Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17334 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22852/2018 proposto da:

B.I.A., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Fraternale Antonio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 197/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, del 16/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/04/2019 dal Cons. Dott. PAOLA GHINOY.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Ancona, in riforma dell’ordinanza del Tribunale della stessa città, rigettava la domanda proposta da B.A.I. volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Riteneva in primo luogo che l’appello, proposto con citazione anzichè con ricorso, depositata in data 10 ottobre 2016 quando il provvedimento impugnato era stato comunicato alla Commissione territoriale il 3 agosto 2016, dovesse ritenersi cionondimeno ammissibile, in quanto, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in primo grado a mezzo di funzionario, la comunicazione dell’ordinanza alla Commissione territoriale – e non all’Avvocatura dello stato – non era idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, ed il gravame doveva ritenersi tempestivamente proposto nel termine semestrale.

3. Riteneva poi che l’appello fosse fondato. Riferiva che il ricorrente aveva dichiarato alla Commissione territoriale di provenire dal Pakistan nella regione del Punjabi in cui aveva sempre vissuto e di avere svolto, oltre all’attività di insegnante, quella di aiuto del padre del fratello come contadino nella conduzione di un terreno di loro proprietà, che gli era stato intestato in quanto sapeva leggere e scrivere, situato accanto ad una fabbrica dove si producevano utensili in ferro e acciaio. Al rifiuto opposto dal padre ai proprietari di quest’ultima di vendere loro il terreno, erano iniziate azioni intimidatorie durante una delle quali il fratello era rimasto ucciso, continuate per un lungo periodo, nonostante le varie richieste di protezione alla polizia che non era mai intervenuta, così inducendolo a lasciare il suo paese. Condivideva il giudizio della Commissione territoriale che aveva ritenuto le dichiarazioni del tutto generiche ed inverosimili ed inquadrabili in un contesto di tipo privato.

4. Inoltre, la ricorrenza di elementi stereotipati e ripetitivi nel racconto esonerava il giudice dal disporre d’ufficio approfondimenti istruttori.

5. Riteneva quindi che dal racconto del richiedente non risultasse l’esistenza di motivi di persecuzione per ragioni di razza, religione, appartenenza a gruppi sociali o d’opinione politiche, e dunque dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

6. Neppure vi erano i presupposti per la protezione sussidiaria, non essendo sufficiente il richiamo al peculiare contesto socio politico del Pakistan non accompagnato da i elementi di riscontro e situazioni individualizzanti che permettessero di ritenere attendibili le dichiarazioni del richiedente.

7. Negava l’esistenza di una situazione riconducibile alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non essendo emersa l’esistenza di una situazione nella zona di provenienza del ricorrente che lo esponesse una volta rientrato al suo paese ad un rischio effettivo di subire una minaccia alla vita o alla persona.

8. Con riguardo infine alla protezione umanitaria, osservava che non erano state specificamente allegate nè potevano ritenersi dimostrate specifiche situazioni soggettive tali da giustificare tale concessione.

9. Per la cassazione della sentenza B.I.A. ha proposto ricorso, affidato a due motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione per la partecipazione all’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 702 quater c.p.c., che prevede che l’appello vada proposto entro 30 giorni dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza emessa ex artt. 702 bis e segg.. Ribadisce che la stessa controparte nell’atto di appello aveva riferito che l’ordinanza del Tribunale di Ancona era stata comunicata il 3.8.2016, mentre la citazione in appello era stata notificata il 3.10.2016, oltre i 30 giorni previsti dall’art. 702 quater c.p.c., che erano scaduti, considerando anche la sospensione dei termini, venerdì 30 settembre 2016.

11. Sostiene inoltre che la notificazione all’Avvocatura Distrettuale doveva ritenersi perfezionata in considerazione della richiesta di visibilità del fascicolo telematico presentata tramite avvocato.

12. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7 e 14, nella parte in cui viene ritenuta la sostanziale irrilevanza dei fatti narrati dal ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, con conseguente omesso esame della situazione di instabilità politica e democratica e di rischio di un serio pericolo di essere perseguitato in seguito alla documentata controversia civile con un autorevole membro del governo pakistano, considerato che la fabbrica vicino ai loro terreni apparteneva ad un membro della famiglia del Ministro del dipartimento dell’energia elettrica.

13. Il primo motivo non è fondato.

Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto inidonea la notifica dell’ordinanza del Tribunale alla Commissione territoriale a far decorrete il termine breve per l’impugnazione, pur essendo l’amministrazione rimasta contumace in primo grado. Come più volte ribadito da questa Corte, infatti, la domiciliazione ex lege presso l’Avvocatura dello stato imponeva comunque che l’ordinanza venisse a questa notificata; in difetto, la notifica è nulla ed inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione (v. Cass. n. 7315 del 16/04/2004, Cass. n. 13197 del 05/06/2006, Cass. n. 15415 del 21/06/2017; diverso è il caso previsto dall’art. 417 bis c.p.c. – secondo cui le P.A., nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, possono stare in giudizio, in primo grado, mediante loro dipendenti – nel quale, assumendo direttamente la difesa l’amministrazione, la notifica della sentenza di primo grado, ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione, va effettuata allo stesso dipendente, Cass. 05/09/2016, n. 17596).

14. Il ricorso è parimenti infondato con riguardo alle doglianze relative al denegato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

15. Occorre qui ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 (cfr. Cass., 15/02/2018, n. 3758).

16. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce poi un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il cui esito è censurabile nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – che deve valutare se le dichiarazioni rese siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), (Cass. 3340/2019). Ed infatti, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – nel Paese di origine, salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 27/06/2018, n. 16925; Cass. 12/11/2018, n. 28862).

17. Nel caso, la valutazione di non credibilità soggettiva è stata adeguatamente compiuta dal giudice di merito, con valutazione che non è stata qui fatta oggetto di idonea censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, limitandosi il ricorrente a ribadire la compatibilità del racconto con la situazione oggetto di protezione.

18. Con riguardo invece alla sussistenza della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il secondo motivo è fondato.

19. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi, in particolare, della richiamata lett. t) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio (Cass. n. 17075 del 28/06/2018 e precedenti ivi richiamati) e tale accertamento deve essere aggiornato al momento della decisione (cfr. Cass. 14998/2015, 24064/2015, 13172/2013, Cass. 10202/2011).

20. La Corte d’appello ha dunque errato nell’affermare in maniera del tutto immotivata che il paese non sarebbe interessato da violenze indiscriminate rilevanti agli effetti indicati, senza dare conto dell’effettuazione delle necessarie verifiche, pur a fronte dello specifico motivo di appello su tale aspetto.

21. La sentenza impugnata va in conclusione cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale effettuerà l’esame omesso e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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