LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 21469/2014 r.g. proposto da:
B.V., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Giuseppe Vassallo, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Asiago n. 9, presso lo studio dell’Avvocato Edoardo Spighetti.
– ricorrente –
contro
D’EASS ASSICURAZIONI s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa (cod. fisc. *****), con sede in *****, in persona del commissario liquidatore Dott. G.G., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Giuseppe Fortino, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Gregoriana n. 54, presso lo studio dell’Avvocato Claudia Confortini.
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di PALERMO depositata il giorno 01/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/06/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
RILEVATO
che:
1. Con ricorso L. Fall., ex art. 101, depositato il 17 settembre 2004 e notificato il successivo 19 novembre dello stesso anno, B.V. chiese al Tribunale di Palermo di accertare che egli, avendo assolto, fin dalla data di assunzione presso la D’EASS Assicurazioni s.p.a. (d’ora in avanti semplicemente D’EASS), o, in subordine, a far data dal 3 ottobre 1989, mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento, aveva diritto, in via principale, alla qualifica di funzionario di I grado, o, in via subordinatamente gradata, a quella di impiegato di VI e V livello, con conseguente contestuale diritto alle relative differenze retributive, diversamente quantificate in ragione dell’inquadramento richiesto, con interessi e rivalutazione monetaria da calcolarsi dalla data di generazione a quella di effettivo soddisfo, da computarsi, in privilegio, nel passivo della menzionata società posta, medio tempore, in liquidazione coatta amministrativa.
1.1. L’adito tribunale, nel contraddittorio con il commissario liquidatore di quest’ultima, respinse la domanda del B., ritenendo che: i) in assenza di stabilità reale del rapporto di lavoro intrattenuto con la D’EASS in bonis, il termine prescrizionale quinquennale, ritenuto applicabile per tutte le voci componenti il complessivo credito invocato (differenze retributive; differenze TFR, indennità sostitutiva delle ferie non godute; differenze sui ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità), era decorso dal 26 aprile 1995, data del provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa della società; ii) lo stesso termine era stato efficacemente interrotto dalla lettera inviata dal B. l’8 ottobre 1998; iii) nessuna efficacia interruttiva della prescrizione poteva attribuirsi alla ulteriore istanza di ammissione al passivo del 29 marzo 1999, nel contesto della quale il B. si era riservato di integrare l’importo richiesto con le maggiori somme spettatigli per differenze retributive rispetto alle mansioni svolte presso la D’EASS spa.; iv) il successivo atto astrattamente idoneo ad interrompere la prescrizione doveva, pertanto, identificarsi nella nota del 9 marzo 2004, quando ormai, però, essendo decorsi cinque anni dal precedente atto interruttivo, doveva considerarsi spirato il predetto termine prescrizionale.
1.2. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza del 15 novembre 2013/1 aprile 2014, n. 544, ha rigettato il gravame del B. contro tale decisione. In particolare, per quanto ancora di interesse in questa sede ed in estrema sintesi: i) ha considerato l’indennità sostitutiva delle ferie non godute come avente natura retributiva, con conseguente applicabilità al corrispondente credito del termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2948 c.c., anzichè di quello decennale invocato dall’appellante in virtù della natura risarcitoria dell’indennità predetta; ii) ha opinato essere decorso il termine prescrizionale per ottenere le differenze retributive conseguenti all’assolvimento delle mansioni superiori presso la D’EASS in bonis da parte dell’appellante, mentre, secondo quest’ultimo, quel termine doveva considerarsi sospeso ai sensi della normativa dal medesimo ivi richiamata.
2. Avverso questa sentenza il B. ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, cui resiste, con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., la D’EASS s.p.a in l.c.a..
2.1. I formulati motivi prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto”. Si ascrive alla corte distrettuale di aver deciso in violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., nonchè artt. 1218,2058 e 2109 c.c., laddove ha ritenuto la natura retribuiva della indennità sostitutiva delle ferie non godute, con conseguente applicabilità del termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2948 c.c., anzichè di quello decennale ordinario, utilizzabile in ragione della natura risarcitoria delle predetta indennità;
II) “Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti e conseguente violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 2112,2119 c.c., art. 2941 c.c., comma 6 e art. 2948 c.c., nonchè al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 208”. Si imputa alla corte palermitana di aver deciso in ordine alla decorrenza del termine prescrizionale ponendo a fondamento della motivazione della sentenza oggi impugnata esclusivamente quanto dedotto ed articolato dall’appellante con l’atto introduttivo del gravame, omettendo, invece, ogni considerazione rispetto a quanto dallo stesso ulteriormente dedotto ed articolato con i successivi atti processuali ed in particolare con la propria comparsa conclusionale (della quale viene riportato in ricorso, integralmente, il punto 4), nei quali si era argomentata la invocata sospensione di quel termine ai sensi della normativa ivi richiamata.
CONSIDERATO
Che:
1. In relazione a quanto denunciato con il primo motivo, diviene determinante stabilire la natura giuridica da attribuirsi alla indennità sostituiva delle ferie, fin da ora chiarendosi che l’arco temporale cui si riferisce la pretesa dell’odierno ricorrente – dalla data della sua assunzione presso la D’EASS s.p.a., o, quanto meno, dal 1989, fino al 26 aprile 1995, data del provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa di quest’ultima – è antecedente sia all’entrata in vigore del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, di attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/14/CE (il cui art. 10, modificato dal D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 213, prevede una disciplina delle ferie annuali complementare rispetto a quella di cui all’art. 2109 c.c.), sia all’emanazione della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE (il cui art. 7, si occupa ugualmente del diritto del lavoratore alle ferie annuali).
2. Va premesso che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, il diritto alle ferie nel nostro ordinamento gode di una tutela rigorosa, di rilievo costituzionale, visto che l’art. 36 Cost., comma 3, prevede testualmente che “il lavoratore ha diritto al riposto settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.
2.1. All’interno della più ampia categoria dei riposi lavorativi (pause intermedie, riposo giornaliero, settimanale ed annuale), dunque, quello feriale riveste una più accentuata dimensione personalistica ed esistenziale in quanto rivolto – più delle altre tipologie di riposo – non solo al recupero delle energie psicofisiche spese dal lavoratore per l’esecuzione della prestazione, ma anche a consentire alla persona di poter coltivare interessi morali e materiali, personali e sociali di natura extralavorativa, fruendo di un periodo di tempo libero retribuito. Le ferie rappresentano, perciò, un diritto che va correlato alla persona del lavoratore e vanno riguardate più in funzione della qualità della vita che del rispetto di equilibri contrattuali (cfr. in motivazione, Cass. n. 20836 del 2013).
2.2. La duplicità delle funzioni rivestite dal periodo feriale è stata riaffermata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 543 del 1990, secondo la quale: “Non vi è dubbio che la disposizione contenuta dell’art. 36 Cost., comma 3, garantisce la soddisfazione di primarie esigenze del lavoratore, dalla reintegrazione delle sue energie psico-fisiche allo svolgimento di attività ricreative e culturali, che una società evoluta apprezza come meritevoli di considerazione”.
3. Peraltro, allorchè il lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito e non chieda di fruirne in altro periodo dell’anno non può desumersi alcuna rinuncia – che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 c.c.) – e quindi il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva delle ferie non godute, sulla cui natura giuridica vi è incertezza nella stessa giurisprudenza di questa Corte.
3.1. Così è stato ritenuto (cfr. Cass. n. 10341 del 2011; Cass. n. 12580 del 2003) che tale indennità ha natura non retributiva bensì risarcitoria, ed è, pertanto, esclusa dall’obbligo della contribuzione restando soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro. Si è, in sostanza, considerato che il relativo diritto derivi dall’inadempimento contrattuale del datore il quale ha l’obbligo di far godere le ferie al lavoratore, ponendosi in rilievo il fatto che l’indennità sia rivolta a riparare la lesione di un diritto, il danno costituito dalla perdita del riposo; e che non abbia un diretto legame con la prestazione resa dal lavoratore (oltretutto legittima nella sua genesi).
3.2. Di contro è stato affermato (cfr. Cass. n. 11262 del 2010; Cass. n. 6607 del 2004) che l’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma della L. n. 153 del 1969, art. 12, sia perchè, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore, sia perchè un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio – oggi pur escluso dal sopravvenuto art. 10 del D.Lgs. n. 66 del 2003, come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004, in attuazione della direttiva n. 93/104/CE – non impedirebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione. La natura retributiva guarda, dunque, alla prestazione contrattualmente non dovuta, perchè illecitamente prestata contra legem ex art. 2126 c.c. che, al comma 2, riconosce il diritto, appunto, alla retribuzione (espressione della natura retributiva della indennità in esame è anche la più recente Cass. n. 2496 del 2018).
3.3. E’ stato anche ritenuto (cfr. Cass. n. 11462 del 2012), propendendosi per la natura mista dell’indennità in questione, che, in relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito dall’art. 36 Cost. – ed ulteriormente sancito dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE (v. la sentenza 20 gennaio 2009 nei procedimenti riuniti c-350/06 e c-520/06 della Corte di giustizia dell’Unione Europea) -, ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere attività ricreative e simili) al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perchè non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sè retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perchè destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse.
3.3.1. Quest’ultimo indirizzo interpretativo (che conferma altro precedente espresso da Cass. n. 19303 del 2004; Cass. n. 7836 del 2003; Cass. n. 10173 del 2000; Cass. n. 5624 del 2000; Cass. n. 2231 del 1997), è stato ribadito anche da Cass. n. 20836 del 2013, e, più di recente, da Cass. n. 1757 del 2016.
Ritenuto che:
in relazione alla varietà dei descritti orientamenti interpretativi, appare opportuno disporre la trattazione della causa in pubblica udienza, a ciò non ostando l’originaria sua fissazione in sede camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. (cfr. Cass., SU, n. 14437 del 2018; Cass. n. 19115 del 2017; Cass. n. 5533 del 2017).
P.Q.M.
rinvia la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019
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