Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.100 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12769/2018 proposto da:

U.N., rappresentato e difeso dall’avvocato Bassan Maria Monica del foro di Padova, giusta mandato allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 838/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 10/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/05/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 838/2017 pubblicata il 10-10-2017, la Corte d’appello di Cagliari ha respinto l’appello di U.N., cittadino della *****, avverso l’ordinanza emessa dal Giudice di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente, nel riferire la propria vicenda personale, aveva dichiarato di essere fuggito dalla Nigeria perchè aveva ricevuto minacce, furti e percosse da persone appartenenti dalla setta *****, alla quale si era rifiutato di aderire. La Corte territoriale ha ritenuto che i fatti narrati dal richiedente fossero irrilevanti ai fini del riconoscimento della status di rifugiato e che nell’Edo State non vi fossero allarmanti situazioni di conflitto armato interno e di instabilità politica e giudiziaria. La Corte d’appello ha ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il richiedente dedotto alcuna specifica circostanza al riguardo e tale da giustificare la concessione della suddetta misura di tutela, di natura provvisoria e limitata nel tempo, nonchè giustificabile in ragione di una particolare situazione soggettiva.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5). Il ricorrente, in merito al diniego di riconoscimento della protezione umanitaria, deduce di aver fornito un principio di prova della persecuzione attuata nei suoi confronti. Deduce che la Corte d’appello, nel ritenere mancanti elementi idonei a definire la presumibile durata di esposizione a rischio, non ha applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e non ha effettuato il vaglio della credibilità dei fatti narrati secondo gli indici tipizzati ed alternativi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, inerente le tre ipotesi oggettive di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Invece nel caso di specie, applicando i principi della buona fede soggettiva e della condizione oggettiva dello Stato di origine, l’onere probatorio a carico del richiedente era stato adempiuto.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. La Corte territoriale, dopo aver riassunto il racconto del ricorrente e richiamato la circostanza dallo stesso riferita secondo cui la Polizia della Nigeria aveva avviato indagini e promesso di proteggerlo dai soggetti appartenenti alla setta ***** (pag. n. 8 sentenza), ha ritenuto irrilevante la vicenda personale narrata ed ha escluso la sussistenza di una particolare condizione di vulnerabilità del richiedente, sulla base della condizione soggettiva desumibile dalle allegazioni del medesimo, sì da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il ricorrente non censura la suddetta ratio decidendi, ma svolge generiche argomentazioni sulla mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi e sui requisiti legali relativi agli indici di credibilità, ossia su questioni che sono non attinenti alla motivazione della sentenza impugnata nel senso appena precisato. Non sono infatti in discussione nè la credibilità, nè il potere-dovere di cooperazione istruttoria sulla verifica di attendibilità della vicenda personale, dal momento che detto potere-dovere, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti narrati, sussiste purchè le circostanze da indagare d’ufficio siano, ovviamente, rilevanti, oltre che specifici.

3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “art. 360 c.p.c., comma 5 – Omessa motivazione in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e omesso esame di in fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Nigeria sulla base delle fonti ufficiali”.

Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale non ha valutato la situazione profondamente degenerata del tessuto socio-politico della Nigeria sulla base delle fonti ufficiali. Richiama la risoluzione adottata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 2349 del 31-3-2017 circa la pericolosità del gruppo dei *****.

Inoltre, dopo aver ricostruito la storia del fenomeno delle confraternite cultiste operanti in Nigeria, ed in particolare dei *****, deduce che si tratta di “mafia nigeriana” molto potente ed estesa, anche se considerata tra le meno violente, come da sito della ***** e che in base al Rapporto Easo 2017 si tratta di società segrete paragonabili alla massoneria, composte da persone ricche e potenti, la cui ricchezza è dovuta alle uccisioni rituali o all’utilizzo di parti del corpo per rituali finalizzati alla moltiplicazione di denaro. Richiamando alcune decisioni di giudici di merito, sostiene che in numerose altre fattispecie sia stata accertata la pericolosità delle persecuzioni dei gruppi cultisti. Lamenta altresì che la Corte abbia omesso riferimenti alla situazione dell’Edo State in base a fonti ufficiali.

3.1. Anche detto motivo è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

3.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, sia quanto alla credibilità dei fatti narrati sia quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

La Corte territoriale ha ritenuto irrilevante il racconto del richiedente, ha esaminato diffusamente, richiamando le fonti di conoscenza (UNHCR, rapporto Amnesty International 2015-2016), la situazione generale della Nigeria ed ha concluso affermando che la zona di provenienza del ricorrente (Edo State) non è interessata da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale.

Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Per quanto si è detto la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”. Peraltro lo stesso ricorrente, nel riproporre la questione della setta *****, dà atto che Polizia e Governo vogliono contrastare il fenomeno delle confraternite (pag. n. 8 ricorso).

3.3. Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Paese, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta irrilevante dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese).

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

6. Sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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