LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22207-2018 proposto da:
V.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA OLIVIERI;
– ricorrente –
contro
FAST SRL” in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI PARIOLI 76, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO DEL VECCHIO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO) di L’AQUILA, depositata il 28/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. V.M.L. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso l’ordinanza della Corte di appello di L’Aquila del 28 maggio 2018, n. 533, reiettiva del reclamo da lei proposto contro la decisione del tribunale della stessa città che, accogliendo il corrispondente ricorso ex art. 2487 c.c., comma 2, della Fast s.r.l., aveva nominato il liquidatore di quest’ultima (a tanto non avendo provveduto l’assemblea composta dalla medesima V. e da D.S.L.) in presenza della rilevata causa di scioglimento concernente la riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti legali, altresì condannando la reclamante alla refusione delle spese processuali. Resiste, con controricorso, la Fast s.r.l., eccependo, pregiudizialmente, la inammissibilità dell’avverso ricorso stante la carenza di definitività e decisorietà del provvedimento impugnato.
1.1. Quella corte, disattendendo la corrispondente doglianza della V., ritenne ritualmente instaurato il contraddittorio in primo grado, dove nè quest’ultima, nè un suo difensore erano comparsi, e rimarcò che anche innanzi ad essa non erano state rappresentate circostanze in virtù delle quali non si sarebbe dovuto provvedere alla nomina del liquidatore della menzionata società.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 139 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 e 2700 c.c.; omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla valutazione delle prove documentali; nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 Cost., e del diritto di difesa, avendo l’irregolare ed irrituale notifica del ricorso comportato la mancata instaurazione del contraddittorio con conseguente nullità della sentenza impugnata”. Si insiste nel ribadire che, contrariamente a quanto affermato dalla corte distrettuale, la notificazione del ricorso di primo grado doveva considerarsi avvenuta in assoluta violazione del diritto di difesa dell’odierna ricorrente, atteso il brevissimo lasso di tempo intercorso tra la data del perfezionamento della notificazione medesima nei suoi confronti e quella dell’udienza fissata innanzi al tribunale di L’Aquila;
II) “l’eccessiva onerosità della liquidazione delle spese processuali” come quantificate nel provvedimento impugnato.
2. L’odierno ricorso è inammissibile laddove intende sostanzialmente contestare la statuizione di nomina del liquidatore della Fast s.r.l. ex art. 2487 c.c., comma 2.
2.1. Invero, la Suprema Corte ha già chiarito che il decreto di nomina del liquidatore di una società di capitali, emesso ai sensi dell’art. 2487 c.c., non è suscettibile di ricorso per cassazione, neppure a norma dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento non definitivo, come risulta dalla circostanza che, ai sensi del comma 4 della citata disposizione, il liquidatore può essere revocato dall’assemblea o, in presenza di una giusta causa, dal tribunale (cfr. Cass. n. 12677 del 2009. In senso sostanzialmente conforme, si veda anche la successiva Cass. n. 15070 del 2011).
3. Il medesimo ricorso, invece, sarebbe ammissibile nella parte volta a confutare la pronuncia adottata nel provvedimento impugnato quanto al pagamento delle spese giudiziali, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo.
3.1. Detta statuizione, infatti, è sicuramente destinata ad incidere su una posizione di diritto soggettivo della parte a carico della quale risulta assunta, ed è dotata del carattere di definitività, non essendo contro di essa dato alcun mezzo d’impugnazione sostanzialmente in tal senso, Cass. n. 9348 del 2017; Cass. n. 4610 del 2017; Cass. n. 21756 del 2015; Cass. n. 2986 del 2012; Cass. n. 14524 del 2011; Cass., SU, n. 20957 del 2004).
3.2. Ciò malgrado, la censura concretamente formulata sul punto si rivela comunque inammissibile, atteso che, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti) e massimi fissati dalle tabelle vigenti (c/r. Cass. n. 19613 del 2017; Cass. n. 5828 del 2006).
4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna V.M.L. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019