LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
L. società semplice agricola in liquidazione, nonchè i soci ill. resp. L.V., L.P.M., L.A., rappr. e dif. dall’avv. Fabio Marelli e dall’avv. Angelo Anglani, elett. dom. presso il loro studio in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 161, come da procure in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO L. società semplice agricola in liquidazione, nonchè i soci ill.resp. L.V., L.P.M., L.A., in persona del cur. Fall. P.t., rappr. e dif. dall’avv. Danilo Galletti, elett. dom. presso lo studio dell’avv. Cristina Bertocchini in Roma, via Antonio Bertoloni n. 55, come da procura in calce all’atto;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
FONDAZIONE ENASARCO;
PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE D’APPELLO DI TRENTO – SEZ.DIST. di BOLZANO;
– intimati –
per la cassazione della sentenza App. Trento – sez. dist. Bolzano 24.2.2018, n. 25/2018, RG 159/2017;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo, alla camera di consiglio del 22.10.2019;
udito il P.G. nella persona del sostituto procuratore Dott. soldi A.M., che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito quello incidentale;
uditi i difensori delle parti avvocati Iolanda Boccia Fabio Marelli per il ricorrente e Cristina Bertocchini per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. La società semplice agricola in liquidazione L. e i suoi soci illimitatamente responsabili L.V., L.P.M., L.A., L., SOCIETA’ impugnano la sentenza App. Trento – sez. dist. Bolzano 24.2.2018, n. 25/2018, RG 159/2017 che ha rigettato il loro reclamo avverso la sentenza Trib. Bolzano 2.8.2017, già dichiarativa del proprio fallimento;
2. ha ritenuto la corte, condividendo gli assunti del tribunale, che la società semplice agricola L., posta in liquidazione nel novembre del 2014, avesse svolto dal successivo dicembre sino al 2016 attività commerciale, prevalente su quella agricola florivivaistica, di fatto cessata, dopo la stipula di affitto d’azienda venticinquennale nel dicembre del 2014 alla neocostituita L. società agricola r.l., anch’essa con sede in *****; era così riscontrato l’esercizio di un’attività di ingente intermediazione di materia prima (talee), importate da un produttore del Brasile e rifatturate per vendita alla affittuaria L. s.r.l., perciò negandosi ogni connessione con l’originaria attività agricola;
3. la corte dunque: a) escludeva che il citato acquisto fosse, giustificabile nei limiti delle operazioni consentite ai liquidatori, di fatto un nuovo rischio d’impresa, senza garanzie nè profitti, incompatibile con le premesse di necessità economica e finanziaria enunciate nella stessa messa in liquidazione; b) rinveniva nell’intermediazione a favore del terzo, benchè società agricola r.l., una manifestazione di attività commerciale, poichè scollegata da quella agricola originaria (cioè, dalla coltivazione del fondo proprio) e sicuramente imprenditoriale (poichè non mera espressione del titolo dominicale sui beni affittati), nè i debitori avevano assolto all’onere di provare che le attività intrinsecamente svolte fossero connesse ad una ripresa in proprio di quelle agricole, invero definitivamente dismesse; e) accertava la qualità di imprenditore commerciale della L., in termini di professionalità e organizzazione anche con soggetti esteri, svolta secondo lo schema della commissione e dell’intermediazione commerciale, con uso della propria partita IVA, impiegata altresì per ulteriori acquisii non rifatturati alla affittuaria, così continuando semmai un’attività accessoria ma senza più collegamento ad una propria di tipo agricolo e-deducendo rispettive partite finanziarie in rapporti di compensazione non episodici; d) dava atto della persistenza dell’utilizzo della partita IVA, così non potemdo dirsi inattiva e conclusivamente della nuova attività commerciale della L., dimensionata per significativi periodi (nel 2015 e 2016) e consistenti volumi d’affari (560 mila e, rispettivamente, 120 mila Euro circa), a nulla rilevando i pagamenti assolti (anche se non tutti) dalla conduttrice o l’assenza di margini sulla rivendita;
4. il ricorso è su quattro motivi e ad esso resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato su un motivo il fallimento; entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Considerato che la società deduce: a) (primo motivo) violazione delle norme di qualificazione dell’attività nella liquidazione (artt. 2195,2278 e 2279 c.c.), avendo errato la corte a non considerare che le nuove operazioni ricorrono solo se per difformità teleologia, esorbitanti dal profilo assunto e volte ad un utile o ad iniziative speculative, non potendosi prescindere dalla dinamica liquidativa dell’impresa e dalle situazioni di fatto, come il periodo di transizione dell’azienda all’affittuaria e l’invio di ordini a nome della s.s. ma in realtà richiesti e pagati dalla seconda, senza rilievo dell’uso della partita IVA; b) (secondo motivo) violazione dell’art. 2135 c.c. ove la corte, pur affermando che la concessione in affitto dell’azienda agricola non fa venir meno la qualificazione di imprenditore agricolo, giunge alla conclusione di negarlo ove non vi sia identità soggettiva tra L. s.s. e L. s.r.l.; e) (terzo motivo) violazione dell’art. 2082 c.c., per avere erroneamente la sentenza ravvisato il carattere professionale ancorchè l’attività fosse occasionale ed episodica, difettando la società di un apparato produttivo stabile volto all’acquisto e rivendita di prodotti, senza margine di ricavo; d) (quarto motivo) vizio di motivazione e nullità del procedimento in relazione all’art. 183 c.p.c., comma 2, per mancata ammissione di prove ritenute inammissibili, all’art. 2697 c.c. sull’onere della prova e la mancata ammissione di quella testimoniale;
2. in via incidentale e condizionata il controricorrente deduce in unico motivo la violazione della L. Fall., art. 18 nonchè artt. 345 e 112 c.p.c., riproponendo la questione della inammissibilità dell’eccezione relativa al mantenimento della qualità imprenditoriale, pur dopo la stipula dell’affitto di azienda, per lo svolgimento di attività liquidatoria, perchè dedotta soltanto con la memoria autorizzata in data 12 dicembre 2017 e non con l’atto introduttivo del giudizio, in violazione della pienezza del principio devolutivo;
3. i primi tre motivi sono infondati per taluni profili ed inammissibili per altri; è pacifico che già il primo, pur avversando una (doverosa) statuizione della corte, (poichè) resa su corrispondente motivo di reclamo, non assume una rilevanza autonoma ove non considerato in relazione alla questione del requisito soggettivo del debitore, se cioè imprenditore tuttora agricolo ovvero divenuto commerciale (posta dalla seconda censura e ripresa nella terza); la portata del divieto di nuove operazioni, così come disputata all’altezza del solo perimetro degli artt. 2278-2279 c.c., non spiega invero un’influenza diretta ed esaustiva sulla risposta al cennato complesso interrogativo, limitandosi a segnare – a fini del censimento di responsabilità – i limiti della condotta dei liquidatori per i rispettivi poteri e acquisendo rilevanza solo in quanto l’attività da questi espletata costituisca, in fatto, persistente o innovativa manifestazione di attività idonea, rispetto al tipo sociale già organizzato, a mutarne il segno giuridico d’impresa, nella specie da agricola a commerciale e non tanto ad evidenziare la continuazione della prima in quanto tale ovvero l’esorbitanza dal modello degli atti di liquidazione;
4. orbene, la corte ha accertato che l’attività di acquisto dall’estero di ingenti quantità di piante, rivendute in gran parte alla affittuaria, in altra parte direttamente intermediate, con proseguita attività di fatturazione in proprio, sia durante la prima fase di comodato che nella successiva di affitto dell’unica azienda, abbia integrato l’assunzione di un rischio d’impresa autonomo, eccedente la stretta strumentante della liquidazione, per un verso ed altresì nuovo, non episodico ed ancora professionale ai sensi dell’art. 2082 c.c., in relazione al volume degli scambi, alla spendita della qualità di imprenditore importatore, anche per soggettività tributaria, in contraddizione con la staticità e semplicità organizzativa della richiamata formula dell’affitto d’azienda della simmetrica messa in liquidazione;
5. l’evocata incompatibilità, per il materiale versato nel procedimento di reclamo (al cui giudice è devoluto, nel suo complesso, il riesame dei presupposti della fallibilità, Cass. 26771/2016), è stata dalla corte positivamente apprezzata, nella duplice direzione, sulla base di profili non esaminabili in questa sede, al di là della rubricazione delle censure che mirano in realtà, per come formulate, a sovvertire i risultati della congrua ricostruzione argomentativa, per circostanze e fonti del proprio convincimento, esposta nella sentenza; così, “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014); la corte si è invero attenuta alla individuazione dei fattori organizzativi e merceologici connotativi dell’attività, così censendone la natura commerciale e dando piena contezza di prova circa il convincimento raggiunto sull’applicazione, per questa via, della L. Fall., art. 1 (Cass. 5235/2019, 5342/2019);
6. per altra parte, i motivi sono inammissibili in quanto incongrui ex art. 360bis c.c., n. 1 rispetto a costanti orientamenti di legittimità qui condivisi, cui va data continuità; invero, l’ingresso della società semplice, già nello stato di liquidazione implica, nella continuità del tipo, un doppio scrutinio di compatibilità la sua preordinazione alla liquidazione del patrimonio, il pagamento dei creditori e l’eventuale ripartizione del residuo attivo fra i soci, da un lato e, dall’altro, l’impiego della organizzazione, che non cessa, ad attività di salvaguardia del valore patrimoniale; il perseguimento di tali finalità, sintetizzato per i liquidatori nel divieto delle nuove operazioni ex art. 2279 c.c. si correla, nella specie, all’ulteriore limite per cui le iniziative intraprese non violino, ai sensi dell’art. 2249 c.c., comma 2, il perimetro economico dell’esercizio in comune dell’attività agricola, l’unica consentita al tipo societario in esame; così già Cass. 1037/1999 precisò, per quanto qui d’interesse, che “la società regolarmente sciolta continua a sopravvivere come soggetto collettivo, pur dopo la messa in liquidazione, all’unico scopo di liquidare i risultati della cessata attività sociale, sicchè non è consentito ai liquidatori, a norma degli art. 2278 e 2279 c.c., intraprendere nuove operazioni, intendendosi per tali quelle che non si giustificano con lo scopo di liquidazione o di definizione dei rapporti in corso, e che costituiscano, viceversa, atti di gestione dell’impresa sociale…inefficaci per carenza di potere”, ricorrendo all’esempio di nuove operazioni ammesse quelle espletate dai liquidatori in relazione a rapporti sostanziali preesistenti alla messa in liquidazione della società, attesa la indiscutibile omogeneità di tale attività con lo scopo di liquidazione e di definizione dei rapporti in corso, e la non inquadrabilità… tra quelle di gestione dell’impresa sociale sottoposte al divieto” (conf. Cass. 741/2004, 11393/1997); nella vicenda, il giudice di merito ha accertato che le operazioni di acquisto di talee dal Brasile non avevano alcun legame con l’assetto organizzativo, assunto dalla società, a seguito dell’affitto a terzi della intera azienda agricola, nè risulta anche solo allegata che una o più di esse, per qualche significatività economica, avesse trovato in quello un’anticipazione programmatica idonea a completarne l’attuazione;
7. se poi, come ripetutamente richiamato in ricorso, questa Corte ha ritenuto la permanenza della qualità soggettiva di imprenditore agricolo (ai fini civilistici), benchè all’attività economica diretta consegua l’esercizio dei soli diritti rivenienti da un’attività contrattuale (con azienda affittata a terzi o prestazione non professionale di garanzie. Cass. 17397/2015), si osserva, che, pur in una nozione diversa da quella tributaria (Cass. 20443/2011, 25777/2014), la commercialità, ai sensi della L. Fall., art. 1, non può essere negata allorchè sia assunto un nuovo rischio d’impresa, tipologicamente “ausiliario” ex art. 2195 c.c., comma 1, n. 5 ad un imprenditore terzo, ancorchè a sua volta agricolo; i motivi, sotto questo aspetto, sono dunque infondati, dovendosi ribadire che l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno – ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135 c.c., comma 3, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex art. 2135 c.c., comma 1, il corrispondente onere probatorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva negato la qualità di imprenditore agricolo… in mancanza di prova che le attività di conservazione e commercializzazione… esercitate riguardassero prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del proprio fondo) (Cass. 16614/2 016, 22978/2016, 831/2018); ove il riferimento al proprio fondo va inteso avendo riguardo ad una nozione logica, prima ancora che normativa, delle attività connesse di cui all’art. 2135 c.c., comma 3 che, in sè non agricole, rientrano nella stessa nozione, per specifica considerazione legale, se infatti “esercitate dal medesimo imprenditore agricolo”, non invece, come nella specie, al mero servizio di un imprenditore-terzo, pena un’inedita e non prevista area soggettiva agricola di disinvolta autoqualificazione, su base essenzialmente economica ed eventuale;
8. i menzionati apprezzamenti di fatto condotti dal giudice del merito investono altresì la nozione di imprenditorialità rispetto alla durata del ciclo economico assunto in osservazione, a nulla rilevando la sua datazione storica, poichè la abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica, come indice della professionalità necessaria per l’acquisto della qualità di imprenditore, vanno intese in senso non assoluto ma relativo, sicchè non può escludersi la qualità di imprenditore nel soggetto che svolga un’attività che si protragga nel tempo per una durata apprezzabile (Cass. 12377/2004, 14476/2003, 4407/1996, 3690/1986, 267/1973); e quanto al congegno contabile di ribaltamento (peraltro nemmeno completo) dei costi degli acquisti sull’affittuaria, in ragione delle già descritte connotazioni organizzative assunte dalle plurime operazioni effettuate, si può ripetere che è individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo)” (Cass. 6835/2014, 14250/2016);
9. il quarto motivo è inammissibile; per un verso, quanto al vizio di erronea non ammissione delle prove, va ribadito il principio per cui Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando cosi liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. 21098/2016);
10. per altro verso e quanto alla dislocazione dell’onere della prova, ricordato che la fallibilità della società è stata affermata sulla base di positivi elementi integranti la prova della commercialità del suo agire ed acquisiti nel corso della complessa istruttoria (già ed anche con l’ausilio di c.t.u. avanti al tribunale), va comunque ribadito che la relativa ripartizione ai fini dell’accertamento della fallibilità dell’imprenditore agricolo implica che compete a chi sollecita la dichiarazione di fallimento di un imprenditore agricolo allegare e dimostrare l’esistenza di un’attività commerciale che si affianchi all’attività agricola, affinchè sia possibile constatare il ricorrere del presupposto richiesto dalla L. Fall., art. 1, comma 1….grava invece su chi invochi l’esenzione dal fallimento assumendo la sussistenza delle condizioni per ricondurre l’attività commerciale svolta nell’ambito dell’art. 2135 c.c., comma 3.
– ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 2, ed anche in applicazione del generale principio di vicinanza della prova – il corrispondente onere probatorio (Cass. 21176/2018, 16614/2016);
11. al rigetto complessivo del ricorso consegue l’assorbimento di quello incidentale, condizionato all’accoglimento di quello principale, con condanna alle spese regolatàsecondo il principio della soccombenza e a carico del ricorrente in via principale, nonchè – per lo stesso e solo soggetto – la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del c.d. raddoppio del contributo unificato, come meglio da dispositivo.
PQM
la Corte rigetta il ricorso principale, con assorbimento di quello incidentale; condanna il ricorrente in via principale al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019
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