarle sulla base dell’effettiva situazione oggettiva del paese di origine desunta da fonti esterne.
9. Il ricorso non è fondato.
Il ricorrente si duole dell’esclusione dei motivi di persecuzione (D.Lgs. n. 251 del 2001, art. 8) che egli sostiene essere stati alla base della domanda di protezione internazionale.
Occorre tuttavia ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).
10. Nel caso, la Corte territoriale ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione di non verosimiglianza e credibilità che non è qui fatta oggetto di specifiche doglianze sotto i profili del difetto di motivazione e della violazione dei parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5).
11. Il coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbe dunque dovuto essere dedotto in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.
12. Pur a fronte della mancanza di allegazioni nel senso indicato, la Corte territoriale ha poi comunque valutato se nel Paese di origine del richiedente sussistesse una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed è giunta ad escluderla richiamando le fonti attinte dalla Commissione territoriale e dal Tribunale, superando le risultanze valorizzate in ricorso (desunte dai rapporti del Ministero dell’Interno e di *****) con l’argomentazione secondo la quale non erano sufficienti a configurarla violenze derivanti da attentati terroristici e scontri tra gruppi etnici e politici, delimitati e non generalizzati. Sotto tale aspetto, la richiesta di una rivisitazione del merito della valutazione risulta qui inammissibile secondo il perimetro del giudizio di legittimità delineato dal nuovo art. 360 c.p.c., n. 5.
13. Segue coerente il rigetto del ricorso.
14. Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
15. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo stato il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019