Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.18439 del 09/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24490/2018 proposto da:

A.Y., elettivamente domiciliato in Roma, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour Presso La Cancelleria Della Corte Di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Gentili giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato. che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 29/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2019 da Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 29.6.2018, il Tribunale di Ancona ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate da A.Y., nato in *****. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di un articolato motivo, resistito dal Ministero con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente censura, anzitutto, l’omessa pronuncia sulla dedotta invalidità del provvedimento della Commissione territoriale perchè non tradotto.

1.1. Il motivo è infondato: il Tribunale ha specificamente affermato, al p. 2 del decreto, in modo, peraltro, conforme alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 26480 del 2011; n. 18632 del 2014; n. 7385 del 2017; n. 23472 del 2017; n. 30105 del 2018 cfr. pure, Cass. n. 12273 del 2013), che i vizi del provvedimento della Commissione territoriale (quale, in tesi, la dedotta omessa traduzione) sono irrilevanti in quanto il ricorso giurisdizionale proposto dal richiedente, all’esito negativo della fase amministrativa, non ha per oggetto un giudizio d’impugnazione del provvedimento della Commissione territoriale, ma il diritto soggettivo dell’istante alla protezione invocata. L’omissione denunciata è, dunque, inesistente.

2. L’istante contesta, poi, il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, affermando di aver fornito anche mediante documenti, la prova della credibilità della sua narrazione, incentrata sulla minaccia di cui egli sarebbe stato vittima non potendo restituire una somma ricevuta in prestito.

2.1. La censura è inammissibile. Anzitutto, perchè sovrappone il profilo della credibilità con l’individuazione delle specifiche condizioni di persecuzione – che non includono i fatti narrati – previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8per il riconoscimento della misura dello status di rifugiato, condizioni che il Tribunale ha affermato non esser state neppure dedotte. 2.2. Inoltre, la doglianza sfugge al sindacato di legittimità, giacchè la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). L’odierno ricorrente riferisce, peraltro, di riscontri dati “sia verbalmente che con prove documentali” della veridicità delle proprie dichiarazioni, senza fornire alcun puntuale chiarimento al riguardo: per il che la censura deve ritenersi pure carente della necessaria specificità (art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6).

3. Il ricorrente lamenta, inoltre, che il Tribunale avrebbe erroneamente applicato la normativa in materia di protezione internazionale, non avendo indagato in modo minuzioso il suo racconto, nè “utilizzato tutti i mezzi a disposizione per raccogliere le prove necessarie a sostegno della domanda”, nè “concesso il beneficio del dubbio”, nè, infine, “enunciato valide ragioni dirette a contrastare quanto dal medesimo dichiarato”. Tale censura è inammissibile: essa non si misura, di nuovo, col contenuto della pronuncia, la quale ha disconosciuto i presupposti per la tutela richiesta evidenziando che i fatti narrati non integravano oggettivamente atti di persecuzione nè risultavano esser stati inflitti per i motivi indicati dal D.Lgs. n. 251, art. 8 (razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un “particolare gruppo sociale” opinioni politiche). Sotto altro profilo, la doglianza confonde l’audizione del richiedente asilo con l’assunzione di una prova testimoniale, e, pur riferita a violazioni di norme processuali (in realtà, indicate non a proposito: artt. 738,345,359,184 c.p.c.) imputa una superficiale conduzione dell’esame, ma non specifica le circostanze che avrebbero potuto costituire oggetto d’indagine, e, in definitiva, censura inammissibilmente, l’apprezzamento di merito.

4. Il ricorrente censura, poi, la sentenza impugnata, in riferimento al diniego della protezione sussidiaria: viene opposto, in particolare, come il ***** – paese da cui egli proviene – “sia uno Stato in cui vi sono disordini ed attentati legati agli *****”.

4.1. La censura è infondata. Il mancato accoglimento della domanda di protezione sussidiaria con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), appare conforme al diritto, giacchè l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275) e tali rischi non sono stati allegati.

4.2. Con riferimento all’ipotesi indicata nella lett. c) medesimo articolo, è, poi, ben vero che la situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato nel paese di ritorno può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo: ma nella fattispecie nemmeno l’istante ha dedotto che in ***** siano presenti ostilità che abbiano raggiunto il livello di intensità e diffusione previsto dalla norma, ciò che del resto il Tribunale ha escluso sulla scorta di svariati reports, espressamente indicati.

5. Nel ricorso è inoltre lamentato il mancato riconoscimento della protezione per motivi umanitari, avendo riguardo alla situazione della nazione di provenienza “devastata dalla criminalità e dai continui attentati da parte degli integralisti” e al positivo inserimento dell’istante nel tessuto sociale italiano.

5.1. Le censure svolte sono infondate per un duplice ordini di motivi. In primo luogo, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata a “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio”: infatti, la temuta violazione dei diritti umani “deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione). E nella specie, il decreto ha espressamente affermato che “nel paese di provenienza non vengono segnalate compromissioni nell’esercizio dei diritti umani”.

5.2. In secondo luogo, il Tribunale ha escluso che il richiedente abbia compiuto sforzi seri ai fini di un’effettiva integrazione nel tessuto socio economico nazionale, conclusione che attiene al merito e che non può essere messa in discussione in questa sede di legittimità.

6. Da ultimo, l’istante si duole del fatto che il Tribunale abbia omesso di statuire sul “diritto di asilo costituzionale”.

6.1. La censura è infondata: al p. 3 del decreto la questione è stata, espressamente, affrontata e, peraltro, risolta in senso conforme a quanto affermato da questa Corte di legittimità (Cass. 26 giugno 2012, n. 10686; n. 13362 del 2016), secondo cui il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3.

7. Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo. Essendo stato ammesso a patrocinio a spese dello Stato non è dovuto il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in complessivi Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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