Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17384 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26979-2017 proposto da:

M.T., in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore della Società M. AUTO SRL, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLOMBA VALENTINI;

– ricorrenti –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 97, presso lo studio dell’avvocato DANIELA INCALZA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO GRECO;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 1559/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 09/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO LUIGI.

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 9.6.2017, la Corte d’appello di Lecce ha confermato, per quanto rileva in questa sede, la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di B.G. volta al riconoscimento della natura subordinata della collaborazione prestata in favore di M.T. e di M. Auto s.r.l., condannando le parti datoriali al pagamento delle differenze retributive consequenziali;

che avverso tale pronuncia M.T. e M. Auto s.r.l. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;

che B.G. ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che le parti ricorrenti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, le parti ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2094,2222 e 2697 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto la sussistenza della subordinazione nonostante che non vi fosse prova alcuna dell’esercizio del potere direttivo e dell’esistenza di ordini specifici e di controllo sull’attività svolta dal presunto lavoratore, valorizzando a tal fine la presenza di taluni indici sussidiari, ossia la messa a disposizione della struttura da parte datoriale, resistenza di un compenso fisso mensile e l’assenza di rischio economico in capo al lavoratore;

che il motivo è manifestamente infondato, essendo consolidato l’orientamento secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, in caso di prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo, occorrendo far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, senza che rilevi, di per sè, l’assenza di un potere disciplinare nè quello di un potere direttivo esercitato in modo continuativo (così da ult. Cass. n. 23846 del 2017, sulla scorta di Cass. nn. 12330 del 2016 e 20367 del 2014; nello stesso senso, v. anche, tra le tante, Cass. nn. 9251 del 2010 e 8569 del 2004);

che, nel precisare l’anzidetto orientamento, questa Corte ha affermato che spetta al giudice di merito individuare codesti elementi sussidiari, attribuendo prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto (così espressamente Cass. nn. 14573 del 2012 e 19568 del 2013), così implicitamente riconoscendo che essi, in quanto dati fattuali concernenti le modalità concrete con cui si è svolta la prestazione, mantengono rilevanza semplicemente sul piano probatorio, per consentire al giudice di pervenire ad un giudizio di tipo presuntivo sulla sussistenza o meno in concreto dei caratteri propri della fattispecie astratta di cui all’art. 2094 c.c. (cfr. in tal senso i puntuali rilievi di metodo di Cass. n. 5079 del 2009);

che contrari argomenti non possono trarsi da Cass. n. 19923 del 2016, cit. dalle parti ricorrenti nella memoria ex art. 378 c.p.c., essendosi colà affermato (non già che i criteri sussidiari debbono essere provati tutti, bensì) che “gli indici sussidiari possono assumere valenza soltanto se univoci”, ossia non contraddittori nel preciso senso di cui all’art. 2729 c.c., secondo cui “le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”;

che, conseguentemente, deve escludersi che la mancanza di prova di uno dei c.d. criteri sussidiari (quale, in specie, l’orario di lavoro) possa di per sè solo implicare un vizio di sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito della fattispecie astratta di cui all’art. 2094 c.c., questa risultando connotata esclusivamente dall’assunzione di un’obbligazione a collaborare nell’impresa in cambio di una retribuzione, offrendo una prestazione di lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore;

che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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