LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3373-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO BRIGUGLIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato AMANDA DE COSMO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6554/18/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 12/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO.
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 12 luglio 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto da V.A. avverso la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale, in relazione all’anno d’imposta 2010, era stata recuperata a tassazione, ai sensi dell’art. 67 T.U.I.R., comma 1, lett. b), e dell’art. 68 T.U.I.R., comma 1, la plusvalenza derivante dalla vendita di un appartamento. Riteneva la CTR che l’importo indicato nell’atto di vendita corrispondesse al prezzo effettivamente ricevuto dall’acquirente.
Avverso la decisione, con atto del 18 gennaio 2018, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso il contribuente, che ha depositato successiva memoria.
Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
La censura è infondata, essendo percepibile, nella motivazione della sentenza impugnata, il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, fondato sulla considerazione che il prezzo dichiarato nell’atto di vendita, pur essendo del tutto fuori mercato, corrispondeva alla somma effettivamente ricevuta dalla società acquirente, di cui lo stesso contribuente era amministratore, dato che “solo attraverso un falso in bilancio, violazioni tributarie e condotte distrattive” sarebbe stato possibile versare l’importo corrispondente al valore di mercato senza indicarlo in contabilità.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 67 T.U.I.R., e degli artt. 2729 e 2697 c.c., nonchè falsa applicazione del D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3. Sostiene che erroneamente la CTR non aveva tenuto conto, ai fini del calcolo della plusvalenza maturata, del valore dell’immobile compravenduto determinato sulla base del prezzi medi di mercato praticati nella zona, nè della nuova rendita catastale attribuita a seguito dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’immobile.
Il motivo è fondato.
La CTR non ha correttamente applicato, nella fattispecie, il disposto dell’art. 68 T.U.I.R., comma 1, in base al quale la plusvalenza è costituita dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.
Il giudice di appello, pur osservando come “sia del tutto fuori mercato la successiva vendita al prezzo di soli Euro 200.000”, rispetto ad un prezzo di acquisto di Euro 680.000 corrisposto circa due anni prima, ha escluso che il prezzo effettivamente ricevuto dall’acquirente potesse essere superiore a quello indicato nell’atto di vendita, sul rilievo che “l’alienazione è avvenuta alla società di cui lo stesso è amministratore e che solo attraverso un falso in bilancio, violazioni tributarie e condotte distrattive potrebbe avere versato l’importo corrispondente al valore di mercato senza indicarlo in contabilità”. E ciò senza considerare, ai fini della valutazione della prova circa l’effettivo pagamento di un maggior prezzo, che l’accertamento in via induttiva effettuato dall’Ufficio non si fondava solo sul valore dell’immobile accertato ai fini dell’imposta di registro, ma su ulteriori elementi che deponevano nel senso della realizzazione di una plusvalenza patrimoniale sulla base dei prezzi medi di mercato praticati nella zona per immobili con caratteristiche similari nonchè della circostanza della attribuzione di una nuova rendita catastale in conseguenza dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’immobile.
In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019