Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.22873 del 13/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23155-2017 proposto da:

L.B., D.S.A.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 96, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA TILLI, rappresentati e difesi dall’avvocato SABATINO CIPRIETTI;

– ricorrenti –

contro

F.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIULIANO MILIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1083/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 696 c.p.c. del 17/12/2012 L.B. e D.S.A.M., premesso di essere proprietari di un immobile sito in ***** e del contiguo locale adibito ad autorimessa e magazzino posto a confine con la proprietà di F.G., chiesero di svolgere un accertamento tecnico preventivo per accertare le condizioni dell’immobile di loro proprietà e l’origine di infiltrazioni che si erano verificate nella propria autorimessa, in conseguenza di un riempimento di terra e di un rialzo del terreno circostante l’autorimessa di circa 30 cm, effettuato dalla F., che aveva provocato infiltrazioni con formazione di ristagni sulle pareti, macchie di umidità, distacco di intonaco e di mattonelle. La F. si costituì in giudizio affermando che la causa delle infiltrazioni era da imputare allo stato di fatiscenza e vetustà dell’immobile, nonchè al fatto che il medesimo non aveva i canali di gronda. Il CTU, nominato dal Tribunale di Pescara, con perizia del 2013, rilevò che la causa dell’umidità era da ricercarsi nella presenza di acqua proveniente dal basso e che, per eliminare i danni, occorreva eliminare la causa rimuovendo il terreno adiacente la parete del garage per circa 40 cm con la formazione di una cunetta che avrebbe allontanato subito l’acqua piovana ed evitato il ristagno di umidità in aderenza.

Non avendo la F. provveduto a detto adempimento gli attori notificarono un atto di citazione per sentirla condannare alla rimozione del terreno e al risarcimento del danno. La F. si costituì rappresentando di aver adottato tutti gli accorgimenti tecnici per prevenire il contatto tra il terreno ed il fabbricato con posa in opera di guaina bituminosa, concluse per il rigetto delle domande e la condanna a pagare le spese per il procedimento di ATP.

La Got adita decise di rinnovare la CTU per meglio valutare la causa delle infiltrazioni e, all’esito della medesima, rigettò la domanda ritenendo che, alla luce dell’art. 2051 c.c., la causa della lamentate infiltrazioni non poteva ricondursi alla mancata custodia della proprietà F. ma alla mera struttura del locale garage, costruito in muratura poggiante direttamente a terra con copertura priva di canale di gronda e numerose fessure presenti all’esterno della parete dello stesso sicchè mancava la prova, da parte degli attori, del nesso causale tra la condotta della F. e le infiltrazioni.

La Corte d’Appello de L’Aquila, adita dagli originari attori, con sentenza del 14 giugno 2017, per quel che ancora qui rileva, ha rigettato l’appello con particolare riguardo al motivo con il quale l’appellante aveva contestato che il giudice avesse dato incarico di una seconda consulenza, ritenendo equivoca la relazione del CTU nominato in sede di ATP; a tal proposito il Giudice ha rivendicato a sè il potere di aderire al parere ritenuto più congruo, motivando sulle ragioni di tale preferenza, non ritenendo necessario soffermarsi sulle contrarie allegazioni del consulente tecnico di parte che, seppur non espressamente confutate, dovevano ritenersi disattese perchè incompatibili con le conclusioni tratte dal tecnico alle cui conclusioni il Giudice aveva aderito. Ad avviso del Giudice, nel caso in esame, neppure vi era una evidente incompatibilità nelle conclusioni dei tecnici perchè, mentre il primo CTU, nominato in sede di ATP, aveva precisato che la guaina “deve essere posata a perfetta regola d’arte e, seppur questo avviene, nulla toglie il fatto che nel tempo la stessa possa perdere le caratteristiche di elasticità quindi la capacità permeabilizzante”, il CTU della causa di merito aveva rilevato che il tetto del garage era sprovvisto di canale di gronda e propendeva verso la proprietà F. determinando l’infiltrazione nel terreno, sicchè le ragioni delle infiltrazioni erano state sostanzialmente condivise.

Dunque la Corte di merito ha ritenuto che la sentenza era stata correttamente emessa “allo stato” degli atti nel senso che, sino a quando la guaina non si fosse rovinata, non essendoci da nessuna parte contatto diretto tra il muro del garage L./ D.S. e la terra della F., quest’ultima non era tenuta a fare lavori di sorta, cui erano semmai tenuti gli appellanti, in considerazione del fatto che le cause della diffusa umidità nel garage dovevano essere ascritte ad un fenomeno di risalita capillare di umidità dal basso, legato all’imbizione delle fondazioni o della muratura, poggiante direttamente nel terreno assorbente l’acqua piovana come una spugna facendola risalire verso l’alto in mancanza di uno stato drenante sottostante.

Avverso la sentenza L.B. e D.S.A.M. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste la F. con controricorso illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Preliminarmente occorre replicare all’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata da parte resistente con la memoria ex art. 380 bis c.p.c. per mancato deposito, nella cancelleria della Corte di Cassazione, della copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, commi 1-bis e 1-ter del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto nonchè della relata di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8312 del 25/3/2019, su questione di massima di particolare importanza hanno affermato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogia della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Viceversa, nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga solo intimato (oppure tali rimangono alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio. I medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito di copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata (e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute) senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa. Nel ricorso in esame la sentenza impugnata è stata prodotta anche in copia autentica sicchè, essendo la medesima agli atti, l’eccezione di improcedibilità deve essere rigettata. 1.1 Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 352 e 281 sexies c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Illegittima decisione ex art. 281 sexies. Nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per omessa trascrizione delle conclusioni ed omessa decisione e motivazione (violazione art. 132, comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”. Assumono che la Corte d’Appello abbia fissato l’udienza del 14/6/2017, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., ma abbia omesso di fissare la discussione orale davanti al Collegio, nonostante la norma non lasci alcun apprezzamento discrezionale in tal senso al Giudice.

Ne consegue che la Corte, avendo deciso la causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. con il contestuale deposito del dispositivo e dei motivi, ha del tutto omesso di rispettare le previsioni di cui all’art. 352 c.p.c., nonostante si evinca che l’appellante abbia chiesto la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni.

1.2. Premesso che, ove anche si fosse determinata una causa di nullità, la medesima sarebbe stata sanata in quanto non tempestivamente eccepita nel corso dell’udienza in cui la sentenza è stata pronunciata, con la conseguente necessità del rigetto dell’impugnazione al riguardo proposta (Cass., 3, n. 7104 del 9/4/2015; Cass. 2 n. 18025 del 9/7/2018), la sentenza impugnata, con la scelta della pronuncia ex art. 281 sexies c.p.c. è del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 3, n. 22871 del 10/11/2015; Cass., 6-3, n. 22120 del 31/10/2016). Ne consegue l’infondatezza del primo motivo di ricorso. 2. Con il secondo motivo denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 (art. 360 c.p.c., n. 4) e art. 196 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Ad avviso dei ricorrenti la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente giustificato la scelta del rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio in quanto nella prima non erano state evidenziate carenze o deficienze diagnostiche, incongruenze ed affermazioni illogiche o scientificamente errate su punti decisivi della causa e la nuova CTU sarebbe stata disposta al solo fine di “meglio valutare l’origine precipua delle lamentate infiltrazioni.”

2.1 Il motivo è inammissibile. L’impugnata sentenza ha congruamente motivato le ragioni di ammissione della nuova consulenza tecnica ed ha altresì evidenziato scrupolosamente i motivi per i quali ha ritenuto la seconda indagine più affidabile della prima, ritenuta equivoca e non attendibile. Ne consegue che la sentenza ha inteso confermare la consolidata giurisprudenza di legittimità, sicchè il motivo è inammissibile (In tema di consulenza tecnica d’ufficio, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o “in toto”, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice. L’esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l’attività espletata dal consulente sostituito (Cass., 6-L, n. 2103 del 24/1/2019; Cass., 3, n. 22799 del 29/9/2017; Cass., L, 19572 del 26/8/2013; Cass., 3, n. 20125 del 7/10/2015).

3. Con il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (art. 360 c.p.c., n. 4) – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso dei ricorrenti la sentenza dovrebbe essere censurata per non aver tenuto in alcuna considerazione le risultanze della prima consulenza che, lungi dall’essere non chiara e non univoca, aveva espressamente affermato che la causa delle infiltrazioni era costituita dalla realizzazione della vasca da parte della F..

Il motivo è inammissibile perchè sollecita questa Corte ad un riesame del merito degli atti di causa, non sindacabile in sede di legittimità.

4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed i ricorrenti condannati alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo ed al cd. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2019

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