Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.7371 del 15/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10575-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.N.M.P., elettivamente domiciliata in GENZANO DI ROMA VIA COLLE FIORITO 2, presso lo studio dell’avvocato CHIARANTANO BRUNO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 66/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 01/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2018 dal Consigliere Dott. PERINU RENATO.

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza n. 66/14/12, depositata il 1/2/2012, con la quale la CTR di Roma ha accolto, nel merito, l’appello proposto da D.N.M.P. avverso l’avviso di accertamento che a seguito della verifica della G.d.F, accertava induttivamente i ricavi conseguiti per l’anno 2004, determinando maggiori imposte e addizionali regionali, maggiori contributi previdenziali, Irap ed Iva, utilizzando per la ricostruzione dei ricavi il metodo della percentuale di ricarico medio ponderato nella misura del 79,81%;

la CTR, per quanto qui rileva, fondava la pronuncia ora impugnata sulla base delle seguenti considerazioni: a) la sostanziale inattendibilità dei dati relativi ai ricavi può essere evidenziata attraverso la comparazione con dati extracontabili o, comunque, con presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, desunte da dati di comune esperienza, anche secondo le regole fondamentali di buon senso e ragionevolezza, oltre che da concreti elementi offerti dai singoli casi, senza che l’analiticità dell’accertamento venga meno in relazione al metodo induttivo utilizzato nella valutazione delle singole poste; b) nel caso esaminato l’accertamento è consistito in una mera e acritica trasposizione di calcoli, di conseguenza la rettifica operata non è riconducibile alle tipologie previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,comma 1, lett. d);

avverso tale pronuncia ricorre per Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a tre motivi;

D.N.M.P. difende con controricorso.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per avere il giudice d’appello pronunciato in merito alle irregolarità contabili, senza che nel giudizio di primo grado fosse stato mosso alcun rilievo al riguardo;

2. con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo dell’insufficiente motivazione;

3. con il terzo motivo viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e art. 35, comma 3, e degli artt. 112,277 c.p.c., per avere la CTR, una volta accertata la inidoneità degli elementi utili a quantificare il reddito evaso, omesso di pronunciarsi sul merito dell’accertamento;

4. il ricorso s’appalesa fondato alla stregua delle considerazioni che seguono;

5. innanzitutto, s’appalesano inammissibili, sotto il profilo della carenza di interesse, le censure prospettate con il primo motivo;

6. infatti, anche a voler prendere in considerazione il profilo della novità della deduzione prospettata in relazione alla illegittimità dell’accertamento induttivo applicato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), dall’Agenzia delle Entrate, occorre rilevare che tale censura risulta irrilevante, atteso che la C.T.R., nel rigettarla, ha correttamente premesso che il ricorso al metodo di accertamento analitico-induttivo previsto dall’art. 39, comma 1, lett. d) prescinde, comunque, dall’accertamento di irregolarità contabili, potendo lo stesso intervenire anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o attraverso il ricorso a presunzioni fondate sui requisiti di cui all’art. 2729 c.c.;

7. vanno, quindi, trattati congiuntamente, il secondo ed il terzo motivo, in quanto strettamente connessi, avendo come contenuto censure rivolte nei confronti dell’assetto motivazionale della sentenza oggetto di gravame;

8. le censure dedotte al riguardo dall’Agenzia colgono nel segno;

9. secondo un consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 19750/2014), al quale il Collegio ritiene di dover dare continuità, il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio, con la conseguenza che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formale), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una adeguata motivazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte;

10. nel caso che occupa, sussiste il dedotto vizio di motivazione perchè il giudice di appello afferma apoditticamente che l’Ufficio avrebbe accertato i maggiori ricavi basandosi sulle percentuali di ricarico “mediamente riscontrate nel settore di appartenenza”, senza esaminare e prendere posizione sulle opposte circostanze allegate dall’Ufficio che, richiamando il processo verbale di accertamento (trascritto per stralci nel ricorso per cassazione) afferma di avere proceduto alla ricostruzione dei costi della merce giacente sulla base delle fatture di acquisto ricevute nei vari anni dalla contribuente, procedendo alla individuazione delle fatture di acquisto “unitamente alla Sig.ra D.N.”; inoltre afferma, sempre richiamando il trascritto p.v.c., che i prezzi di vendita sono stati determinati sulla base delle etichette apposte dalla contribuente su ogni singolo prodotto;

11. per quanto precede, il ricorso va dunque accolto in relazione al secondo ed al terzo motivo, mentre va dichiarata l’inammissibilità del primo motivo;

12. la sentenza impugnata, va, pertanto, cassata con rinvio alla CTR di Roma, che in diversa composizione provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla CTR di Roma che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2019

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