LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – Consigliere –
Dott. TADDEI Bianca Margherita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 541-2013 proposto da:
COMUNE DI TORINO, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BUOZZI 87, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO COLARIZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA LAURA PIOVANO;
– ricorrente –
contro
D. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II STUDIO LISSONA, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO IARIA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 49/2012 della COMM. TRIB. REG. di TORINO, depositata il 18/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/01/2019 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA.
RITENUTO
che:
La società F.lli D.M. S.r.l. impugnava un avviso di accertamento per Ici, con riferimento agli anni di imposta dal 2005 al 2007, relativo ad un’area edificabile, oggetto di intervento edilizio consistente nella demolizione di vecchi fabbricati e costruzione di un edificio per civile abitazione. L’accatastamento dell’area era avvenuto in data 17.1.2008. La società contribuente riteneva che la base imponibile ICI corrispondesse al valore venale del terreno senza che dovesse essere considerato il valore del fabbricato in corso di costruzione, fino alla sua ultimazione. La Commissione Tributaria Provinciale di Torino, con sentenza n. 65/3/10, accoglieva il ricorso, ritenendo che sino all’ultimazione dello stabile in costruzione, la base imponibile ai fini ICI andava determinata in funzione del valore venale della sola area fabbricabile senza considerare il valore del fabbricato.
Il Comune di Torino proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte che, con sentenza n. 49/30/12, rigettava il gravame ritenendo che, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, nel valore venale dell’area fabbricabile non andava computato anche il valore degli immobili su di essa realizzabili, se in corso d’opera e non ancora ultimati, nè utilizzati. Il Comune di Torino ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi. La società F.lli D.M. S.r.l. si è costituita con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, atteso che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente ritenuto che il Comune di Torino ha disatteso il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 5, comma 6, avendo al contrario legittimamente utilizzato i metodi di stima c.d. sintetico consentito dalla legge, ossia il valore dell’area stimato come quota percentuale del valore di mercato della nuova edificazione, così determinando il valore dell’area in questione partendo dalla valutazione economica di mercato del fabbricato finito per giungere ad una valutazione in percentuale del valore venale dell’area (25%), valore più corrispondente alla peculiarità dell’intervento, alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell’area edificabile, in conformità a quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), atteso che la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe considerato il potere discrezionale di valutazione del valore venale di un’area edificabile attribuito dalla norma suddetta secondo i parametri indicati dalla stessa, che comportano la determinazione di un valore venale strettamente legato alle potenzialità e possibilità edificatorie che l’area è in grado di esprimere in quello specifico momento e al valore di mercato degli immobili realizzabili. Parte ricorrente lamenta che illegittimamente il giudice di appello, con automatico ed acritico riferimento ai valori prefissati dalle deliberazioni comunali ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), si sarebbe discostato dalla perizia del 19.5.2008 redatta dall’Ufficio valutazioni del Comune, secondo i parametri di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 e posta a base dell’accertamento impugnato e, quindi, non avrebbe fatto riferimento ad elementi concreti come previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o, in subordine I dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 112 c.p.c., atteso che la CTR non si sarebbe pronunciata esplicitamente sul secondo motivo d’appello proposto dal Comune di Torino e, in particolare, sulla questione della natura dei valori predeterminati con regolamento e del rapporto tra tali valori ed il valore venale accertato a seguito dell’applicazione dei parametri di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5.
4. I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di logica connessione, sono infondati.
Dal rigetto dei predetti motivi consegue l’assorbimento del terzo 4.1. Questa Corte, con indirizzo condiviso, ha affermato che le unità immobiliari in corso di costruzione non hanno una capacità contributiva autonoma rispetto a quella della proprietà del suolo edificabile e addirittura, in ipotesi di classamento in categoria fittizia dei predetti immobili in corso di costruzione, l’imposta può attingere solo l’area edificatoria, con la base imponibile (Cass. n. 11694 del 2017). Ciò in ragione del fatto che, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), per fabbricato si intende sempre e comunque l’unità immobiliare iscritta nel catasto edilizio che presenti le condizioni di iscrivibilità (Cass. n. 5372 del 2009; Cass. n. 24924 del 2008). Ne consegue che l’iscrizione di una unità immobiliare (preesistente o di nuova costruzione) al catasto edilizio costituisce presupposto per l’assoggettamento del bene ad ICI, anche se non necessario, atteso che l’imposta è dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione (Cass. n. 8781 del 2015).
Va, pertanto, precisato che in tema d’ imposta comunale sugli immobili (ICI), poichè la nozione di fabbricato, di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, rispetto all’area su cui esso insiste, è unitaria, nel senso che, una volta che l’area edificabile sia comunque utilizzata, il valore della base imponibile ai fini dell’imposta si trasferisce dall’area stessa all’intera costruzione realizzata, per l’applicazione dell’imposta sul “fabbricato di nuova costruzione”. La norma individua due soli criteri alternativi: la data di ultimazione dei lavori, ovvero, se antecedente, quella di utilizzazione (Cass. n. 10735 del 2013).
Ne consegue che, ai fini ICI, il fabbricato per essere soggetto ad imposta deve essere ultimato e utilizzabile, infatti, questa Corte, in fattispecie riguardante la ristrutturazione di fabbricati già esistenti, certamente assimilabile alla vicenda in esame, ha stabilito che: “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della determinazione della base imponibile nel caso di interventi di recupero, della L. n. 457 del 1978, ex art. 31, comma 1, lett. d), su fabbricati già esistenti, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, occorre considerare soltanto il valore dell’area, senza computare quello del fabbricato in corso d’opera fino alla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione, ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato ristrutturato sia stato comunque utilizzato” (Cass. n. 14111 del 2017).
4.2. La Commissione Tributaria Regionale ha fatto buon governo dei principi espressi, dando rilievo, al fine del riconoscimento della soggezione all’imposta, alla necessità che l’immobile sia stato completato, circostanza esclusa dai giudici di appello, con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità.
5. In definitiva vanno rigettati il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbito il terzo, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1200,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019