LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18780-2018 proposto da:
P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MASSIMILIANO CESANA, FLAVIO CIOCIANO;
– ricorrente –
contro
C.I.DI.S. – CONSORZIO PUBBLICO INTERUNIVERSITARIO PER LA GESTIONE DEGLI INTERVENTI PER IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 1505, presso lo studio dell’avvocato ROSARIA GRECO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIANO MAGGIONI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 917/2018 del TRIBUNALE di MONZA, depositata il 28/3/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARRATO ALDO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso ritualmente depositato P.L. proponeva opposizione, dinanzi al Giudice di pace di Monza, avverso la determinazione n. 651/2015, con la quale il Consorzio Pubblico Interuniversitario per la gestione degli interventi per il Diritto allo Studio universitario (in breve CIDIS) aveva dichiarato ella P. – nella sua veste di studentessa delle Scuole civiche di *****, quale vincitrice di borse di studio per gli anni dal 2010 al 2013 – decaduta dai relativi benefici, per avere la stessa omesso di comunicare alcuni valori del patrimonio mobiliare che avrebbero determinato il superamento dei limiti ISEE, e la conseguente caducazione dei requisiti economici previsti dal bando di concorso. Con il provvedimento opposto il CIDIS aveva irrogato le sanzioni previste dalla L. n. 390 del 1991, art. 23, fino all’anno accademico 2011-2012 e quelle di cui al D.Lgs. n. 68 del 2012, art. 10, con riferimento all’anno 2012-2013.
Nella costituzione dell’ente opposto, l’adito Giudice di pace, con sentenza n. 1742/2015, dichiarava l’inammissibilità del ricorso sull’asserito presupposto della tardività della sua proposizione, siccome esso era stato spedito ma non anche notificato nel termine di 30 giorni stabilito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 6.
Decidendo sull’appello formulato dalla P. e nella resistenza del Consorzio appellato, il Tribunale di Monza, con sentenza n. 917/2018 (depositata il 28 marzo 2018), previa valutazione di ammissibilità del ricorso avanzato dinanzi al predetto Giudice di pace, rigettava nel merito il gravame ritenendo sussistenti le condizioni per la configurazione a carico dell’appellante degli indicati illeciti amministrativi, rilevando, in particolare, che ricorressero i presupposti per escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo.
Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la P.L., affidato a due motivi.
L’intimato CIDIS ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 27 Cost.e della L. n. 689 del 1981, art. 3, asserendo che, con la sentenza impugnata, era stata erroneamente interpretata la nozione di colpa di cui alle predette norme, omettendo di personalizzare il rimprovero di colpevolezza con riguardo agli specifici illeciti amministrativi alla stessa ascritti.
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato fatto oggetto di discussione tra le parti, prospettando che il giudice di appello non aveva considerato, quali fatti integrativi della buona fede, la circostanza che la certificazione ISEE era stata approntata e controllata da parte di un Caf nonchè quella dell’appartenenza della medesima alla categoria di giovane studente in Lettere e non a quella di imprenditore.
Su proposta del relatore, il quale rilevava che entrambi i motivi (esaminabili congiuntamente) potessero essere ritenuti manifestamente infondati, in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Rileva il collegio che, in effetti, entrambe le censure formulate dalla ricorrente (unitariamente esaminabili siccome all’evidenza tra loro connesse) sono prive di fondamento giuridico.
Incontestata la configurazione degli illeciti amministrativi in questione sotto il profilo dell’elemento oggettivo, la difesa della ricorrente – mediante la formulazione dei predetti motivi – ha addotto l’insussistenza dell’elemento soggettivo nella commissione delle medesime infrazioni sia per asserita esclusione dell’elemento della colpa così come interpretabile in base al suo concetto normativo accolto dalla giurisprudenza di legittimità sia per la ricorrenza della circostanza che vi era stata una dichiarazione di conformità del Caf, la quale l’aveva indotta a confidare nella correttezza del suo adempimento dell’obbligo dichiarativo del reddito rilevante ai fini ISEE.
Conformemente ai termini della formulata proposta e a quanto ritenuto dal giudice di appello nell’impugnata sentenza, deve escludersi la sussistenza della dedotta violazione di legge poichè, in tema di illeciti amministrativi, la buona fede è configurabile nei soli casi di assoluta inesigibilità od impossibilità di conformarsi, da parte dell’autore dell’infrazione amministrativa, alla condotta legalmente imposta (nel caso in esame la necessaria veridicità della dichiarazione dei redditi ai fini ISEE), nel senso, quindi, che il difetto dell’elemento soggettivo previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 3,sussiste soltanto quando si configurino elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli addebitato (cfr. Cass. n. 9862/2006, Cass. n. 13610/2007 e, da ultimo, Cass. n. 20219/2018). Pertanto, la P. avrebbe dovuto – con riferimento alla specifica attività riconducibile all’esatta e veridica dichiarazione dei requisiti reddituali per il riconoscimento dell’accesso a benefici pubblici economici – dimostrare l’assoluta impossibilità di osservare la prescrizione normativa (v., per tutte, Cass. SU n. 20930/2009), e, quindi, nel caso di specie, ella aveva l’obbligo di adottare la necessaria ed ineludibile diligenza per assicurarsi della regolarità della suddetta dichiarazione prima di presentarla all’ente competente.
Con riferimento al secondo motivo, va rilevato, innanzitutto, che la ricorrente ha omesso di trascrivere – come sarebbe stato suo onere in ossequio al necessario rispetto del principio di specificità del ricorso – con quale censura e in base a quale contenuto aveva dedotto l’asserita assenza di colpa nella commissione degli illeciti per aver demandato l’attività per la redazione della dichiarazione ISEE ad un Caf, così come la possibile rilevanza della sua qualità.
In ogni caso il giudice di appello ha, con la sufficiente motivazione adottata, escluso l’influenza di qualsiasi altro elemento idoneo per l’emergenza di un possibile difetto dell’elemento psicologico e ciò senza trascurare che il fatto dedotto con il motivo in esame – al di là della indiscutibilità della sussistenza della qualità soggettiva della Pirottta per essere tenuta all’assolvimento del relativo obbligo – non riveste carattere decisivo. Infatti, a fronte del possibile inadempimento del terzo (nel caso di specie, il Caf) a cui sia stata conferita una determinata attività, il soggetto committente e fruitore dei relativi effetti – al quale la condotta rilevante sul piano sanzionatorio amministrativo è direttamente imputabile per legge – è tenuto a controllare il comportamento del terzo per assicurarsi della sua conformità alle prescrizioni normative applicabili in relazione alla singola fattispecie, rispondendo, altrimenti, direttamente, della violazione di dette prescrizioni (cfr., per un precedente relativo ad un caso analogo, Cass. n. 4927/1998, laddove questa Corte ha ritenuto non esente da colpa il coltivatore che, avendo fornito nella domanda di aiuto comunitario indicazioni non corrispondenti alla reale qualità dei terreni, aveva poi ascritto ad un terzo – materiale compilatore della domanda stessa – la causa dell’errore).
In definitiva, alla stregua delle svolte argomentazioni, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 1 e 17, che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 12 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019