LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25282-2017 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (CF. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
S.G., F.D.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1125/26/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 25/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CASTORINA ROSARIA MARIA.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 1125/26/16 depositata il 25.10.2016 che riformava la sentenza di primo grado in controversia concernente avvisi di accertamento fondati su documentazione bancaria e contabile dei coniugi F.D. e S.G. e delle loro società.
La CTR fondava la propria decisione su documentazione acquisita nonostante l’opposizione dell’ufficio, sulla base della quale le disponibilità finanziarie dei coniugi, precedenti e contemporanee agli anni contestati, giustificavano la possibilità di versamenti corrispondenti all’importo del cd “legato Brocchi”
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La censura è inammissibile.
Questa Corte ha già ritenuto che in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate giustifica l’esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell’Amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dal D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’Amministrazione purchè accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica – in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. – per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco-cfr. Cass. n. 11765/2014.
Nella specie l’Agenzia non ha allegato, in ossequio del principio di autosufficienza la richiesta onde consentire la verifica della specificità della richiesta dell’Ufficio.
2. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,comma 1 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sesni dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5.
In entrambi i motivi lamenta l’ufficio che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto assolto l’onere probatorio incombente su parte contribuente, senza motivare adeguatamente sul punto controverso.
4. Le censure sono fondate.
La sentenza in esame afferma il superamento da parte della società contribuente della presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, rilevando che le somme di denaro di cui risultava la disponibilità da parte dei due coniugi negli anni in contestazione non fossero di provenienza di compensi “in nero” connessi all’amministrazione di due società riferibili ai coniugi, in quanto le disponibilità finanziarie di questi ultimi, precedenti e contemporanee agli anni considerati, giustificavano la possibilità di versamenti corrispondenti all’importo del cosiddetto “legato Brocchi”, senza alcuna spiegazione della capacità dimostrativa di ognuno di essi.
4.1. In materia di accertamenti bancari, l’onere probatorio gravante sul contribuente che vuole superare la presunzione legale posta dalle predette disposizioni a favore dell’Erario – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici -, impone di fornire non una prova generica, ma una prova analitica (sul punto, v. Cass. 26111 del 2015 e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata) idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014).
A ciò corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie – in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. n. 21800 del 2017) -, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica; al riguardo questa Corte ha anche precisato che in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, dovendo in questo caso il giudice di merito “individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. n. 11102 del 2017; Cass. 10480/2018).
Nel caso di specie, l’essersi la CTR ingiustificatamente sottratta alle attività sopra descritte, nonostante l’avviso di accertamento – riprodotto nel ricorso – contenesse l’analitica descrizione dei singoli movimenti bancari verificati e delle ragioni della loro ripresa a tassazione, le ha impedito di specificare o illustrare le ragioni della decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuta alla propria determinazione.
All’accoglimento del secondo e terzo motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla competente CTR che provvederà a riesaminare la vicenda processuale alla stregua dei suesposti principi, dando adeguata contezza delle risultanze delle verifiche compiute, e a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso per le ragioni di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla CTR del Veneto in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019