LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13226-2018 proposto da:
A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 75, presso lo studio dell’avvocato MARIO LACAGNINA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato JOELLE ROSANNA LIDIA PICCININO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 985/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 22/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato P.M. conveniva in giudizio A.G. davanti al Tribunale di Milano proponendo querela di falso avverso il testamento olografo datato ***** e pubblicato con atto not. V.A. l'***** Rep. ***** racc. *****, apparentemente redatto e sottoscritto da P.L.F., nipote dell’attore, il quale si dichiarava unico erede legittimo; chiedeva, inoltre, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni sofferti, da liquidarsi in separato giudizio, nonchè, in via preliminare, la disposizione dell’inventario e del sequestro dei beni mobili e immobili della de cuius.
A.M., nominato erede universale con il testamento impugnato, si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle pretese attoree.
Istruita la causa mediante CTU grafologica, affidata alla dottoressa L.M., il Tribunale di Milano con sentenza n. 11505/2016, rigettata la domanda di risarcimento danni in forma generica, dichiarava la falsità del testamento e condannava l’ A. al pagamento delle spese processuali e della consulenza tecnica.
Quest’ultimo proponeva appello per ottenere la riforma della sentenza del Tribunale, eccependo la nullità della sentenza in quanto sosteneva che avesse riprodotto acriticamente il contenuto della CTU e, sotto diverso profilo, deduceva la violazione dell’art. 196 c.p.c., laddove il Tribunale, avendo respinto l’istanza di rinnovazione della CTU, si era rifiutato di esercitare tale potere offrendo una motivazione del tutto apparente. In particolare contestava l’esclusione della scrittura “A19” dal novero di quelle valutate in via comparativa, che aveva rappresentato un’arbitraria riduzione del materiale probatorio da parte del Tribunale.
Ritualmente costituitosi in appello, P.M. ne chiedeva, in via preliminare, l’inammissibilità e, nel merito, il suo rigetto.
Dopo aver rimesso la causa a nuovo ruolo per consentire al Procuratore Generale di svolgere le sue conclusioni – con cui ha chiesto il rigetto dell’appello – la causa veniva trattenuta in decisione e con sentenza n. 985/2018, pubblicata il 22 febbraio 2018, la Corte d’Appello di Milano respingeva l’appello, condannando A.G. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Motivava la Corte d’appello che non era ravvisabile alcun vizio di motivazione con riguardo alle indagini peritali e alle conclusioni assunte dalla consulente d’ufficio. Il Tribunale, infatti, non si era limitato a recepire acriticamente le valutazioni di quest’ultima, ma al contrario aveva richiamato per relationem i punti focali della perizia, indicando le ragioni di adesione alla stessa, attraverso un’alternanza tra i periodi ritrascritti letteralmente della consulenza e i propri passaggi esplicativi, da cui poteva desumersi il fondamento della decisione.
Secondo i giudici di appello, la decisione di primo grado era da confermarsi altresì dal punto di vista contenutistico; risultava corretto e non contestato il metodo di indagine peritale che, a detta della Corte, consentiva alla consulente di acquisire un ampio ventaglio di riferimenti comparativi di provenienza ritenuta certa, sia per le sottoscrizioni che per le scritture testuali, sulle quali non erano state proposte contestazioni, che le consentivano di negare l’autenticità del testamento.
Le scritture testuali, in particolare, erano state valutate nel loro insieme per assicurarne la coerenza e la congruenza grafica; più nello specifico, del documento “A19” veniva escluso il contenuto, in quanto espresso in stampatello, potendo essere facilmente stato compilato da terzi, ma non la sottoscrizione, la cui provenienza veniva attribuita a P.L.F..
Nel complesso, le “uniformità ritmiche” rilevate dalla consulenza, unitamente alle “incoerenze e incongruenze poco conciliabili”, portavano i giudici di secondo grado a ritenere, da un lato, plausibili le risultanze peritali – già condivise in primo grado – e dall’altro inidonee le censure dell’appellante volte a confutarle.
Altrettanto inconferente risultava il parere pro-veritate dell’avvocato C., prodotto dall’ A., che a detta della Corte conteneva una serie di valutazioni relative all’autenticità del testamento, da un lato incapaci di rapportarsi, in alcun modo, al percorso logico-scientifico della perizia, dall’altro prive di elementi di novità tali da confutare l’esito degli accertamenti peritali.
La Corte territoriale, in definitiva, esclusa l’esistenza di alcuna anomalia procedurale, considerava “coerente” il metodo scientifico utilizzato dal consulente e meritevole di essere condiviso, e perveniva al rigetto dell’appello con conferma integrale della sentenza di primo grado.
Per la cassazione della sentenza di appello A.G. propone ricorso articolato in quattro motivi.
L’intimato non ha svolto difese in questa fase.
Preliminarmente occorre dare atto dell’inammissibilità della memoria depositata dalla difesa dell’intimato in data 25/3/2019, volta a sollecitare la fissazione dell’udienza, occorrendo a tal fine far richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (Cass. n. 24835/2017) in tema di giudizio di cassazione, è inammissibile una “memoria di costituzione” presentata dalla parte intimata che non abbia previamente notificato al ricorrente il controricorso nel termine previsto dall’art. 370 c.p.c., nè tale parte potrebbe giovarsi della facoltà di presentare memorie in vista dell’adunanza camerale prevista dall’art. 380 bis c.p.c., come modificato dalla L. n. 197 del 2016, quando, alla data di entrata in vigore di tale legge, aveva ancora la possibilità di ottemperare al disposto dell’art. 370 c.p.c., atteso che in tale caso sarebbe stato suo onere dapprima notificare il controricorso, ancorchè tardivamente, e poi interloquire con la memoria di cui al citato art. 380 bis c.p.c., (conf. Cass. S.U. n. 10019/2019, secondo cui nel giudizio di cassazione è inammissibile una “memoria di costituzione” depositata dalla parte intimata dopo la scadenza del termine di cui all’art. 370 c.p.c., e non notificata al ricorrente – così da non potersi qualificare come controricorso, seppur tardivo – atteso che non è sufficiente il mero deposito perchè l’atto possa svolgere la sua funzione di strumento di attivazione del contraddittorio rispetto alla parte ricorrente, la quale, solo avendone acquisito legale conoscenza, è in condizioni di presentare le sue osservazioni nelle forme previste dall’art. 378 c.p.c.. Ne consegue, pertanto, che la procura speciale rilasciata in calce all’anzidetta memoria non sia valida, restando priva di efficacia l’autenticazione del difensore, il cui potere certificativo è limitato agli atti specificamente indicati nell’art. 83 c.p.c., comma 3).
Con il primo motivo denunzia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: la nullità della sentenza impugnata e del procedimento di appello (error in procedendo) (art. 156 c.p.c.; art. 159 c.p.c.; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; art. 118 disp. att. c.p.c.)”.
La nullità della sentenza d’appello deriverebbe dalla conferma della sentenza di primo grado, di per sè inficiata da un vizio di nullità, essendo sorretta da una motivazione apparente, dal momento che si limitava a riprodurre pedissequamente il contenuto della CTU senza fornire riferimenti logico-giuridici idonei a permettere di verificare l’autonoma valutazione compiuta dal Tribunale. Tale modalità di redazione della sentenza impediva di ravvisare una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, e ciò avrebbe dovuto condurre la Corte d’appello a dichiarare la nullità di una sentenza che si limitava a essere una “mera fotocopia delle argomentazioni del CTU non mediate dalla lettura e dall’autonoma valutazione del giudice”.
Con il secondo motivo di ricorso deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: la nullità della sentenza impugnata del procedimento di appello (error in procedendo) (art. 156 c.p.c.; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; art. 118 disp. att. c.p.c.)”. Il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui il Tribunale non si sarebbe limitato a recepire acriticamente le risultanze peritali, ma avrebbe “richiamato per relationem passi salienti della relazione peritale, indicando seppur succintamente, le ragioni della propria decisione”, laddove in realtà tale attività non sarebbe stata mai compiuta dal Tribunale. La motivazione della Corte d’appello si risolverebbe, parimenti, in una generica enunciazione di principio senza alcun collegamento con la sentenza di primo grado e con le censure che le erano state prospettate.
Pertanto, così come redatte, entrambe le sentenze non potrebbero ritenersi validamente motivate, in quanto mancherebbe il criterio logico-giuridico, e in definitiva la ratio decidendi, sulla base del quale si sarebbe dovuto formare il convincimento del giudice.
I primi due motivi, stante la loro stretta connessione logica, possono essere trattati congiuntamente e sono entrambi da ritenersi destituiti di fondamento.
A fondamento del rigetto, innanzitutto, deve richiamarsi il principio di questa Corte, recentemente ribadito da Cass. n. 15147/2018, in base al quale, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche “per relationem” dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente.
Al contrario, può ravvisarsi un vizio di motivazione quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e “per relationem”, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 12664/2012), fattispecie sicuramente non ravvisabile nel caso in esame, in cui la Corte territoriale ha ampiamente motivato la propria decisione, sia mediante valutazioni proprie, sia mediante richiami alle argomentazioni svolte dal Tribunale.
In questo senso occorre, peraltro richiamare il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la motivazione della sentenza del giudice di appello che contenga espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, facendone proprie le argomentazioni in punto di diritto, è da ritenersi legittima tutte le volte in cui il giudice del gravame, sia pur sinteticamente, fornisca, comunque, una risposta alle censure formulate, nell’atto di appello e nelle conclusioni, dalla parte soccombente, risultando così appagante e corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle due sentenze (cfr. Cass. n. 3636/2007).
Pertanto, a conclusione di quanto finora enunciato si ribadisce quanto espresso da questa Corte secondo cui nel processo civile, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (Cass. Sez. Un. 642/2015).
Pertanto, ben può ritenersi conforme al disposto dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la sentenza di merito oggi impugnata (nonchè quella di primo grado), la quale, pur riportando ampi stralci del percorso logico della consulenza tecnica d’ufficio – recependone in buona parte l’impostazione – è risultata, nondimeno, supportata da idonei e critici spunti di ragionamento logico-giuridico sui vari aspetti della vicenda sottoposta al vaglio del giudice (in questo senso, cfr. Cass. n. 7477/2011) dai quali si evince chiaramente la ratio decidendi che ha spinto i giudici a pervenire al rigetto dell’appello, senza peraltro che rilevi più, una volta intervenuta la pronuncia di secondo grado che, nel confermare quella di prime cure, abbia sostituto quest’ultima, l’eventuale insufficienza motivazionale della decisione del Tribunale, occorrendo avere riguardo esclusivamente al tenore della sentenza d’appello.
Il terzo motivo di ricorso lamenta ex “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: la nullità della sentenza di gravame e del procedimento di appello (error in procedendo) (art. 196 c.p.c.; art. 116 c.p.c., comma 1; art. 162 c.p.c.; art. 115 c.p.c.; art. 156 c.p.c.)”.
La sentenza d’appello risulterebbe nulla anche sotto il diverso profilo della violazione ed errata interpretazione ed applicazione dell’art. 196 c.p.c., poichè i giudici di secondo grado hanno ritenuto di non disporre la rinnovazione della CTU grafologica, su richiesta del ricorrente, che, unitamente all’esame dell’intera documentazione acquisita agli atti, gli avrebbe permesso di dimostrare l’autenticità del testamento. Il rigetto dell’istanza ex art. 196, c.p.c., si fonderebbe su una motivazione apparente, ricavata dalla copiatura di diversi passaggi della consulenza, ritrascritti e non coordinati logicamente e giuridicamente con il resto della motivazione. Anche la motivazione offerta dai giudici d’appello relativamente all’ammissibilità o meno delle scritture comparative da parte del CTU, rappresenterebbe un decisivo error in procedendo, idoneo di per sè di rendere nulla la sentenza e la consulenza tecnica.
Le risultanze peritali risulterebbero essere prive di logicità e scientificità, laddove sarebbero stati valorizzati determinati elementi, a discapito di altri, in modo del tutto arbitrario, nonchè carenti e lacunose dal punto di vista argomentativo. In particolare, parte ricorrente contesta l’esclusione del documento “A19” che, contenendo numerosi riferimenti letterali e numerici, rappresenterebbe un elemento estremamente prezioso ai fini comparativi, considerata anche la vicinanza temporale della sua redazione rispetto al testamento. Peraltro, valutare unicamente la firma e non anche le scritture compilative di tale documento, rappresenterebbe un’operazione arbitraria e personale, nonchè contraria ai principi relativi all’onere della prova.
Tutto ciò avrebbe condotto la Corte d’appello ad adottare una motivazione labile e inconsistente, anche con riferimento alla correttezza del metodo scientifico impiegato dalla consulente, che avrebbe adottato un modus operandi contraddittorio e lacunoso, che si sarebbe ripercosso così anche sulla decisione della Corte di merito.
Le considerazioni volte a censurare l’operato della consulente tecnica sono state condivise anche dall’avv. C., consulente grafologo iscritto all’apposito Albo il quale aveva reso un parere pro veritate con cui perveniva alla affermativa autografia e riconducibilità del testamento alla de cuius, ma la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che tale parere non conducesse a diverse conclusioni, poichè contenente “valutazioni relative all’autenticità del testamento che non si rapportano in alcun modo al percorso logico-scientifico della CTU svolta in primo grado” la quale “rappresenta… un punto di riferimento al quale devono riferirsi le censure dell’appellante, al fine di sorreggere una motivazione diversa da quella appellata” e ciò rappresenterebbe una conclusione del tutto infondata dal momento che le considerazioni esposte consentirebbero al giudice di chiarire le criticità evidenziate relativamente alla CTU.
Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso si denunzia in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (error in judicando) (art. 196; art. 116 c.p.c., comma 1; art. 162 c.p.c.; art. 115 c.p.c.; art. 156 c.p.c.)”.
Secondo il ricorrente la Corte d’appello avrebbe violato le predette norme, fornendone un’interpretazione contrastante con quella della giurisprudenza di legittimità, nonchè della dottrina.
Il presente motivo viene formulato in via subordinata rispetto a quello precedente, e ai fini della sua articolazione si richiama integralmente quanto esposto al motivo numero 3.
Gli ultimi due motivi possono essere trattati congiuntamente e devono rigettarsi.
Invero, come affermato più volte da questa Corte, in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una rinnovazione della consulenza, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (Cass. n. 22799/2017; Cass. n. 17693/2013), sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto e l’esercizio od il mancato esercizio di un tale potere non è censurabile in sede di legittimità (Cass. 21548/2016).
La Corte di merito, prendendo in esame il documento “A19” non lo ha acriticamente escluso in toto dagli atti valutabili ai fini dell’accertamento dell’olografia del testamento, ma a seguito dell’esame della consulente, ha ritenuto di doverlo escludere limitatamente alle parti relative alla compilazione del modulo, non anche per la sottoscrizione. Tale operazione dà prova di un accurato ed argomentato esame del materiale probatorio a disposizione dei giudici e tale operazione rientra, indubbiamente, nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, in quanto immune da errori giuridici o da vizi di logica.
Medesime argomentazioni possono riferirsi in merito al parere pro veritate, che a seguito del prudente apprezzamento della Corte, è stato correttamente qualificato quale mera allegazione difensiva, privo dunque di autonomo valore probatorio, nonchè, ad ogni modo, privo di argomentazioni ed elementi di novità idonei a intaccare il risultato della CTU.
In presenza di una completa ed argomentata valutazione delle risultanze istruttorie, il ricorso si prospetta come volto essenzialmente a sollecitare una rivalutazione delle stesse, attività questa preclusa in sede di legittimità.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nulla per le spese atteso che l’intimato non ha svolto valida attività difensiva.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019
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